Quandu ‘nc’era ci tagghiava li ièrmi e ppuru li nzurfiòni (Quando c’era chi tagliava i vermi e pure le trombe d’aria) …

di Armando Polito e Giuseppe Presicce

Il significato del tagliava del titolo sarà chiarito dalla stessa descrizione dei fenomeni presi in considerazione. Solo una brevissima nota preliminare su nzurfiòne (per dissimilazione da zzurfiòne), per dire che è deformazione dell’italiano soffione, e una rapida giustificazione per il fenomeni usato poco prima. Nulla togliendo ai concetti di spettacolare, stupefacente, meraviglioso, fuori dell’ordinario che la voce evoca, piace come non mai ricordare che essa deriva dal latino tardo phaenòmeno(n), trascrizione del greco φαινόμενον (leggi fainòmenon), participio presente mediopassivo di φαίνω (leggi fàino)=apparire, sicché fenomeno etimologicamente significa ciò che appare, ciò che si presenta. Dunque, qualcosa da indagare per scoprire se ciò che appare come effetto è direttamente conducibile alla causa che sembra averlo generato o ad altro. Spetta, cioè, alla scienza l’ultima parola e  questa sarà, comunque, provvisoria anche nel caso in cui non sia in grado di individuare una causa alternativa, credibile e verificata.

Per quanto riguarda il taglio dei vermi le cose stavano così: ai poveri vermi (ossiuri e compagni) veniva attribuita dalla medicina popolare la febbre alta e il mal di pancia che colpivano un bambino. L’intervento del taglio consisteva in un rituale che prevedeva olio caldo sulla pancia, segni di croce e una sorta di massaggio finale, mentre venivano sussurrate o preghiere o parole incomprensibili; in altri casi (e qui il tagliare si capisce meglio) l’intervento prevedeva il mimare l’uso delle forbici sulla pancia, l’immancabile formula e un pizzicotto finale dato all’altezza dell’ombelico.

Ora non è dato sapere se i vermi in questione fossero veramente i parassiti o fantomatiche creature messe in campo per la diagnosi, però è intuitivo che il massaggio con l’olio caldo ha certamente un effetto lenitivo del dolore. Si aggiunga, poi, l’effetto placebo operato dal segno di croce e dalla formula sugli astanti e da questi involontariamente trasmesso al bambino. Ma, ci si chiede, c’è stata mai la volontà di controllare se questi maledetti vermi fossero veramente presenti nel bambino prima dell’intervento (non c’era bisogno di squarciargli il ventre per controllare …) e la fine da loro fatta dopo il taglio? Altra cosa, evidentemente, era l’uso (non ci si sofferma sulle modalità …) dello spicchio d’aglio, le cui proprietà antielmintiche sono più che certe. Questo è un caso di medicina popolare; quello confina, anzi si contamina, con la magia.

Passiamo ora all’altro taglio.  I cambiamenti climatici degli ultimi decenni hanno reso ricorrenti dalle nostre parti fenomeni atmosferici prima rarissimi e, tra questi, le trombe d’aria. Se oggi ci sono i cacciatori di tornado (cacciatori, obbligatoriamente, fotografici, come dovrebbero essere tutti coloro che, invece di una fotocamera, imbracciano un fucile, e non per sparare, questa volta sì coraggiosamente, contro un tornado …), in passato c’era chi domava le trombe d’aria. Le testimonianze si sprecano in ogni regione con leggere differenze nel rituale, anche se esse sono più frequenti per le isole Eolie (non a caso sono  la patria di Eolo …). Ecco, in sintesi, quella di mio cognato Giuseppe (ha da qualche anno superato i cinquanta anni, anzi si avvia verso i sessanta; questa me la farà pagare …) che da ragazzino ha assistito ad un evento di questo tipo con l’intervento della “maga” del momento. Poteva capitare a lui che abitava in campagna e la maga era sua vicina, non certo a me che da cittadino la tromba d’aria potevo vederla solo col binocolo:

A fenomeno avviato Agata (così si chiamava la “fattucchiera”, il cognome non lo ricordo) ha adagiato sul terreno una manciata di paglia, poggiandovi sopra un coltello. A quel punto ha pronunciato una formula segreta (parole tanto incomprensibili che è impossibile, perciò, riportare). Immediatamente dopo ho visto la tromba dividersi orizzontalmente a metà, con le due parti che andavano progressivamente dissolvendosi, la superiore in alto, l’inferiore in basso.  

Ho riportato le sue testuali parole (che gli hanno valso la doverosa citazione del suo nome accanto al mio; non l’ho messo al primo posto perché, essendo relativamente giovane, si sarebbe montato la testa …), ma in rete s’incontrano varianti di ogni tipo. In esse, però, ingredienti comuni sono il coltello (o un’ascia o un ferro acuminato rivolto verso il cielo) e una formula di scongiuro più o meno incomprensibile.

Se contro i vermi, febbre e mal di pancia i farmaci efficaci oggi si sprecano, contro le trombe d’aria l’umanità sembra impotente. Visto il loro proliferare anche dalle nostre parti, non sarebbe il caso di tenere sotto osservazione, se ci sono, coloro che in passato hanno manifestato con successo la capacità del taglio? Mi rendo conto che combinare insieme uno scienziato, un tagliatore di trombe d’aria e la vedette dello spettacolo, la tromba appunto, è quasi impossibile. Però sarebbe sufficiente come prova un semplice filmato girato da qualcuno (non esperto di trucchi digitali …)  che abbia la sfortuna/fortuna di assistere al prodigio e che abbia sangue freddo, mano ferma e … le batterie della fotocamera cariche. Non mi meraviglierei a quel punto che lo sciamano dicesse che il sortilegio non può riuscire o non è riuscito a causa di quell’occhio elettronico …

Pensate un po’, però, se la scienza facesse in tempo, (prima che sciamani di questo tipo si estinguano) a capire, se esiste, il meccanismo del taglio. E così un titolo come Tromba d’aria a Taglio di Po Ro (http://www.youreporter.it/video_tromba_d_aria_a_Taglio_di_Po_Ro) diventerebbe Taglio di tromba d’aria a Taglio di Po Ro.

Che tutto ciò sia beneaugurante, e non solo per gli abitanti del Polesine …

Approfitto dell’occasione per proporvi una formula di scongiuro usata in passato dalle nostre parti contro i temporali. È venuta fuori da Giuseppe insieme con la testimonianza sul taglio della tromba d’aria nel corso di una delle tante nostre parche cenette in cui il cibo appare solo un pretesto per ricordare i tempi in cui entrambi eravamo più verdi. Poi, per non rimediare la figura del tapino, nonostante abbia messo in testa al post il mio nome, ci aggiungerò una delle mie.

Santa Barbara, no ddurmire, ca sta bbèsciu tre nuègghie1 inire: una ti acqua, una ti ientu, n’addha chiena ti mmaletiempu. Pòrtale intr’a ddha grotta scura, a ddonca no ccanta iàddhu e nno lluce luna, a ddonca no nnasce nuddha figghia ti criatura (Santa Barbara, non dormire perché sto vedendo sopraggiungere tre nuvole: una di acqua, una di vento, un’altra piena di temporale. Portale in quella grotta oscura dove non canta gallo e non risplende luna, dove non nasce nessuna figlia di creatura).

È il caso di ricordare che la santa, all’origine protettrice contro i fulmini e le morti improvvise, ha assunto ulteriormente quello di protettrice degli artiglieri e dei marinai dopo l’invenzione delle armi da fuoco; e da ciò è nato poi il nome comune santabarbara che designa il deposito delle munizioni e, in senso traslato, è sinonimo di situazione critica che può degenerare da un momento all’altro.

Giuseppe non aveva ancora finito di recitare la formula, che fulmineamente mi son ricordato, per contrasto, di una notizia tramandataci da Plinio (I secolo d. C.) che costituisce da un lato il contraltare pagano della preghiera che avete appena letto e dall’altro quasi l’anticipazione del gesto volgare fatto in segno di sfida o di dileggio e che coinvolge una parte del corpo che capirete … a posteriori.

Naturalis historia, XXVIII, 21: Post haec nullus est modus. Iam primum abigi grandines turbinesque contra fulgura ipsa mense nudato; sic averti violentiam caeli, in navigando quidem tempestates etiam sine menstruis (Oltre a ciò non c’è limite [alle credenze]. Già in primo luogo [si crede che] grandine e tempesta vengono allontanati mettendo a nudo le mestruazioni contro gli stessi fulmini; [si crede che] così vengono allontanate la violenza del cielo e le tempeste durante la navigazione anche senza mestruazioni).

Immagino che le mestruazioni siano un fenomeno che, nonostante la sua normalità (c’è da preoccuparsi del contrario …), continua ad essere considerato fastidioso; ed è già un bel progresso, rispetto ai tempi di Plinio2, visto che fino a qualche decennio fa ho sentito dire che la maionese preparata da una donna con le mestruazioni era destinata fatalmente ad impazzire. Tuttavia, del brano di Plinio capisco perfettamente la prima parte, in cui le mestruazioni fanno impressione pure a grandine e tempesta, ma non la seconda, a meno che la donna imbarcata appositamente o la passeggera occasionale sine menstruis non fosse una cozza …

Comunque sia, io nel frattempo, nel mio grande …, mi sono già attrezzato; Nerino pure, ma non capisco …

tromba5

* Meglio abbondare che scarseggiare!

** Meglio riguardarsi (o curarsi …) che mostrarsi scemo!

____________

1 Nuègghia per il Rholfs è da “nubes+suffisso collettivo –ilia”. Io non escluderei la derivazione da nùbila (alla lettera: cose nuvolose), neutro plurale con valore sostantivato dell’aggettivo nùbilus/nùbila/nùbilum (sempre dal citato nubes=nube), da cui deriva l’italiano nuvola. Trafila: nùbila>*nubla>nuègghia. Per quanto riguarda l’esito –bla->-gghia– si tratta di un fenomeno assolutamente normale, come in nègghia (nebbia) che è da nèbula attraverso una forma intermedia sincopata *nebla.

2 In quel nullus est modus (non c’è limite) lo scienziato condensa il suo scetticismo, ma egli non rinuncia ad una più estesa documentazione. Ecco cosa si legge  subito dopo il brano appena riportato: Ex ipsis vero mensibus, monstrificis alias, ut suo loco indicavimus, dira et infanda vaticinantur, e quibus dixisse non pudeat, si in defectus lunae solisve congruat vis illa, inremediabilem fieri, non segnius et in silente luna, coitusque tum maribus exitiales esse atque pestiferos, purpuram quoque eo tempore ab iis pollui; tanto vim esse maiorem. Quocumque autem alio menstruo si nudatae segetem ambiant, urucas et vermiculos scarabaeosque ac noxia alia decidere. Metrodorus Scepsius in Cappadocia inventum prodit ob multitudinem cantharidum; ire ergo per media arva retectis super clunes vestibus; alibi servatur, ut nudis pedibus eant capillo cinctuque dissoluto. Cavendum ne id oriente sole faciant, sementiva enim arescere, item novella tactu in perpetuum laedi, rutam et hederam, res medicatissimas, ilico mori. Multa diximus de hac violentia, sed praeter illa certum est, apes tactis alvariis fugere; lina, cum coquantur, nigrescere; aciem in cultris tonsorum hebetari; aes contactu grave virus odoris accipere et aeruginem, magis si decrescente luna id accidat; equas, si sint gravidae, tactas abortum pati, quin et aspectu omnino, quamvis procul visas, si purgatio illa post virginitatem prima sit aut in virgine aetatis sponte manet. Bitumen in Iudaea nascens sola hac vi superari filo vestis contactae docuimus. Ne igni quidem vincitur, quo cuncta, cinisque etiam ille, si quis aspergat lavandis vestibus, purpuras mutat, florem coloribus adimit, ne ipsis quidem feminis malo suo inter se inmunibus: abortus facit inlitu aut si omnino praegnas supergradiatur. Quae Lais et Elephantis inter se contraria prodidere de abortivo carbone e radice brassicae vel myrti vel tamaricis in eo sanguine extincto, itemque asinas tot annis non concipere, quot grana hordei contacta ederint, quaeque alia nuncupavere monstrifica aut inter ipsa pugnantia, cum haec fecunditatem fieri isdem modis, quibus sterilitatem illa, praenuntiaret, melius est non credere. Bithus Durrachinus hebetata aspectu specula recipere nitorem tradit isdem aversa rursus contuentibus, omnemque vim talem resolvi, si mullum piscem secum habeant; multi vero inesse etiam remedia tanto malo: podagris inlini, strumas et parotidas et panos, sacros ignes, furunculos, epiphoras tractatu mulierum earum leniri. Lais et Salpe canum rabiosorum morsus et tertianas quartanasque febres menstruo in lana arietis nigri argenteo bracchiali incluso; Diotimus Thebanus vel omnino vestis ita infectae portiuncula ac vel licio bracchiali inserto. Sotira obstetrix tertianis quartanisque efficacissimum dixit plantas aegri subterlini, multoque efficacius ab ipsa muliere et ignorantis; sic et comitiales excitari. Icatidas medicus quartanas finiri coitu, incipientibus dumtaxat menstruis, spopondit. Inter omnes vero convenit, si aqua potusque formidetur a morsu canis, supposita tantum calici lacinia tali statim metum eum discuti, videlicet praevalente sympathia illa graecorum, cum rabiem canum eius sanguinis gustatu incipere dixerimus. Cinere eo iumentorum omnia ulcera sanari certum est addita caminorum farina et cera, maculas autem e veste eas non nisi eiusdem urina ablui, cinerem per se rosaceo mixtum feminarum praecipue capitis dolores sedare inlitum fronti, asperrimamque vim profluvii eius esse per se annis virginitate resoluta. Id quoque convenit, quo nihil equidem libentius crediderim, tactis omnino menstruo postibus inritas fieri magorum artes, generis vanissimi, ut aestimare licet. (Dagli stessi mestrui altrimenti magici come a suo tempo indicammo vengono vaticinati eventi tremendi e indicibili; tra questi non ci si vergogni di dire che, se quella forza viene a coincidere con l’eclissi di luna o di sole, non c’è rimedio; che non è più mite quando la luna non si vede e allora il coito è per i maschi rovinoso e pestifero; che pure la porpora dai mestrui in quel tempo viene macchiata e che di tanto la loro forza è maggiore. In qualunque altro mestruo, se vanno nude intorno alle messi, cadono i bruchi, i vermetti e altri parassiti. Metrodoro Scepsio dice che ciò fu scoperto in Cappadocia contro l’infestazione delle cantaridi; che vanno dunque in mezzo ai campi con le vesti alzate sopra le natiche; altrove si cura che esse vadano a piedi nudi e con i capelli e la cintura sciolti. Bisogna evitare che facciano questo al sorgere del sole, perché s’inaridirebbero le piante da semina; allo stesso modo le piante novelle sono danneggiate per sempre dal contatto e la ruta e l’edera, piante dalle spiccate proprietà medicinali, subito muoiono. Molto abbiamo detto di questa forza ma oltre a ciò è certo che le api fuggono quando sono toccate le arnie, i lini, quando vengono imbiancati, anneriscono, il filo dei rasoi si rovina, il rame al contatto assume un odore pesante ed arrugginisce, soprattutto se ciò avviene a luna piena, le cavalle, se sono gravide, abortiscono se toccate, anzi ciò avviene solo a guardarle, anche da lontano, se quella è la prima mestruazione dopo la verginità o se nella vergine d’età permane spontaneamente. Abbiamo detto che il bitume che nasce nella Giudea viene portato in superficie da questa sola forza con un filo della veste toccata. Il mestruo non viene vinto neppure dal fuoco dal quale tutto è vinto, e anche quella cenere, se qualcuno la sparge per lavare le vesti, muta le porpore, toglie vivezza ai colori, non essendo neppure le donne tra loro immuni da questo loro male: impiastrato osolo se la donna gravida vi passa sopra causa l’aborto. Laide ed Elefantide hanno tramandato notizie tra loro contrastanti in torno al carbone ricavato dalla radice del cavolo o del mirto o della tamerice abortivo se spento in quel sangue e parimenti che le asine non concepiscono per tanti anni per quanti granelli di orzo toccasti da esso hanno mangiato e quelle altre cose terrificanti e tra loro in contrasto che hanno nominato, annunziando una che c’è la fecondità negli stessi modi in cui l’altra annunzia la sterilità: è meglio non credere. Bito di Durazzo tramanda che gli specchi offuscati dallo sguardo (delle donne) recuperano lo splendore se le stesse li guardano dal lato opposto e che tale potere viene annullato completamente se hanno con loro il pesce mullo [è la triglia]; molti dicono pure che in tanto male ci sono pure proprietà medicamentose: si ungono le gotte, dal contatto di tali donne sono mitigate le suppurazioni, le scrofole, i gonfiori, il fuoco sacro [fuoco di sant’Antonio o herpes zoster], i foruncoli, il catarro. Laide e Salpe dicono che si leniscono i morsi dei cani rabbiosi e la febbre terzana e quartana chiudendo in un bracciale d’argento il mestruo posto nella lana di un montone nero. Diotimo di Tebe dice che questo va fatto esclusivamente con un brandello di veste così imbevuta e anche con un filo inserito nel bracciale. La levatrice Sotira ha detto che è efficacissimo nelle terzane e nelle quartane quando è impiastrato sulle piante dei piedi e molto più efficace se ciò è fatto dalla stessa donna e senza che l’ammalato lo sappia. Così si eccitano anche gli epilettici. Il medico Icatida assicura che la quartana cessa con il coito, purchè avvenga all’inizio del mestruo. Tutti però concordano nel dire che, se uno è spaventato dall’acqua e dal bere per il morso di un cane, la paura viene immediatamente eliminata soltanto dal lembo della veste posta sotto il bicchiere, cioè in forza di quella che i medici chiamano simpatia, poiché già dicemmo che i cani diventano rabbiosi quando gustano tale sangue. È certo che con la cenere dei carboni spenti in esso guariscono tutte le piaghe dei giumenti, con aggiunta di polvere di cumino e cera, che le macchie delle vesti si tolgono lavandole nell’orina della donna medesima, che la cenere mescolato con olio di rose e impiastrato sulla fronte calma i dolori di testa specialmente delle donne e che grandissima è la forza di questo flusso negli anni immediatamente successivi alla verginità. In questo anche si è d’accordo, cosa alla quale crederei volentieri più di ogni altra, che solo a toccare col sangue mestruale le porte delle case vengono neutralizzate le arti dei maghi, razza inutile, come è lecito credere).

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7 Commenti a Quandu ‘nc’era ci tagghiava li ièrmi e ppuru li nzurfiòni (Quando c’era chi tagliava i vermi e pure le trombe d’aria) …

  1. Articolo come al solito interessantissimo. Credo che poche persone dai quarant’anni in giù abbiano avuto modo di osservare i fenomeni descritti; personalmente, ho avuto la fortuna di assistere direttamente ad alcuni di essi, mentre di altri ne ho sentito diffusamente parlare. Mi permetto pertanto di inserire due spunti:
    1. In passato, il fenomeno del “taglio dei vermi” non era visto (almeno ad Aradeo) come una prassi “magica”, ma come una vera e propria forma di cura, al pari di “stuppate” e “cuppini” (usati per la cura di dolori e traumi articolari) o dei “fumanti” (per la pulizia delle orecchie). Non credo che la distinzione tra magia e pseudo-medicina sia di poco conto. Le donne capaci di curare alcune patologie non erano viste infatti come “maghe”, ma come guaritrici: non avevano dunque poteri soprannaturali, ma conoscevano delle terapie, o per meglio dire pratiche giudicate tali. Non mancavano tuttavia zone, potremmo dire, di confine. Se ad esempio lanciare dei ceci in un pozzo per far sparire le verruche alle mani era considerato unanimemente magico, diversa concezione aveva lo “spascianu”, ovvero la fascinazione: da alcuni assimilata ad una pratica medica, da altri ad una magia, da altri ancora ritenuta una semplice cantilena di preghiere inutili, al più capaci di suggestionare il paziente.

    2. La preghiera a Santa Barbara, almeno a Sannicola, Neviano e Aradeo, era rivolta a San Giovanni, con una forma leggermente diversa:
    Azzate san Giuvanni e nu durmire,
    ca viciu tre nuveje caminare,
    una de acqua una de jentu,
    una de triste maletiempu.
    Mandale addhru nu canta gallu,
    addhru nu luce luna,
    addhru nunn’ave niscun’anima o creatura

  2. La preghiera che si recitava invocava l’intercessione di San Paolo. Le praticone che la conoscevano non potevano trasmetterla ad altri perché sarebbe divenuta inefficace. Per questo veniva biascicata, senza poter essere compresa dagli astanti

  3. Più che gli ossiuri si “tagliava” la tenia, un parassita intestinale contratto con il consumo di carni poco cotte, specie di maiale. Detto dal nostro popolo “‘erme solitariu” causava notevoli ed inspiegabili dimagramenti e fame incontenibile.
    Tra i rimedi popolari anche l’ingestione di semi di zucca, oltre al solito aglio.
    Gli ossiuri colpivano più frequentemente i piccoli, tormentati dal prurito anale, mentre le tenie gli adulti

    • In erboristeria sono notorie le virtù curative dei semi di zucca e dell’aglio.
      I semi di zucca, presi in dosi appropriate, sono dei discreti antibiotici, usati con soddisfacenti risultati specialmente nella cura delle cistiti urinarie.
      L’aglio, tra le altre virtù medicamentose, è stato sempre considerato un buon antibatterico frequentemente usato per combattere diverse infezioni batteriche, specie quelle intestinali.
      Pertanto, è molto probabile che l’uso associato dei semi di zucca e dell’aglio, riuscissero quantomeno ad alleviare, e in molti casi a guarire del tutto, i soggetti colpiti dagli ossiuri

  4. In merito al fenomeno delle trombe d’aria, e di quelle marine, si recitava:
    “Potenza del Padre, Forza del Figlio, Sapienza dello Spirito Santo, con questo coltello io ti taglio”.

  5. Anche a Veglie era rivolta a San Giovanni, simile a quella riportata da Alessio, ma non trovo la spiegazione della preghiera a quel santo.

    • San Paolo dal popolo era considerato protettore di tutti gli animali striscianti, insetti, aracnidi. L’aspetto della tenia, una volta srotolata, è paragonabile ad un rettile

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