Un maestro neretino del XV secolo nel ricordo di un suo allievo (2/2)

di Armando Polito

Nell’elenco dei discepoli che nella prima parte ho riportato dal Toppi manca proprio Pietro Pomponazzi (di seguito in un’immagine tratta da Pauli Iovii Novocomensis episcopi Nucerini Vitae illustrium virorum tomis duobus comprehensae, & proprijs imaginibus illustratae, Perna, Basilea, 1576 (http://www.pitts.emory.edu/dia/detail.cfm?ID=105437).

La lacuna è abbastanza strana, poiché la fama dell’assente è di gran lunga superiore a quella dei presenti. Io non escluderei che tale mancanza sia da ascrivere ad una sorta di ostracismo del Toppi nei confronti di alcune opere del Pomponazzi giudicate non solo non  convenzionali ma addirittura sconvenienti. Alludo al De immortalitate animae [nelle immagini che seguono: lo scarno frontespizio (a parte le note aggiunte nell’esemplare che è visibile in http://reader.digitale-sammlungen.de/de/fs1/object/display/bsb10149711_00003.html) della prima edizione uscita a Bologna nel 1516 per i tipi di Giustiniano di Leonardo Ruberiense (dati presenti nel colophon) e quello, con ritratto, dell’edizione del 1791], che fece scalpore perché vi si affermava che l’immortalità dell’anima non può essere dimostrata razionalmente, all’Apologia (1518) e al Dephensorium adversus Augustinum Niphum (1519) dove, invitato dalle autorità ecclesistiche a ritrattare, difese le sue ragioni. La controversia gli impedì di pubblicare altre opere di natura teologica (che uscirono postume con qualche modifica non sua) e lo costrinse a dirottare il suo impegno su altri argomenti, come mostrano il De nutritione et augmentatione, il De partibus animalium, entrambi del 1521, e il De sensu del 1524.

Ecco come Pietro si esprime riguardo al suo maestro nel trattato De reactione uscito per i tipi di Benedetto Ettore a Bologna nel 15151:

Il Pomponazzi, dunque, sente il dovere di citare il maestro ma subito dopo non può fare a meno di esaltarne la memoria, derogando alla freddezza della trattazione scientifica.

Ricordando l’aforisma leonardesco con cui si apriva la prima parte mi vien da dire che, stando alle pubblicazioni, l’allievo (e non mi riferisco solamente al Pomponazzi) superò certamente il maestro. Tuttavia la grandezza di uno studioso si può misurare attendibilmente col metro, anzi col peso    (oggi più che mai solo cartaceo …) delle sue pubblicazioni? Me lo chiedo con l’animo scevro da qualsiasi condizionamento di carattere campanilistico e credo di meritare fiducia, visto che finora non mi sono lasciato sfuggire nemmeno un’occasione per stigmatizzare il fenomeno, antico e moderno, della nobilitazione, in alcuni casi pure truffaldina, delle memorie patrie o locali.

E, siccome l’attacco di megalomania in corso prima di rientrare ha bisogno di sfogarsi e nel ribaltare i ruoli provo un gusto maledetto, mi permetto di accostare all’aforisma leonardesco il mio che suona così: Tristo è quel maestro che non apprende dal proprio discepolo.

Altro che Buona scuola! …

Per la prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/07/20/un-maestro-neretino-del-xv-secolo-nel-ricordo-di-un-suo-allievo-12/

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1 https://books.google.it/books?id=NgFPAAAAcAAJ&printsec=frontcover&dq=pietro+pomponazzi+de+reactione&hl=it&sa=X&ei=p_WgVfXwFMz8UIXGoMgD&ved=0CCAQ6AEwAA#v=onepage&q=pietro%20pomponazzi%20de%20reactione&f=false

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