Repressione del contrabbando nella Gallipoli del ‘700

Repressione del contrabbando nella Gallipoli del ‘700:

il caso delle galere della Sacra Religione di San Giovanni Gerosolimitano

di Antonio Faita

 

faita

Gallipoli vantava una lunga tradizione nel commercio oleario in terra d’Otranto. Dal XVII secolo, come ci tramanda il Vernole «non più era Gallipoli l’Emporio principale del Salento,  ma ormai  ne era l’unico Emporio, ed era uno dei più pingui Empori di tutte le Puglie: il suo nome, che prima echeggiava qua e là nel Mediterraneo, nel Seicento varcò gli stretti e richiamò nel porto gallipolino vascelli dai cui pennoni sventolavano le Bandiere Nazionali di tutto il mondo»[1].

Lo sviluppo di attività artigianali e lapresenza di una popolazione di passaggio, che importava beni di vario tipo venuti da lontano, (i pesci in sale o disseccati di Terranova, della Norvegia o dell’Inghilterra; le manifatture di Francia e Germania; i legnami di Trieste, Fiume e Venezia; i coloniali di Malta; le pietre da molino delle Isole Greche; i giunchi secchi delle isole Ionie e i tanti articoli e manifatture delle principali città)[2], migliorarono il benessere economico e la qualità della vita.

Nel Settecento, nel Regno di Napoli, i movimenti mercantili erano selezionati e spesso impediti dalla situazione negativa di una viabilità frammentaria, trovando uno sfogo soltanto parziale nell’organizzazione portuale e nei traffici marittimi, in quei litorali che assunsero man mano una precisa fisionomia di centri di importazione e di esportazione di prodotti.

Anzitutto va rilevato come il genere predominante nei traffici via mare, all’interno del Regno e non solo, fosse senza dubbio il frumento oltre all’olio, al vino e altre mercanzie che, da mercanti speculatori e compagnie commerciali di diverse nazionalità, venivano imbarcati per i porti del proprio paese e per quelli di altre nazioni. Infatti la maggior parte dei carichi di frumento e, in genere, di “grani” provenivano da Taranto, Crotone, Barletta, Manfredonia e Trani, senza trascurare anche l’apporto della costa settentrionale.

Se si tiene presente che sulla costa jonica erano attivissimi i porti di Taranto, Gallipoli e Crotone, rimane confermata in pieno l’impressione di una struttura distributiva fortemente concentrata nei traffici marittimi [3]. Grandi quantitativi di grano continuavano ad essere esportati dalla Puglia, dalla Sicilia, dalla Calabria, verso Napoli, Malta e Genova [4].

Dal porto di Gallipoli, specie tra il 1707 ed il 1722, partiva, per raggiungere i porti del Regno e quelli esteri, un gran numero di convogli di grano che, assieme agli orzi ed ai legumi, rappresentavano il genere che dava luogo ad una cospicua corrente di traffico ed inoltre ad una fonte di entrate notevoli, sia pure incostante, per il fisco regio, attraverso il pagamento dei diritti di tratta [5].

Rivestendo un ruolo cruciale per l’alimentazione e per il settore primario, il grano era oggetto di costanti attenzioni da parte delle autorità. Gli uffici annonari si occupavano di assicurare il pane e i generi alimentari di sussistenza alla popolazione, specialmente a quella delle città, per evitare sommosse e tumulti. I prezzi del grano rimasero piuttosto alti fino al 1700.

Ma il fatto decisivo, di carattere meteorologico, si verificò nel gennaio 1709. Una gelata del tutto eccezionale, arrivata all’improvviso, distrusse ogni speranza di salvare il raccolto. Subito si diffuse il panico. Quasi dappertutto i prezzi del grano raggiunsero o superarono le cifre record della primavera del 1694, e al rincaro seguirono inesorabilmente gli stessi disastrosi effetti. Perfino a corte si mangiava pane cattivo. Fino all’inizio dell’estate 1710 si visse col cuore sospeso. Pochi raccolti nella storia d’ogni paese hanno avuto tale importanza come quello dell’anno 1710 [6].

In questo scenario, diffusissimo era il contrabbando, sostenuto dalla solidarietà o addirittura dalla connivenza della Popolazione. Forme di commercio illegale, atti di banditismo e vari fenomeni criminosi si intrecciavano sempre più organicamente da connotare in maniera negativa non solo l’ordine pubblico, ma anche l’equilibrio delle forze sociali egemoni. Soprattutto nel ‘600 e nel primo ‘700 pezzi della feudalità regnicola e salentina si davano al contrabbando dei generi di prima necessità, lucrando profitti enormi, per mano di un banditismo endemico al servizio ora dell’una, ora dell’altra casata aristocratica, generando una sorta di guerra per bande che spinge l’autorità centrale ad intervenire militarmente con maggiore determinazione[7]. Anche a Gallipoli si tentò di punire chi violava le rigide prammatiche [8] nel commercio interno ed esterno. Non sfuggirono al controllo neanche numerosi ecclesiastici e patrizi che esercitavano e favorivano il contrabbando.

Uno di questi episodi viene riportato dallo studioso Federico Natali nel suo lavoro Gallipoli nel Regno di Napoli. Dai Normanni all’Unità d’Italia, in cui  racconta come nel dicembre del 1709, in piena guerra di successione spagnola, il regio Governatore Don Saverio Rocca, intervenne contro alcuni patrizi locali, inquisendo Silvio Zacheo, Marcello D’Elia e Maurizio Stasi, per aver fornito grano di contrabbando, alle galee della Sacra Religione di San Giovanni Gerosolimitano o meglio conosciuto come Ordine di Malta [9], sottraendolo all’Annona della città. Secondo Natali, dunque, fu il Governatore a infierire con persecuzioni contro quei cittadini che aiutarono i cavalieri di Malta, a tal punto da provocare le rimostranze del Gran Maestro Raimondo Perellos y Roccafull, a scrivere al vicerè di Napoli, il cardinale Vincenzo Grimani.

Ben diverso è il parere dello storico Ettore Vernole [10], facendo ricadere le colpe sul Castellano Don Emanuel Alveres y Valdes [11] che «infierì con persecuzioni e perquisizioni contro gli ospitali cittadini e il Sindaco ne fece rapporto al Gran Maestro dell’Ordine» [12].

Grazie all’apporto di due atti notarili, rogati dal notaio Carlo Megha di Gallipoli, datati 6 agosto 1710 e con l’attenta lettura di una copia di provvisione, ma che in realtà trattasi di una citazione del 24 luglio 1710, ci aiutano a capire come realmente si svolsero i fatti.

Nel primo documento abbiamo la testimonianza spontanea dei signori: «Donato Ferandeles, Francesco del’Acqua, Orontio Pugliese, Tomaso Bellone ed Angelo de Marco Caporali della Compagnia del Battiglione a piede di questa città» [13] i quali con giuramento, attestavano, dichiaravano e facevano fede «come nel passato Anno 1709, Sindicato del Signor Francesco Roccio, a tempo furono Le Galere della Squadra della Sacra Religione di Malta, furono chiamati da detto Signor Sindico che zelassero a non farsi commettere estortione  de grani».

Da questa prima ricostruzione si evince che fu il Sindaco a impartire gli ordini ai Caporali suddetti che si adoperassero a non farsi estorcere il grano dai “militum christi”. Inoltre, ordinò di vigilare rigorosamente e a fare la guardia «così di giorno come di Notte, tanto per dentro La Città rondando le moraglie, quanto per fori d’essa nelle capistrade per la Comunicatione de lochi Convicini a questa città». I Caporali, con i loro soldati eseguirono gli ordini perlustrando e facendo la guardia giorno e notte per tutto il tempo che le galee rimasero ormeggiate nel porto. Si divisero, alcuni dentro la città, altri nella strada di «Santo Leonardo» e altri ancora nella zona conosciuta come «Conella delle Rene», facendo in modo che si impedisse di condurre il grano per caricarlo alle dette galee. Per tale compito, i militari «vennero pagati a spese della Magnifica Università di questa Città e n’appariscono le ricevute de loro giornate».

Nel secondo documento, a testimonianza dei fatti accaduti, sono «Domenico de Pandis, e Tomaso Ruberto, Guardiani del Porto di questa predetta Città di Gallipoli» [14]. Essi attestarono e confermarono della presenza nel porto di Gallipoli, nell’anno 1709 delle «Galere della Sacra Religione di Malta» e, il Signor Sindaco Francesco Roccio, fece mettere «di custodia alla Porta di detta Città Marco Rosano e Nicolao Rontio Soldati del Regio Governatore della Città, con ordine che quelli non permettessero far uscire grani ed imbarcassero sopra le dette Galere». Di fatto, i suddetti soldati «assistirono nella Porta di detta Città esequendo con puntualità l’ordine di detto Signor Sindico a non far uscire grani». Per lo svolgimento di tale compito, i due militari vennero pagati dal «Signor Sindico».

Sulla base e a conferma di quanto detto sopra, interessante è invece l’atto di citazione del Tribunale della Sommaria, dal quale si evince non solo che ad accusare i tre cittadini, il Dott. Silvio Zacheo, il Dott. Marcello D’Elia, rispettivamente, già Sindaci negli anni 1699-1700 e 1703-1704,  Maurizio Stasi appaltatore, fu il Sindaco Francesco Roccio, ma emergono anche tanti altri particolari utili alla vicenda.

Intanto c’è da precisare che i fatti si svolsero nel mese di settembre e che le galee maltesi (triremi) erano cinque «Cum in mense septembris anni elap[si] pervenerint ad portum dictæ Civitatis Gallipolis quinque triremes dictæ Religionis Hyerosolimitanæ» [15]. La squadra delle galee maltesi [16], che molto spesso scortava i mercantili cristiani, cacciava le flotte musulmane durante la stagione della navigazione, che durava da aprile a ottobre di ogni anno, poiché l’Ordine era de jure e de facto in costante guerra con il mondo musulmano[17]. La stessa squadra, comandata dal commendatore Fra Ludovico Fleurigny, era stata protagonista sia nell’inseguimento di quattro Sultane e un Brigantino che stentavano una discesa sulle coste della Calabria [18], sia nella clamorosa vittoria nelle acque dello jonio attaccando congiuntamente ai vascelli comandati dal Cav. Giuseppe de Langon, la Capitana di Tripoli, incendiandola [19].

A seguito di questi eventi, il servizio di pattugliamento nel Mediterraneo, per scongiurare l’invasione turca, portò più volte le galee maltesi nelle acque del Golfo di Taranto.

Molta cura era riservata dal Capitano delle galee ai rifornimenti e alla conservazione del cibo durante gli estenuanti mesi di navigazione.La possibilità di approdare in paesi amici e imbarcare anche cibo fresco come frutta e verdura aveva completamente scongiurato tra i cavalieri e la ciurma malattie quali lo scorbuto molto diffuso all’epoca negli equipaggi delle navi. Oltre a cibi freschi, carne, pesce, olio, aceto, vino, zucchero, caciocavallo e frutta secca a bordo delle galee non poteva mancare il biscotto, sorta di galletta di grano consumata in notevole quantità per sfamare e dare energia all’equipaggio di ogni unità, in genere costituito da un numero di persone che oscillava dalle 360 alle 550 [20].

Per questo motivo, la squadra giunse a Gallipoli per rifornirsi di grano. Il Sacro Ordine, legava, con Gallipoli, un rapporto molto stretto sin dal 1523, quando i nostri antenati dimostrarono un atto di cordiale e fraterna ospitalità nei confronti dell’Ordine in un momento doloroso della loro storia, guadagnandosi la gratitudine del Gran Maestro Villiers [21].

A seguito di questo episodio si intrapresero scambi commerciali con Malta. Infatti, nella vicenda del 1709, i gallipolini «furon solleciti di assistenze e di onori di casa agli equipaggi» [22], i cui uomini, aggirandosi abitualmente tra i cittadini gallipolini si procuravano frumento acquistato di contrabbando, caricato e ammassato sopra le dette galee «homines quarum familiariter convers[os] Inter cives Gallipolitanos procurabant emptiones frumentorum (…) controbandi et incontrobannum super dictis triremibus»[23]. Qui l’intervento del Sindaco Roccio, il quale fece promulgare un “banno” giuntogli dal Vicerè, in cui si vietava la vendita di frumento da caricare sulle galee «nullus ex Civibus aut Advenis in dicta Civitate (…) frumentum vendidisset ad onerandum illud in dictis triremibus» [24]. Fu assegnato ai soldati «vulgaliter de Battiglione» la custodia della porta della Città per impedire il contrabbando di cereali in modo da evitare un rialzo dei prezzi, carestie e tumulti popolari. In quell’anno all’annona, il grano era venduto per dieci carlini e, nonostante ciò, gli uomini di dette galee lo pagarono al prezzo di tredici carlini per ogni tomolo «non obstante quia homines dictorum triremium solvebant frumentum predictum pretio terdecim carolenorum pro quolibet tumulo» [25].

Da molte persone furono venduti centinaia di tomoli e caricati sulle suddette galee e nello specifico «vendidit Marcellus d’Elia tumola centum quinquaginta, Silvius Zacheo tumola quinquaginta circiter et Mauritius Stasi centum vicinti circiter frumenti ad dicta rattionem Carolenorum terdecim proquolibet tumulo»[26] con le seguenti modalità: il grano, venduto da Marcello D’Elia nella sua casa, veniva messo in dei sacchi e con l’aiuto dei servi, caricato su una mula e trasportato presso la spiaggia del porto con ripetuti viaggi. Qui veniva consegnato agli uomini delle galee che, a loro volta lo travasavano in dei catini di creta, caricato su piccole imbarcazioni e trasbordato sulle suddette galee «Dictus Marcellus d’Elia asportando ea ad litus portus Civitatis repetitis vicibus super [quadam] eius mula quam sic oneratam a mancipiis ex gentibus dictorum  triremium conducere fuit cum dicto frumento vendito in sacchis (…) a sua domu venduto pro illo exstruendo estra Regnum in dictis triremibus et traiecto intus parvula liimbam vulgaliter schifo quæ manebat in litore predicta» [27].

Allo stesso modo fece anche Silvio Zacheo, il quale vendette una quantità di frumento, all’incirca tomola cinquanta, e con il suo servo, seguiva tutte le fasi di trasporto per tutto il tempo occorso «et eadem modo similiter estraere fecit dictus Silvius Zacheo quantitutem frumenti ab ipso praedictos homines empti et tempore trasportationis dicti frumenti ibat et redibat eam associando quidam eius famolus» [28].

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Quanto al frumento, venduto da Maurizio Stasi, uno degli appaltatori delle decime della città, veniva sottratto impropriamente e stipato nella sua casa, affittatagli da Tommaso Antonio Raimundo. In catini di creta veniva trasportato a bordo delle galee «et respectu frumenti venditi a Mauritis Stasi ut supra, prefatus Mauritius erat unus ex appaltatoribus decimarum dictæ Civitatis et idem collectum erat a supradictis decimis quod frumentum repositum reperiebatur in domo Tomæ Antonii Rahimundo locata dicto Mauriti Stasi illud cum limbis dictarum triremium venditum et asportatum fuit in eisdem etiam incontrobannum» [29].

Considerando la gravità dei fatti, i sopraddetti Marcello D’Elia, Silvio Zacheo e Maurizio Stasi, quali principali inquisiti di traffico di contrabbando di frumento ritennero opportuno rivolgersi al Gran Maestro dell’Ordine, Raimondo Perellos, scrivendo una lettera in data 29 ottobre 1709, sollecitandolo di intervenire in loro aiuto. Il Gran Maestro si attivò scrivendo al Vicerè, cardinale Vincenzo Grimani, informandolo dei fatti successi nei confronti delle sue galee e invitandolo a prendere qualsiasi provvedimento a far cessare  ogni procedimento nei confronti di quei cittadini e di far riconoscere la loro innocenza. Successivamente, in data 31 dicembre 1709, da Malta inviò una lettera indirizzata al Sindaco e agli eletti scrivendo quanto segue:

Spettabili Signori,

            Ha tardato à giungermi la lettera di Loro Signori delli 29 ottobre, dalla quale ho sentito con dispiacere che il Governo praticasse perquisitioni contro alcuni loro cittadini per l’assistenza d’alcune provisioni date alle mie Galere, mentre si sono trattenute scorrendo codesta costa. Per secondare le loro richieste hò scritto subito all’Emimo Signor Cardinale Vice Rè et ho data Commissione al Ricev.te della mia Religione, perché passi colla viva voce tutti l’Offici necessarj, ad effetto di far cessare ogni procedimento e spero, che si conseguirà dalla Giustizia di S. Em.za, quando non s’havessero ottenuto anche prima, perché fusse stata conosciuta la loro innocenza. Conchè stimando al maggior segno le riprove della loro amorevolezza, gl’auguro dal Cielo ogni bene.

            Malta, 31 Xbre 1709 Al piacere delle SS. VV, il Gran Maestro: Perellos»[30].

Nel frattempo, gli inquisiti furono portati davanti alla Regia Corte del Governatore e condannati in primo grado di giudizio. Ciò avveniva nonostante l’assenza del Governatore Don Saverio Rocca, che si era recato a Barcellona dal Re Carlo III per il nuovo incarico di Preside di Lecce [31] ed era ignaro dei fatti accaduti. La questione andò avanti per mesi senza mai attenuarsi, fino ad arrivare a essere sottoposta alla Regia Camera Abreviata di Napoli.

In data 24 luglio 1710, alla presenza di Don Cesare Michele Angelo D’Aquino D’Aragona Preside della Regia Camera Abreviata, , dei mastrodatti  Don Michele Vargas Macuccha e Eufebio Girardo e dell’attuario Gaetano Foglia, vista l’accusa nei confronti dei signori Marcello D’Elia, Silvio Zacheo e Maurizio Stasi e le pene in cui incorrevano, si decise di far recapitare nel termine di dieci giorni, la citazione con le pene stabilite dal diritto per tali casi «personaliter si ipsos personam reperiri contigerit sin autem domi eorum solitæ hoc citationis ad penam in talibus a iure statutam quatenus infra die  decem post presentium intimationem»[32]: di presentarsi entro un mese di tempo presso la Regia Camera Abreviata di Napoli e qui ricevere ciascuno di essi la copia dei capitoli della speciale inquisizione formata contro di loro stessi e, per mancata presenza, la Regia Camera Abreviata si riservava di far decidere al Re, circa ogni delitto e pena. Purtroppo, in assenza di  documentazione, non sappiamo in pratica fino a che punto si estese il processo e quali risvoltipratici ebbe successivamente. Una cosa è certa che il dottor Marcello D’Elia e il dottor Silvio Zacheo continuarono a comparire tra  i “Magnifici” dell’Università di Gallipoli fino al 1721.

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[1] Cfr. E. Vernole,   Il Castello di Gallipoli, Tip. La Modernissima, Lecce 1933, p.236

[2] Cfr. P.  Maisen,  Gallipoli e suoi d’intorni, Tip. Municipale, Gallipoli, 1870, p.58

[3] Cfr. A. Faita,  Grano e corsari, in IL BARDO, Anno XVI, n.1, novembre 2006, p.2

[4] Cfr. G. Cirillo,  Alle origini di Minerva trionfante. Protoindustrie mediterranee: città e verlagssystem nel Regno di Napoli nell’età moderna, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Tip. Gutenberg, Fisciano (SA)2012, p.44

[5] Cfr. F. Natali, Gallipoli nel Regno di Napoli. Dai Normanni all’Unità d’Italia, Tomo I, Galatina, Ed Congedo 2007, p.321

[6] Cfr. J. Meuvret, La Francia dal 1688 al 1715,  trad. di Carlo Capra, capitolo X, in CAMBRIDGE UNIVERSITY PRESS, Storia del mondo moderno. L’ascesa della Gran Bretagna e della Russia 1688-1713, vol. VI, Ed. Garzanti, Milano 1972, p.384

[7]  Cfr. S. Muci, Note sul contrabbando sulle coste ioniche-salentine in età moderna (secc. XVII-XIX),in L’Idomeneo, Rivista della sezione di Lecce, Società di storia patria per la Puglia, Galatina, Ed. Panico 2004, p.180

[8] Cfr. aslecce, Scritture delle Università e Feudi: Atti diversi, Fasc. 36 (6), c.183/v : «Regia Prammatica n.20 edita e pubblicata per ordine dell’Eccellentissimo Conte De Olivares già Vicerè sotto la data del 27 novembre 1597 nella quale fu ordinato che simili delinquenti, oltre che nelle pene corporali incorrono anche nell’altra pena dell’ammissione (sequestro) dei beni subito commesso il contrabbando, nonché nell’altra Regia Prammatica n. 50 edita e pubblicata per ordine dell’eccellentissimo signor Marchese De Los Vales già Vicerè sotto la data del 27 settembre 1679 che non solo conferma la sopradetta Regia Prammatica, ma ordina anche che tali conclusioni ricadono nella pena di morte naturale e contro simili delinquenti sia possibile procedere alla sentenza di fuorgiudica dal giorno della contrazione dell’ultima contumacia nel corso dell’anno»

[9] Cfr. F. Natali, Gallipoli nel Regno di Napoli. Dai Normanni all’Unità d’Italia, pp.325-326

[10] E. Vernole,  Il Castello di Gallipoli, p.258

[11] Ivi, il 24 novembre 1706, giunse in città Don Emanuel Alveres y Valdes, prendendo il comando del castello e rimpiazzando il vecchio Capitano di Artiglieria Don Domenico Perez che vi risiedeva sin dal 1691, p. 257; Ciò non trova riscontro nelle cronache manoscritte di Antonello Roccio, “Notizie memorabili dell’antichità della fedelissima città di Gallipoli. Con molte altre memorabili curiosità così antiche che come moderne” (1640) in BCG, dal quale si evince che nel 1660 venne come Castellano, all’età di 25 anni Don Giuseppe della Cueva. Dopo la sua morte,avvenuta nel 1705 (APSAG, Registro dei defunti 1702 – 1719: «Nell’Anno del Signore mille settecento e cinque à di venti due di Novembre Don Giuseppe della Cueva da Santa Maria del Porto in Spagna d’anni settanta sei in circa, e Castellano di questo Reggio Castello di Gallipoli nella Comunione della Santa Madre Chiesa rend’è l’anima à Dio, il corpo à di detto fù sepelito nella Chiesa di Sto Francesco d’Assisi, fù confessato da Fra Tommaso da Casalnuovo Riformato, fù comunicato da me D. Nicolò Lopez Parroco sostituto à dì deci otto di detto», c. 36), arrivò come Castellano Don Emanuel Alveres y Valdes, il quale nel 1709 fu deposto dal castello per via dei suoi rivali e sostituito da Don Francesco Duvalles arrivato a Gallipoli nel 1710. Nel frattempo (1709), Don Emanuel Alveres y Valdes si recò a Barcellona da sua Maestà Carlo III per reclamare e ottenne il Governo come Castellano di Gallipoli, mentre Don Francesco Duvalles, divenne Castellano in Brindisi, c.335;

[12] E. Vernole,  Il Castello di Gallipoli, p.258

[13] Cfr. ASLecce, Not. Carlo Megha, coll. 40/13, Protocollo, anno 1710, cc. 230/v-231/r

[14] Ivi, cc. 231/-231/v

[15] Cfr. aslecce, Scritture delle Università e Feudi: Atti diversi, Fasc. 36 (6), c.183/r; e. pindinelli, L’Archivio delle scritture antiche dell’Università di Gallipoli, Alezio, Tip. Corsano 2003, pp. 222-223

[16]Cfr. F. Frasca  “Il potere marittimo in età moderna. Da Lepanto a Trafalgar”, Cromografica Roma per Gruppo editoriale l’Espresso, Roma 2009 : L’equipaggiamento delle galere maltesi era eccellente. L’Ordine iniziò le sue attività marittime con una squadra di tre galere, divenute otto nel 1685 per far fronte all’aumento delle necessità belliche contro i pirati barbaresci.  Alla fine del XVIII secolo, con l’inizio del declino dell’Impero ottomano, la squadra fu ridotta a cinque galere.  Il numero delle galere venne ridotto a quattro nel 1725, numero che rimase immutato fino al 1798. pp. 31-32

[17] Ivi, p.32

[18] Cfr. “Storia Universale dal principio del mondo sino al presente, scritta da una compagnia di letterati inglesi, Vol. XXXIII, Amsterdam 1789, p. 123

[19] Cfr. S. Bono, I corsari barbareschi, Ed. Eri, Torino 1964, p.123; e. rossi, Il sovrano militare dell’Ordine di Malta, Roma Libr. Romana 199?, p.40

[20] Cfr. O. V. Sapio, Presenza delle galere giovannite nel porto di Taranto in etá moderna, conferenza tenuta il 25 giugno 2007 presso il Castello Aragonese di Taranto promossa dal Gran Priorato di Napoli e Sicilia, p. 5

[21] Cfr. A. Roccio, Memorie di Gallipoli, (trascritto e annotato dal parroco D. Carlo Occhilupo), 1752, MS in BPLecce, c. 55/r: «Nel 1523 verso l’ultimi di Marzo fù nella Città di Gallipoli il Gran Maestro Frà Filippo di Vigliers Sedisladamo co tutti quei Cavalieri ch’avanzarono dal crudelissimo assedio di Rodi, dove essendo arrivato co dieci Vascelli da remo, fra quelli vi erano tre Galere fù co so modo honore ricevuto e di ogni cosa necessaria abbondantemente provisto, e perchè dimorò in Città da un mese in circa per ristorare quelli ch’erono sani, e per medicare gli infermi, che per la lunghezza del viaggio e per li molti patimenti sofferti nella sua armata, si trovavano curandone lasciati parte di quelli nella Città, partì poi per Messina, dove arrivò nell’ultimo d’Aprile»; b.ravenna, Memorie istoriche della Città di Gallipoli, Tip. Miranda, Napoli 1836, pp.279-280; E. Vernole,   Il Castello di Gallipoli, pp. 137-138

[22] E. Vernole,   Il Castello di Gallipoli, p.258

[23] Cfr. aslecce, Scritture delle Università e Feudi, cc.183/r – 183/v

[24] ivi

[25] ivi

[26] ivi

[27] Ivi

[28] ivi

[29] ivi

[30] Cfr. aslecce, Scritture delle Università e Feudi, c. 182/r; E. Vernole, Il Castello di Gallipoli, p. 258; e. Pindinelli, L’Archivio delle scritture antiche dell’Università di Gallipoli, p. 222;  F. Natali, Gallipoli nel Regno di Napoli. Dai Normanni all’Unità d’Italia, p. 326

[31] Cfr. A. Roccio, Notizie memorabili dell’antichità della Fedelissima Città di Gallipoli, 1640, MS in BCGallipoli, c.365/v «D. Xaverio Rocca il quale non finì il Governo per andare a Barcellona alli piedi di Carlo 3 il venne per preside in Lecce» (D. Saverio Rocca prese possesso in Lecce il 21 marzo 1709, mentre la carica di Governatore di Gallipoli passò al fratello Francesco Rocca nel 1710)

[32] Cfr. aslecce, Scritture delle Università e Feudi, c.184/r

 

Un ringraziamento doveroso all’amico Daniele Librato, per la sua speciale e cordiale collaborazione.

 

 

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