Le sagre del Salento. Occorre un disciplinare?

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di Mimmo Ciccarese  

Periodo estivo, periodo di divertimento e di miriadi di sagre. Il Salento, territorio ormai evocato all’accoglienza turistica, che fra tutti vanta il maggior numero di comuni in Italia, deve quasi inevitabilmente promuovere le sue produzioni locali attraverso le sagre. Perché?

La sagra dovrebbe figurare il coacervo produttivo dei suoi residenti ed questo mi pare uno sforzo più che pregevole. La sagra è un elogio al territorio, su questo non ci sono dubbi ma da sola non colma il vuoto della sua promozione.

Al turista vero che arrotonda le critiche della sua ricerca sui social forum, al residente rassegnato che antepone lo sgabello sull’ingresso della sua abitazione per non far posteggiare, alla vecchietta costretta a rimuovere i vuoti a perdere dalla soglia della sua casa, a chi vuol parlare o riposare e non può per l’esplosione della musica battente, ci pensa mai qualcuno?

È possibile che tra questa baraonda di eventi ci sia qualcosa di tedioso e stonato o che non riesce ad andare per il verso giusto. Per questi e altri motivi, forse, il complesso delle sagre salentine non potranno quasi mai diventare ecosostenibili in toto. Ci sarebbe ancora molto da ridefinire.

Nel Salento ci si concede il lusso di visitare dieci sagre in una serata. Se non piace la melanzana, ci si conforta con la pizzica, se poi non piace neanche la solita tiritera, puoi spostarti al paese accanto dove c’è la sagra del maialetto e il giorno dopo sulla stessa piazza quella delle sue interiora.

A questo punto c’è da chiedersi come mai per le sagre di paese non esista un disciplinare comune per evitare disservizi e malcontenti e quanti sono quei comuni che in realtà, l’hanno pianificato? Solo poche amministrazioni previdenti ci hanno pensato, articolando una serie di regole, fondamentali per la buona riuscita di una sagra.

Il vacanziere che non conosce la nostra campagna e i suoi prodotti di stagione, potrebbe ritrovarsi nel bel mezzo di una sagra salentina a degustare qualcosa di non proprio intonato al territorio che lo ospita. Qualcuno di essi potrebbe pensare che nel Salento ci siano più castagne che olive o che le famose “pittule” si friggono meglio nell’olio di girasole che in quello d’oliva.

Ad esempio, la definizione di sagra non è molto chiara, non specifica se i prodotti debbano essere necessariamente locali, non è poi così importante, almeno, si spera non si utilizzino prodotti surgelati d’origine sconosciuta spacciandoli per prodotti freschi tipici e locali.

La definizione di sagra potrebbe riguardare il comune pensiero che si tratti di un evento a carattere folclorico, momento di aggregazione sociale, di trattenimento e svago, espressione di cultura, di tradizione e storia della comunità locale.

È certo che una sagra, quanto più è consolidata tanto più porta valore economico ma occorre ripetere e far garantire che i prezzi alla cassa siano equi per tutti e più bassi di quelli imposti nei locali al chiuso, che la tipologia dell’evento corrisponda realmente a quella descritta nella presentazione o almeno dare una parvenza d’informazione su quello che si somministra.

Per questo per non cadere nel tranello del binomio sagra – profitto, non ci si può improvvisare, serve esperienza, buon senso e delicatezza, delineare un disciplinare collettivo per conservare dignità e identità, rispetto dei luoghi e della storia che i patrimoni culturali ricevuti in eredità sono molto più importanti di quanto si pensi.

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