Salento. Tap permettendo…

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di Leonardo Gatto
Chi pensa che l’unica bandiera che sta dietro il fronte del No al  passaggio del gasdotto TAP dalle coste Salentine sia di natura  ambientale ha, molto probabilmente, preso un grosso granchio. Quello che sta succedendo nel tacco  d’Italia va al di là della semplice battaglia ambientalista o del “no a  tutti i costi” e si colloca nel più ampio scenario  dell’approccio territorialista. Secondo questa teoria, vecchia ormai ben più di dieci anni e che trova nel prof. Magnaghi e il suo “Progetto  Locale” perfetta sintesi, il Territorio non esiste in natura ma nasce  dell’azione di una Comunità Locale in un determinato spazio, operando cioè  relazioni culturali con l’ambiente circostante. Questa nuova dimensione  vede essenzialmente il Territorio come “evento culturale”, costituito  dalla “fecondazione della natura da parte della cultura”.
Riflessione  molto affascinante e, allo stesso tempo, incredibilmente avanguardista  rispetto all’approccio capitalista che, per farla breve, tende a  racchiudere la natura in apposite riserve e parchi per speculare su  tutto il resto del territorio. Per la serie mettiamo la natura nel Parco delle Cesine o nella Riserva Marina di Porto Cesare e poi, col resto, ci  facciamo quello che vogliamo. Tap, porti turistici e villaggi che andranno di moda al massimo per 10 anni (vedi degrado di Torre  Inserraglio). Facile no? Nel proporsi, la riflessione sulla  territorialità dei luoghi che abitiamo, non può che aprire una finestra  sull’opportunità di un opera altamente invasiva quale il Trans Adriatic  Pipeline che, rompendo la costa in una delle località più significative  per la cultura identitaria salentina, arriva ad operare una vera e  propria campagna di “sensibilizzazione” (ovvero destabilizzazione degli  equilibri locali) atta a far passare il concetto che, in fondo, tutto  può diventare territorio. Basta venderlo bene.
Niente di più falso.
Anche in questo caso viene in nostro soccorso l’illustre Magnaghi  puntando dritto agli aspetti che caratterizzano gli atti prodotti da una cultura come “territorializzanti”, e che per questo si rifanno  direttamente alla storicità del rapporto Popolazione/Luogo e al grado di sostenibilità delle azioni che tra i due elementi, naturalmente, si  sono succedute nel tempo e che, spontaneamente, tuttora intercorrono.
La sostenibilità diventa così capacità di autogoverno di un Territorio  al netto di continui sostegni esterni, aspetto fondamentale in quanto  permette di dare valore ai saperi locali, gli unici in grado di produrre atti territorializzanti e profondamente identitari dei luoghi. Gli  stessi che rendono un “Locale” (in questo caso il nostro, questo  Salento) unico e fortemente appetibile per il mercato globale.
Non sembra essere questo il pensiero di Tonio Tondo, noto politico copertinese di  area centrista che, in un recente articolo apparso sulla Gazzetta del  Mezzogiorno, mortifica l’attuale strategia di Tap fatta di  sponsorizzazioni selvagge ad eventi e sagre di natura popolare e non  solo e suggerisce nuove strade da percorrere al fine di rendere l’opera  meno “antipatica” alla popolazione salentina. Così, nell’ipotizzare  finanziamenti e borse di studio ai meritevoli, si riaprono vecchi scenari con soluzioni alternative. Disegnando rette nella galassia della  geopolitica planetaria ci si dimentica di quanto, mai come ora,  globalizzare faccia rima con localizzare. Si sorvola sulle potenzialità  di un Salento a vocazione turistica per sponsorizzare opere ad elevato  impatto ambientale, sociale e politico. Si ignora il ribollire di anime  pronte ad investire tempo e denaro su questo Salento per investire  in infrastutture pericolosamente compromettenti dal punto di vista  territoriale, volute da chi vede un “corridoio” nell’altrui “salotto”.
Peccato che l’operazione “simpatia” teorizzata nel brillante articolo  non tenga conto di una volontà popolare già fortemente cosciente delle  ripercussioni paesagistiche e turistiche che l’opera avrà nel breve-medio periodo, per non parlare di quello che resterà quando di quel gas nessuno avrà più  bisogno, a giacimenti esauriti. Avremmo forse una decina di medici ed  ingegneri targati Salento in più, ma resterà un tubo che nessuno  (compreso il nostro Tonio) vorrà a ricordarci quanto costa caro non  avere politici e giornalisti in grado di leggere a dovere i messaggi che la popolazione locale (e non solo), civilmente, continua a  recapitare.
Comunque c’è di che essere ottimisti, almeno a  giudicare dalla reazione spontanea e pacifica della popolazione a questo che rappresenta il primo vero tentativo di espropriazione di uno dei  caratteri fondanti la cultura salentina, ovvero la perfetta sintonia che da secoli unisce popolazione e paesaggio. Il Processo partecipativo  nato attorno all’argomento può e deve evolvere in qualcosa di più, in  quello che l’autore definisce ”produzione sociale del territorio”.  Concetto che diventa fondamentale perché è anche la chiave di volta  della critica ad un modello societario “fordista” basato sul lavoro  salariato e sul metodo “catena di montaggio”.
Un modello oramai sperato che di fatto ha allontanato l’abitante dalle scelte sociali  riguardanti la propria Vita (l’Ilva dovrebbe averci insegnato qualcosa a riguardo).  Il lavoro autonomo deve diventare il contenitore di  informazione e conoscenza in grado di accelerare il processo virtuoso di creazione di nuove relazioni sociali che, appunto, producano non solo  Comunità, ma sopratutto Territorio.
Così l’abitante-consumatore creato  dal fordismo, dalla infinita divisione del lavoro e della vitalità  urbana lascerà il posto all’abitante-produttore, pienamente consapevole  del proprio contesto sociale, politico, culturale e territoriale. Tap  permettendo.
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5 Commenti a Salento. Tap permettendo…

  1. negli anni 60 a nardo’, volevano installare il protosincrotone, ma la lobby politica di allora fomento’ il popolo di pecoroni che siamo, contro il progetto, era pericoloso, ci faceva morire, ecc. ecc. da oltre 45 anni a ispra dove fu dirottato il progetto, non è morto nessuno, addirittura e’ stato ampliato il progetto diventando una citta’ della ricerca europea.
    la verita’ era che i politici non volevano concorrenti, volevano dominare loro, la politica e l’economia locale, dando posti di lavoro solo a chi volevano loro, gli altri, potevano benissimo emigrare al nord o all’estero.
    lo stesso vale per il tap, ci dobbiamo svegliare, ormai siamo nel xxii secolo, non ai tempi di Pappacoda?

  2. Quando leggo certe arrampicate sugli specchi come certi articoli di ambientalismo acritico e modaiolo, e pure da circolo alternativo comunisteggiante, mi convinco sempre più di dover sostenere ogni trasformazione possibile del territorio. Se l’azione di propaganda della società installatrice non è stata così proficiua per essa stessa come sperava, dall’altra parte questo dare addosso alla TAP con concetti che esulano finanche dalla quantità della trasformazione territoriale minacciando apocalissi e carestie, non sono da meno come boomerang. Ci sono territori che hanno delle vocazioni di connessione interritoriali e purtroppo per loro le devono subire, sia quando sono dei benefici (Brindisi, Messina, Reggio, ecc..) sia quando sembrano delle servitù. Protosincrotone? a Ortelle il popolino fu armato addirittura contro la ferrovia (che difatti fu dirottata su Spongano così come poi la seguente manifattura dei tabacchi), tutto questo per non tagliare in due i feudi del signorotto. Per la Tap ci mancava solo l’intervento comico, ma abbiamo rimediato.

  3. Risposta cumulativa agli ultimi due messaggi. Per Angelo Micello: più che di “comico” dovremmo parlare di “tragico”, invertendo, però, il riferimento agli attori. Per Claudio Gerardo Orlando: “Pappacoda” è stato sostituito, e da tempo per chi non se ne fosse accorto o finge, con “Pappatutto”.

  4. Cito: “ambientalismo acritico e modaiolo, e pure da circolo alternativo comunisteggiante” – Non ero alla manifestazione cinquestelle, però sono fieramente (acrtitcamente modaiolamente comunistegginatemente) no tap. Poi dopo la manifestazione di solito siamo all’after al roxy bar, magari per un brunch. Certo non mancheremo di fare un passaggio dal negozio tanto a la page. Noi snob siamo fatti così, pailettes e cotillons.

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