A Natale

vincenti

di Paolo Vincenti

 

(“Quando verrà Natale, tutto il mondo cambierà”  – Antonello Venditti)

 

Fra pochi giorni, tutto il mondo festeggerà il Natale. E del resto, come sfuggire ad un evento così importante e sentito? Se si pensa che il Natale si è innestato su una festa pagana come quella del Natalis Solis Invicti o che la nascita di Cristo ha soppiantato quella del dio persiano Mitra, qualche dubbio viene, ma lasciamo ai dotti e ai razionalisti queste rilevazioni e per noi sia vivo il Natale con annessi presepe e albero. Tuttavia, perché il dì  di festa sia davvero speciale, bisognerebbe adottare delle precauzioni e osservare alcune semplici ma importanti prescrizioni tese a evitare che giorno sì gaudioso tosto si trasformi in giorno funesto.  Prendetelo come un personale prontuario di autodifesa, un vademecum,  una posologia, una ricerca del giorno perfetto, una strategia  di evitamento degli effetti collaterali del Natale. E dunque la prima regola da osservare sarebbe quella di tenere ben spenta la tv. E se si pensa che, in mancanza di argomenti di discussione, un silenzio tombale calerebbe sulla tavola, e  non si può fare a meno dell’elettrodomestico amico, evitare almeno telegiornali e trasmissioni di cronaca nera.

Sapere di guerre che ancora funestano tante parti del mondo o di omicidi-suicidi o sgozzamenti di casa nostra, certo non stuzzica l’appetito (come le pizzette catarì delle quali ringhiava, in un vecchio spot,un  famelico Giorgio Bracardi). Sapere di gente scannata e buttata in qualche fosso non va molto d’accordo con quel piacevole languorino  pre abbuffata natalizia.

La seconda regola di questa personale precettistica è quella di evitare la Messa del Papa il quale, più che alzare la voce ( vox in deserto clamantis) di fronte alle guerre e ai crimini contro l’umanità, non può fare. Una volta era diverso. Nel Medioevo lo sceriffo del mondo non erano certo gli Stati Uniti, ma era lui, il successore di Pietro, il vicario di Dio in terra, il Pontefice Massimo. Quando un popolo minacciava la pace e la tranquillità di un altro, ancor peggio poi se attentava al Patrimonium Sancti Petri, il Papa mandava il suo santo esercito a sterminare i manigoldi e farne pasto per gli uccelli. Vecchia storia quella della divisione dei poteri  temporale e spirituale e dei due soli in cielo: a che cosa portano due immensi termosifoni che ardono contemporaneamente se non all’effetto global warming ,con la conseguenza che ormai festeggiamo il Natale in t shirt e maniche di camicia?

Dove è finito il bel freddo di una volta, quando a Natale si indossavano cappelli e cappotti e, se si era molto fortunati, al risveglio la mattina si poteva trovare anche la neve? Sembra il  Pleistocene, ma si parla di venti, trenta anni fa. Altra cosa da evitare, nel giorno in cui nasce il divin bambino,  sono gli sms di auguri sul telefonino, quelli stupidissimi e preconfezionati senza il nome del destinatario, trionfo di una banalità che, al confronto, i baci perugina sembrano “ La fenomenologia dello spirito” di Hegel. L’anno scorso ho mandato a quel paese  coloro che me li avevano inviati. Quest’anno, per non cadere in tentazione, terrò accuratamente spento il telefonino. Se c’è ancora qualcosa da cui sottrarsi,  è di andare a Messa la mattina del Natale. Chi è un fervente devoto può sempre farlo nel pomeriggio.  Non solo, come tutti potrebbero immaginare, per non affogare nel vaniloquio della trita omelia del parroco, perché a quel polpettone indigesto si può resistere opponendogli altri più ludici pensieri  o pregustando le leccornie che si mangeranno a pranzo. Ma soprattutto per scansare lo scambio di auguri all’uscita della messa e più in generale in tutti i luoghi di ritrovo sociale, quando adoranti parenti e  amici vi verrebbero incontro per  salutarvi e baciarvi. A che varrebbe ritrarvi e allungare la mano? Quelli, con forza raddoppiata dall’impeto buonista, vi stringerebbero a sé e via a slinguazzarvi le guance, mentre formulano  logore espressioni propiziatorie. Ad eludere dunque tali bavose dimostrazioni di affetto, ed anche che qualcuno, vedendovi scappare a gambe levate, creda siate affetti dalla sindrome di Michael Jackson, ossessionato dai microbi, evitate di uscire di casa, e per una mattina fingetevi agorafobici. Anche perché, a frequentare pubblici consessi, si corre un altro rischio, ovverosia quello che, di fronte a mendici ed extracomunitari imploranti carità, avendo consumato tutti gli spiccioli fra l’offertorio in chiesa e l’acquisto di stelle di natale, bonsai, oleandri e baobab contro ogni tipo di malattia, si passi per spilorci, non potendo più elargire alcuna elemosina.

Qualcuno potrebbe credervi intolleranti e xenofobi e un bel giorno potreste vedervi recapitare a casa qualche simpatico omaggio, tipo una felpa della Lega Sud con la scritta: “più terroni meno negroni”. Ma continuando con questa posologia, se c’è una cosa da veramente tenere alla larga quel  giorno sono i parenti serpenti.

Degli amici mi hanno riferito di pranzi di Natale che si sono trasformati in liti furibonde per questioni di interesse, con il tavolo diventato un ring di pugilato. Perché è chiaro, succede soprattutto con i parenti con i quali non ci si frequenta molto, magari emigrati in Svizzera e tornati per le feste , che quella del pranzo di Natale o del cenone della vigilia diventi l’occasione per risolvere, o cercare di risolvere, vecchi problemi, per saldare conti rimasti in sospeso. Emergono così invidie, celati malumori, sopite gelosie, sottaciute delusioni, striscianti rammarichi per questioni di eredità, che, ad un nonnulla, possono deflagrare in violenti alterchi. E magari, un’offesa tira l’altra, saltano fuori i coltelli o le pistole e il Natale finisce in una carneficina, con il faccione esanime dello zio o del cognato spiaccicato sulla lasagna al forno.

Largamente preferibile dunque festeggiare il giorno sacro fra parenti stretti, rimanendo nell’alveo, forse monotono ma  rassicurante, della  propria famiglia. E se proprio si potesse chieder tanto alla Provvidenza, ma questo decalogo si tramuta così in un  libro dei sogni, allora sarebbe da scansare anche la moglie perché, è risaputo, nessuno più di una coniuge testarda, attaccabrighe e petulante, è capace di rovinare le feste e rendere nefasto un giorno fasto. E  lo diceva già Seneca “perché all’uomo saggio non convenga prender moglie”, confermando quanto espresso da Epicuro,  e lo ribadiva, da scapolo impenitente, Alberto Sordi (“ e che, me metto n’estranea  in casa?”).

Se poi tutte queste pre condizioni dovessero realizzarsi e il giorno di Natale rivelarsi radioso,  e la sera, confortati da tanta pace, si volesse uscire a far due passi, consiglio vivamente di rifuggire sagre paesane e presepi viventi. Basta col maniscalco, col ciabattino col berretto Nike, col ferraciucci che per noia gioca col telefonino, con la filatrice con le Hogan ai piedi (alla faccia della ricostruzione storica) e con le pittule che non sono mai gratis come ti dicono all’entrata (“ un’offertina, prego”)!  Vieppiù,sconsiglio di frequentare i cinema. Cioè perché nel migliore dei casi ci si imbatte nel duecentocinquantesimo cine-panettone di quei guru della vecchia destra pecoreccia, ovvero ostricara e shampagnara , che sono i Vanzina, col loro portato di flatulenze, rutti,  sbroccamenti e  volgarità varie. Nel caso migliore, dicevo. Nel peggiore, invece, in qualche cinema d’essai, ci si può imbattere nel film straniero con sottotitoli, di quelli pluripremiati cinesi o coreani, che fanno tanto radical chic  e piacciono a certi intellettuali di sinistra che ne riferiscono entusiasti ai colleghi d’Università (“ sai, ho visto “Lanterne scese” di Fan kul ‘ho,  a Natale,  non ho capito un cazzo ma è stato bellissimo!”).

Insomma, fra tricche e ballacche, il mio manuale di sopravvivenza si avvia al termine. Con impegno e convinzione, parte di questi desiderata possono diventare cosa concreta, e si può riuscire a schivare ogni iattura. Nell’ambito poi dei desideri iperbolici, megagalattici, si potrebbe chiedere di essere teletrasportati per quel giorno in un’altra dimensione, in un platonico iperuranio, evitando noie e affanni, e saltando a piè pari direttamente al giorno dopo.  Il risveglio sarebbe  traumatico e duro l’atterraggio.  Ma quello astrale, sarebbe certo  il Natale più bello.

 

in “S/Pagine” del 21 dicembre 2014

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