La difficile storia della melanzana. Dall’Arabia al Salento

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di Massimo Vaglio

Chi volesse conoscere il parere sulle melanzane del grande Artusi, quasi certamente rimarrebbe deluso, poiché, andando alla ricerca delle ricette sulle melanzane, nel suo La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene, all’indice delle ricette non ne troverebbe, né tantomeno in quello analitico delle materie, alla voce erbaggi, come il maestro chiamava gli ortaggi. La cosa, devo dire, mi ha intrigato, e non poco. Fino a quando, rileggendo accuratamente tutta l’opera, mi sono imbattuto nella voce petonciani, che così descrive: “Il petonciano, o melanzana, è un ortaggio da non disprezzare per la ragione che non è né ventoso, né indigesto. Si presta molto bene ai contorni ed anche mangiato solo come piatti d’erbaggi è tutt’altro che sgradevole… Petonciani e finocchi, quarant’anni or sono, si vedevano appena sul mercato di Firenze; vi erano tenuti a vile come cibo da ebrei…”. Da tale descrizione e facendo i dovuti conti si evince come appena un secolo fa la melanzana fosse un ortaggio nuovo, marginale e relegato quasi a livello di curiosità gastronomica, almeno in tutta l’Italia centro-settentrionale. Nel resto d’Italia, ad esclusione della Sicilia dove gli arabi l’avevano diffusa già secoli prima, la situazione non era molto dissimile; fatta eccezione per qualche isola gastronomica, tra cui come vedremo appunto il nostro Salento. Infatti la saporita melanzana non si può dire che abbia avuto vita facile nella storia della cucina.

Già il nome che le è stato affibbiato è tutto un programma: melanzana viene infatti dal latino mala insana, ossia mele malsane, che provocano ogni sorta di mali alla mente ed al corpo.

Ma la storia della melanzana comincia in India, suo paese d’origine, dove anticamente cresceva allo stato selvatico e dove da millenni è coltivata ed apprezzata sia in cucina che come pianta medicinale.

Per moltissimo tempo quindi la melanzana non si è spostata dal suo paese d’origine: furono gli arabi a scoprirla e diffonderla in tutto il Medio Oriente e nelle colonie europee dove presto divenne un ingrediente apprezzatissimo in molte cucine.

Nel resto dell’Occidente la melanzana giunse abbastanza tardi, sembra alla fine del XV secolo e, visto il nome che le venne attribuito, non ebbe certo accoglienza calorosa. Tra i suoi più grandi detrattori ci fu il grande medico arabo Abu Alì el Hosein, meglio noto come Avicenna, che lasciò una grandiosa opera scientifica il Canon in cinque ponderosi volumi, in cui compendia tutte le conoscenze mediche ed i farmaci del tempo.

E proprio in questa opera, a proposito della melanzana, scrive di come essa potesse indurre gravi malattie della pelle e persino attacchi epilettici. Non meno implacabile nel XVI secolo fu il verdetto del grande botanico Fucsio: “Il solo nome deve spaventare coloro che hanno cura della loro salute”.

Con tali biglietti da visita la povera melanzana si vide praticamente vietato l’ingresso in cucina. Il suo uso era relegato in farmacia, per uso esterno in impacchi lenitivi delle infiammazioni cutanee, delle emorroidi, dei foruncoli e delle scottature.

Ma finalmente dopo tanti maltrattamenti ecco giungere un po’ di fortuna anche per la tanto demonizzata melanzana: ad un certo punto, non si sa come, si vide attribuiti grandi poteri afrodisiaci e dove a poco erano valsi la sua bontà e il suo sapore, riuscì la forza dell’amore. La sua fama afrodisiaca si diffuse a tal punto da divenire richiestissima, soprattutto dagli uomini, e il Daléchamp, illustre botanico francese, avallò con grande veemenza tali proprietà. Ed ecco come nel Settecento in Francia, a quelle che erano state fino ad allora chiamate mele insane, viene attribuito il poetico nome di pomi d’amore. Dall’ostracismo al trionfo, perché una volta assaggiata ecco che i grandi cuochi francesi cominciarono a sfiziarsi nelle più ardite preparazioni sperimentali ed è così che nacquero piatti ancora famosi quali le melanzane all’Avignonese e le celebri cotolette alla Provenzale, di cui era ghiotto Alessandro Dumas padre, abile cuoco, raffinato buongustaio e autore tra l’altro del ponderoso Dictionnaire de Cuisine di ben 2000 pagine.

Ma torniamo al Salento.

Già in altre circostanze abbiamo riferito del Salento come isola culturale, con affinità più con la Grecia e la Sicilia che con il resto della Puglia, non si sa se derivanti da percorsi storici paralleli o da influssi diretti con questi popoli.

La predilezione dei salentini per le melanzane non ha paragoni nel resto della Puglia; il Salento è poi la patria della parmigiana Merangianata te Santu Ronzu e preparazioni similari con qualche piccola variante da paese a paese.

Pare quindi che i salentini anche nei periodi più bui, ne abbiano comunemente e largamente fatto uso. Spesso al posto di queste, soprattutto nella preparazione della parmigiana, nel Salento si è utilizzata anche la zucchetta africana (Sechium edule), comunemente localmente ritenuta una varietà spinosa di melanzana, i cui frutti maturano nel tardo autunno e resistono inalterati per tutto l’inverno, e appunto denominata melanzana spinosa. Invero, questo strano ortaggio, non è nemmeno parente della melanzana, non è infatti una Solanacea, bensì appartiene, come le zucche e i cocomeri alla famiglia delle Cucurbitacee.

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