Il “salaccione”

di Armando Polito

Nasturtium officinale R. Br. (immagine tratta da http://www.actaplantarum.org/floraitaliae/viewtopic.php?t=207)
Nasturtium officinale R. Br. (immagine tratta da http://www.actaplantarum.org/floraitaliae/viewtopic.php?t=207)

Quasi infinite sono le opportunità di conoscenza o di approfondimento della stessa che la rete offre e qualsiasi contributo dato con la consapevolezza dei limiti delle proprie capacità, cioè seriamente e, comunque, sempre in buona fede e non con la voglia di esserci a tutti i costi nel tentativo, non destinato a durare a lungo, di spacciarsi per quello che si vorrebbe essere ma che probabilmente non si sarà mai, qualsiasi contributo, dicevo, sia il benvenuto. Particolarmente interessante è nella fenomenologia della rete il proliferare di gruppi accomunati da un interesse settoriale. Tale proliferazione, però, secondo me, di per sé non è un bene poiché raramente la quantità va d’accordo con la qualità e vale relativamente l’obiezione che il raggiungimento della qualità dovrebbe essere stimolato proprio dalla concorrenza. Temo che, salvo rare eccezioni, in tempi in cui il merito continua ad essere avvilito e la serietà, ahimè non solo quella scientifica, ad essere un optional che nessuno sceglie, anche in questo campo si verifichi quello che in economia si chiama cartello, cioè un accordo  che, qui, però, non solo è tacito e inconsapevole ma comporta un livellamento, secondo me verso il basso, della qualità.

Si rimane, perciò, piacevolmente sorpresi quando si scopre che in un gruppo, che magari si è conosciuto casualmente, c’è un faro sicuro, cioè competente, sulla cui luce gli iscritti possono contare. È il caso del gruppo Fra le “SCRASCE”1 nel quale in Facebook mi sono imbattuto casualmente e le cui notifiche sono tra le pochissime da me controllate (non lo dico per spocchiosa sufficienza ma perché il tempo per le cose serie è sempre troppo poco …). La schermata che segue rappresenta, per così dire, la cronistoria di un incontro e di un’amabile conversazione.

Conclusione provvisoria: ringrazio la signora Gilda Cordella che ha posto il quesito e tutti coloro che hanno postato il loro commento, tra i quali solo un pazzo potrebbe non definire decisivo quello di Piero Medagli. Non mi vergogno di dire, infatti, che senza l’identificazione da lui avanzata difficilmente sarei andato a cercare la voce dialettale, peraltro mai sentita, sul vocabolario del Rohlfs, come, invece, ho fatto e riportato.

L’appetito, come si sa, viene mangiando; e questo vale anche per le buone erbe, tra le quali il salaccione.

Eccomi, così, a proporre una sorta d’integrazione alla scheda ideale che, compilata sulla scorta dei soli dati  desumibili dalla schermata, e peraltro conciliabilissimi tra loro, poteva apparire già completa.

Tale integrazione sarà giocoforza correlata con le mie competenze che non rientrano certamente tra quelle botaniche ma, almeno teoricamente, tra quelle linguistiche.

Al nome dialettale passerò dopo; ora mi soffermo sul nome scientifico, nella speranza di aver imbroccato la varietà: Nasturtium officinale R. Br.

Nasturtium e la sua variante nasturcium è attestata in parecchi autori latini; per brevità ne citerò solo due.

Cicerone (I secolo a. C.), Tusculanae disputationes, V, 99: Persarum a Xenophonte victus exponitur, quos negat ad panem adhibere quicquam praeter nasturcium (Il vitto dei Persiani viene descritto da Senofonte e dice che essi non aggiungono nulla al pane oltre al nasturzio). Cicerone traduce con nasturcium l’originale di Senofonte (Ciropedia, I, 2, 8) κάρδαμον (leggi càrdamon), il cui composto καρδάμωμον (leggi cardàmomon), formato dall’unione di  κάρδαμον  con ἄμωμον (leggi àmomon)=amomo, ha dato vita in italiano a cardamomo.

Plinio (I secolo d. C.), Naturalis historia, XIX, 44 : … Eruca quoque et nasturtium vel aestate vel hieme facillime nascuntur … nasturtium nomen accepit a narium tormento, et inde vigoris significatio proverbio usurpavit id vocabulum veluti torporem excitantis. In Arabia mirae amplitudinis dicitur gigni (… anche la ruchetta e il nasturzio nascono facilissimamente in estate o in inverno … il nasturzio prende il nome dall’irritazione delle narici e da qui il significato del vigore fece in modo tale che questo vocabolo entrasse in un proverbio come cosa in grado di cacciare via il torpore).

Plinio, dunque, propone per nasturtium un etimo che andrebbe così descritto con un discorso filologicamente più articolato: la voce sarebbe composta da un primo componente (nas-) dalla radice di nasus=naso e da un secondo (-turtium) dalla radice tort– del supino (tortum) del verbo torquère=torcere; insomma, alla lettera nasturzio significherebbe (erba) che fa storcere il naso.

Più avanti (XX, 49): E contrario nasturtium Venerem inhibet, animum exacuit, ut diximus. Duo eius genera. Alvum purgat, detrahit bilem potum pondere in aquae VII, strumis cum lomento inlitum opertumque brassica praeclare medetur. Alterum est nigrius, quod capitis vitia purgat [visum compurgat], commotas mentes sedat ex aceto sumptum, lienem ex vino potum vel cum fico sumptum, tussim, ex melle si cotidie ieiuni sumant. Semen ex vino omnia intestinorum animalia pellit, efficacius addito mentastro. Prodest et contra suspiria et tussim cum origano et vino dulci, pectoris doloribus decoctum in lacte caprino. Panos discutit cum pice extrahitque corpori aculeos et maculas inlitum ex aceto; contra carcinomata adicitur ovorum album. Et lienibus inlinitur ex aceto, infantibus vero e melle utilissime. Sextius adicit ustum serpentes fugare, scorpionibus resistere, capitis dolores contrito, alopecias emendari addito sinapi, gravitatem aurium trito imposito auribus cum fico, dentium dolores infuso in aures suco, porriginem et ulcera capitis cum adipe anserino. Furunculos concoquit cum fermento. Carbunculos ad suppurationem perducit et rumpit, phagedaenas ulcerum expurgat cum melle. Coxendicibus et lumbis cum polenta ex aceto inlinitur, item licheni, unguibus scabris, quippe natura eius caustica est. Optimum autem Babylonium; silvestri ad omnia ea effectus maior (Al contrario [della ruchetta] il nasturzio inibisce il desiderio sessuale, stimola lo spirito. Due sono i generi. Purifica l’intestino, bevuto in acqua nella proporzione di 1 a 7 assorbe la bile, applicato in cataplasmo con farina di fave sulle scrofole e coperto da un cavolo le guarisce. L’altro è più scuro e purifica i mali del capo [rischiara la vista], assunto con aceto calma le menti sconvolte, bevuto col vino o assunto col fico la tosse , se lo si assume ogni giorno a digiuno col miele. Il seme assunto col vino espelle tutti i parassiti intestinali, più efficacemente se viene aggiunto mentastro. Giova anche contro l’asma e la tosse con origano e vino dolce, ai dolori di petto cotto nel latte di capra. Con la pece rimuove i gonfiori e applicato in cataplasmo elimina dal corpo le spine e con aceto le macchie; contro i carcinomi viene aggiunto bianco d’uova. E viene applicato in cataplasmo per la milza, utilissimo col miele per i bambini. Sestio aggiunge che bruciato mette in fuga i serpenti, tiene lontani gli scorpioni, tritato i dolori di testa, che aggiunto a senape cura l’alopecia, applicato tritato sulle orecchie col fico la pesantezza di orecchi, col succo infuso nelle orecchie il mal di denti, la tigna e le ulcere del capo con grasso d’oca. Con il lievito fa maturare i foruncoli. Conduce a suppurazione e rompe gli ascessi, con il miele spurga le ulcere corrosive. In sieme con la polenta viene applicato come cataplasmo in aceto contro la sciatica e la lombaggine, anche per l’impetigine e per le unghie ruvide, poiché la sua natura è caustica. Ottimo è quello babilonese; quello selvatico è più efficace in tutti gli usi).

A Plinio si rifà certamente, lo dice lui stesso!, Erasmo da Rotterdam (XV-XVI secolo). L’umanista olandese nel proverbio n. 754 (Ede nasturtium) di Adagiorum collectanea così scrive: Ede nasturtium. Ἔσθιε κάρδαμον, id est “Ede nasturtium”. In socordem, ignavum, hebetem, stupidum, olim dicebatur, propterea quod huic efficaciam inesse credant erucae contrariam, vim enim vigoremque animi suscitare, venerem coercere, cum illa e diverso venerem acuat, vim mentis hebetet, unde et nomen apud Graecos habere videtur κάρδαμον, quasi “cor domans”. Plinius libro decimonono, capite octavo “Nasturtium” inquit “nomen accepit a narium tormento et inde vigoris significatio proverbio id vocabulum usurpavit veluti torporem excitantis”. Graecis a corde nomen habet. Dioscorides tradit nasturtio vim esse similem erucae et sinapi, quod attinet ad acrimoniam in nares erumpentem. Ceterum quod ait nasturtio stimulari venerem, dissentit a Plinio. Aristophanes ἐν Θεσμοφοριαζούσαις: Ἐχθές ἔφαγον κάρδαμα./Τί καρδαμίζεις; id est “Edi heri nasturtia. Quid nasturtiaris?”. Idem in Vespis: Ὁξυθύμων καὶ δικαίων καὶ βλεπόντων κάρδαμα, id est “Acrium ac iustorum et oculis qui exhibent nasturtia” (Mangia nasturzio. Mangia nasturzio, cioè “Mangia nasturzio”2. Si diceva un tempo ad un ottuso, ignavo, ebete, stupido, poiché si crede che il nasturzio abbia una proprietà contraria a quella della ruchetta e che susciti infatti vigore di spirito e freni il desiderio amoroso, mentre quella al contrario suscita il desiderio e indebolisce la forza della mente, per cui sembra che in greco si chiami cardamo, quasi “che doma il cuore”. Plinio nel libro diciannovesimo capitolo ottavo dice: “Il nasturzio prende il nome dall’irritazione delle narici e da qui il significato del vigore fece in modo tale che questo vocabolo entrasse in un proverbio come cosa in grado di cacciare via il torpore”. Per i Greci trae il nome dal cuore. Dioscoride tramanda che il nasturzio ha una proprietà simile a quella della ruchetta e della senape per quanto riguarda l’irritazione che provoca alle narici. Per il resto dissente da Plinio, poiché dice che il desiderio d’amore è stimolato dal nasturzio. Aristofane ne Le donne alle Tesmoforie: Ieri ho mangiato nasturzio. Perché parli di nasturzio?”. Allo stesso modo ne Le vespe: Di quelli severi e giusti e che vedono i nasturzi, cioè “Di quelli severi e giusti e che vedono i nasturzi2”).

Nella prima citazione da Aristofane (V-IV secolo a. C.) Perché parli di nasturzio? equivale a Perché parli di una cosa di poca importanza? Nella seconda il vedere i nasturzi significa assumere quell’atteggiamento serio indotto dalla vista di un pericolo o , comunque, di qualcosa di non gradito.

Come Plinio aveva proposto l’etimo per nasturtium così fa Erasmo per κάρδαμον e questa volta il discorso filologico articolato comporterebbe la voce composta da καρδία (leggi cardìa)=cuore+δαμάω (leggi damào)=domare.

Siccome Erasmo cita, come prima abbiamo visto, pure Dioscoride (contemporaneo di Plinio) vale la pena riportare quanto l’autore greco dice a proposito del cardamo: (De materia medica, II, CLXXXIV): Κάρδαμον  [οἱ δὲ κυνοκάρδαμον, οἱ δὲ ἰβηρίς, οἱ δὲ καρδαμίνη, Αἰγύπτιοι σέμεθ, Ῥωμαῖοι ναστούρκιουμ] κάλλιστον μὲν εἶναι δοκεῖ τὸ ἐν τῇ Βαβυλῶνι κάρδαμον. Παντὸς δὲ τὸ σπέρμα θερμαντκὸν, δριμὺ, κακοστόμαχον, κοιλίαν ταράσσον καὶ ἕλμινθας ἐκτίνασσον, σπλῆνα μειοῦν, ἔμβρυα φθεῖρον, ἔμμενα κινοῦν, συνουσίαν παρορμῶν, ἔοικε δὲ σινήπει καὶ εὐζώμῳ· ἀποσμήχει λέπρας, λειχῆνας· σὺν μέλιτι δὲ σπλῆνα ταπεινοῖ καταπλασσόμενον καὶ κηρία ἀποκαθαίρει, καὶ τὰ ἐκ θώρακος ἀνάγει ἐγκαθεψόμενον ῥοφήμασιν· ἑρπετῶν τέ ἐστιν ἀντιφάρμακον πινόμενον· θυμιαθὲν δὲ ἑρπετὰ διώκει· τρίχας τε ῥεούας ἐπέχει, καὶ ἄνθρακας περιῤῥήττει πυοποιῦν· σὺν ὄξει δὲ καὶ ἀλφίτοις καταπλασθὲν, ἰσχιαδικοῦς ὠφελεῖ, καὶ οἰδήματα καὶ φλεγμονὰς διαφορεῖ, δοθιῆνάς τε ἐκπυοῖ σὺν ἅλμη καταπλασθὲν· καὶ ἡ πόα δὲ τὰ αὐτὰ ποιεῖ, ἔλασσον μέντοι δύναται (Il cardamo  [alcuni lo chiamano cinocardamo, altri iberide, altri cardamine, gli Egizi semeth, i Romani nasturzio] migliore sembra che sia quello che cresce a Babilonia. Il seme di ognuno è riscaldante, acre, dannoso per lo stomaco, fastidioso per l’intestino, efficace contro gli elminti, contro la milza inglossata, provoca l’aborto, stimola le mestruazioni, stimola al rapporto sessuale, somiglia alla senape e alla ruchetta; cancella la scabbia e l’impetigine; applicata in cataplasmo con il miele sgonfia la milza,  purifica  l’antrace e cotta nella minestra favorisce l’espettorazione; bevuto è un antidoto contro il morso dei serpenti e bruciato li tiene lontani; arresta la caduta dei capelli e fa scoppiare l’antrace portandolo a suppurazione; applicato in cataplasmo con aceto e farina d’orzo giova contro la sciatica, elimina gli edemi e i flemmoni, applicato in cataplasmo con acqua salata fa suppurare i foruncoli e la stessa erba giova, ma ha minore efficacia).                   Da notare nella testimonianza di Dioscoride il diverso nome che la nostra erba assume in rapporto al luogo e alla diversa popolazione. Questo, aggiunto all’assenza di dettagli descrittivi che non ne riguardino l’uso terapeutico (cosa che avviene anche in Plinio), complica il problema dell’identificazione precisa dell’erba da loro descritta con la nostra.

Continuando con l’esame del nome scientifico va detto che officinale è latino medioevale, dal classico officina=fabbrica, con evidente riferimento allo sfruttamento terapeutico di questa come di tutte le erbe il cui nome scientifico contiene questo elemento. Chi ha interesse specifico in tal senso troverà un’abbondante serie di pubblicazioni scientifiche, tutte consultabili, all’indirizzo http://scholar.google.it/scholar?q=nasturtium+officinale+R.+Br.&hl=it&as_sdt=0&as_vis=1&oi=scholart&sa=X&ei=T1iqVMr6FdLiavmygKAL&ved=0CB4QgQMwAA.

R. Br. è l’abbreviazione di Robert Brown (1773-1858), famoso botanico inglese al quale William Aiton (in Hortus Kewensis, v.  IV, editori vari, Londra,  1812) attribuì l’identificazione dell’essenza.

Dopo il nome scientifico è la volta di quelli italiani comunemente usati, credo non correttamente, come sinonimi3: nasturzio, crescione e senecione. Per nasturzio vale quanto detto per la relativa componente del nome scientifico. Crescione deriva dall’antico francese cresson, che nel  latino medioevale darà cresso e derivati (crisonium, cressonaria, cressonnaria, cressoneria). Crescione potrebbe perciò essere derivato non direttamente dal francese ma dall’intermediario latino cressone(m), accusativo del citato cresso, incrociato con crescere. Per quanto riguarda, infine, senecione, esso deriva dal latino senecione(m), accusativo di senecio, attestato come nome di pianta in Plinio (Naturalis historia, XXV, 87), quale sinonimo di erigero:  Erigeron a nostris vocatur senecio. Hanc si ferro circumscriptam effodiat aliquis tangatque ea dentem et alternis ter despuat ac reponat in eundem locum ita, ut vivat herba, aiunt dentem eum postea non doliturum. Herba est trixaginis specie et mollitia, cauliculis subrubicundis. Nascitur in tegulis et in muris. Nomen hoc Graeci dederunt, quia vere canescit. Caput eius numerose dividitur lanugine, qualis est spinae, inter divisuras exeunte; quare Callimachus eam acanthida appellavit, alii pappum. Nec deinde graecis de ea constat. Alii erucae foliis esse dixerunt, alii roboris – at minora multo – , radice alii supervacua, alii nervis utili, alii potu strangulante. E diverso quidam regio morbo cum vino dederunt et contra omnia vesicae vitia, item cordis et iocineris. Extrahere renibus harenam dixere. Ischiadicis drachmam cum oxymelite ab ambulatione propinavere, torminibus quoque et in passo utilissimam, praecordiis etiam cibo ex aceto eam praedicantes serentesque in hortis. Nec defuere qui et alterum genus facerent nec quale esset demonstrarent, contra serpentes in aqua bibendam edendamque comitialibus dantes. Nos eam Romanis experimentis per usus digeremus. Lanugo eius cum croco et exiguo aquae frigidae trita inlinitur epiphoris, tosta cum mica salis strumis (L’erigero dai nostri è chiamato senecione. Se uno la cava dopo che è stata circondata da un ferro e con essa tocca un dente, sputa tre volte alternativamente e la ripone nel medesimo luogo in modo che l’erba viva, dicono che dopo il dente non gli farà male. L’erba è simile alla trissagine di aspetto e di mollezza, con gambi rossicci. Nasce tra le tegole e nei muri. I Greci le diedero il nome di erigero poiché diventa bianca. Il suo capo è armoniosamente diviso dalla lanugine uscente, com’è quella della spina, dalle fessure; perciò Callimaco la chiamò acantide, altri pappo. Né altro dicono i Greci concordemente. Alcuni dissero che le foglie sono simili a quelle della ruchetta, altri della quercia – ma molto più piccole -, altri che la radice è inutile, altri utile ai nervi, altri che strangola a berla. Certi al contrario la somministrano col vino contro l’ittero e contro tutte le malattie della vescica, come del cuore e del fegato. Dissero che estrae la renella. La somministrarono ai colpiti da sciatica nella dose di una dracma con miele e aceto dopo che hanno camminato dicendo che è utilissima anche contro la dissenteria nel vino cotto, nonché all’intestino con aceto nel cibo e seminandola negli orti. Né mancarono quelli che ne fecero un’altra varietà, senza mostrare quale fosse, somministrandola da bere in acqua contro il morso dei serpenti e da mangiare agli epilettici. Noi ne parleremo secondo l’uso sperimentato dai Romani. La sua lanugine pestata con zafferano e in poca acqua fresca viene applicata come cataplasmo contro il catarro, tostata con un granello di sale sulle scrofole).

Oltre che come nome di pianta in Plinio (con tutti gli ulteriori dubbi identificativi che quest’ultimo passo suscita; comunque, il senecione propriamente detto dovrebbe essere il Senecio vulgaris L. di seguito riprodotto da http://it.wikipedia.org/wiki/Senecio_vulgaris#mediaviewer/File:Senecio_vulgaris_002.JPG) senecio è attestato col significato di vecchietto in un frammento della commedia Proditus di  Afranio (II-I secolo a. C.) tramandatoci da Prisciano (V-VI secolo), Institutiones oratoriae, III, 7, in cui il grammatico mostra chiaramente come senecio sia derivato da senex : … catulus catulaster, homo homuncio, senex senecio (Afranius in Prodito: “tu senecionem hunc satis est si servas, anus” (cagnolino, adolescente4, uomo, omiciattolo5, vecchio senecione, (Afranio nel Tradito: “Tu, vecchia, già è tanto se stai al servizio di questo vecchietto).

Per dare un’idea della fortuna di certi vocaboli aggiungo che Senecio è anche un cognomen (soprannome) ampiamente attestato nelle epigrafi in tutto il territorio romano. Siccome l’argomento non è allegro mi limito a riportare un solo esempio proveniente da Valencia (CIL II, 3741).

http://edh-www.adw.uni-heidelberg.de/edh/inschrift/HD024062
immagine tratta da http://edh-www.adw.uni-heidelberg.de/edh/inschrift/HD024062

M(ARCO) NUMMIO/SENECIONI AL/BINO C(LARISSIMO) V(IRO) P(ONT(IFICI)/LEG(ATO) AUGG(USTORUM) PR(O)/PR(AETORI) VALENTINI/VETERANI ET/VETERES PATRONO/CUR(ANTIBUS) BRIN(IO) MARCO ET LIC(INIO) QUINTO

(A Marco Nummio Senecione Albino chiarissimo uomo, pontefice, legato propretore degli Augusti, i veterani e gli anziani di Valencia al patrono, a cura di Marco Brinno e Licinio Quinto).

Ho lasciato volutamente per ultimo il nome dialettale, per chiudere, cioè con il dettaglio da cui è partito tutto. Riassumo le varianti (escluse quelle letterarie meno, come vedremo una) riportate nelle schede del Rohlfs e che ho riprodotto nella schermata catturata da Facebook:

salacciòne (Aradeo), salacciùne (Melendugno), sannacciòne (Manduria, Maruggio, San Giorgio sotto Taranto), sannacciòni (Sava, Oria), sannacciùne (San Pancrazio Salentino), sanaciòne (Taranto), sanacciuòle (Massafra).

Da notare che il Rohlfs registra per il salacciòne di Aradeo il significato di stupido e la cosa si ripete con una leggera sfumatura per sannacciòni di Brindisi (dove il connesso B10 indica l’attestazione letteraria della voce, nella fattispecie nella farsa Nniccu Furcedda scritta intorno al 1730 da Ciommo Bàchisi e pubblicata in Storia di Francavilla di Pietro Palumbo,Tipografia Editrice Salentina, Lecce, 1869, pp. 533-626; per chi ne avesse l’interesse segnalo il link https://archive.org/stream/storiadifrancav00bachgoog#page/n639/mode/2up) col significato di fannullone).

Siamo giunti alla fine del nostro viaggio e concludo con un dubbio, fratello di quelli identificativi via via incontrati: senecione (e, dunque, anche tutte le varianti dialettali che di esso sono deformazione) certamente, essendo derivato, come abbiamo visto da senex=vecchio, contiene un riferimento al suo pappo6; al di là della confusione col nasturzio il significato traslato di fannullone è connesso con una scarsa considerazione di quest’erba (vedi il fessacchiotto del commento di Giulia Stefanizzi nella schermata tratta da Facebook, col suo carattere più o meno infestante o evoca la mancanza di forza (e quindi la scarsa voglia di fare) tipica (o, almeno, considerata tale …) dell’età senile? Io propendo, nonostante la mia età non me la renda conveniente, per l’ultima che ho detto.

___________

1 Il nome è strettamente connesso con l’interesse prevalente, che è quello botanico. Sull’etimo di scràscia vedi https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/07/21/tra-rovi-e-more-selvatiche/.

2 Ripetizioni inevitabili nel tradurre in italiano le locuzione latine di Erasmo quando sono a loro volta traduzione di una locuzione greca.

3 Non c’è da meravigliarsi di questa confusione per cui un’essenza può avere, addirittura un nome diverso a seconda del luogo o se lo stesso nome indica specie diverse. Le stesse denominazioni scientifiche pongono spesso dubbi identificativi, rischi che oggi si ridimensionano notevolmente grazie alla documentazione fotografica, dato certamente di fruizione più immediata e chiara della descrizione o del disegno, per quanto accurati, unici elementi delle schede botaniche del passato.

4 Catulaster nel latino medioevale conserverà accanto al significato di adolescente anche quello di cane selvatico; il processo si completa nel dialettale salentino cagnulastru=ragazzotto, usato in una sfumatura dispregiativa, dove cagnul– è da cagnùlu=piccolo cane, cucciolo, che a sua volta è da un *canèolu(m), aggettivo sostantivato con valore diminutivo di canis, così come catul– di catulaster è da càtulus, sempre diminutivo di canis.

5 Homuncio, poi, troverà un ulteriore sviluppo dispregiativo già in epoca classica in homùnculus.

6 Anche erigero [dal greco ἡριγέρων (leggi erighèron), composto da ἔαρ (leggi ear)=primavera+γέρων (leggi gheron)=vecchio, evoca (vecchio di primavera) la stessa immagine in un poeticissimo quasi-ossimoro.

 

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