Leandro Ghinelli: “Disincanti (versi)”

ghinelli

di Paolo Vincenti

Fra la penna e lo scalpello, il fare creativo di Leandro Ghinelli si anima di nuove sinestesie e il suo curriculum  si arricchisce di un altro titolo: “DISINCANTI (VERSI)”,  una piccola silloge pubblicata con l’ultimo numero della rivista “Presenza Taurisanese”, diretta da Gigi Montonato, che firma pure la Presentazione dell’opuscolo (Collana “I Quaderni del Brogliaccio” n.12, aprile 2014).

Nato nel 1925, all’attività di insegnante di Lettere nelle scuole superiori ha unito, a partire dal 1959, quella di scultore autodidatta, con numerose mostre collettive e personali. Ghinelli, nella sua lunga carriera, ha scritto novelle, poesie, racconti e saggi critici; molti suoi contributi sono stati pubblicati proprio su “Presenza Taurisanese”, e poi su “Il Galatino”, “Contributi”, “Espresso Sud”, “Note di storia e cultura salentina” e sulla rivista elettronica  www.Culturasalentina.it.

A distanza di poco più di un anno dalla pubblicazione di “Canti della vigilia (poesie)”, per “I Quaderni del Brogliaccio” (n.10, marzo 2013), ritorna con lo stesso editore e con questa raccolta di componimenti inediti, scritti in vari metri e con un linguaggio piano e discorsivo, vicino al parlato. Alla veneranda età di quasi 90 anni, Ghinelli si dimostra ancora attivissimo intellettuale e addirittura gestisce un sito on line che,  sebbene modestissimo, è comunque una testimonianza di presenza da parte di questo prolifico vegliardo. L’aspetto autorevole nasconde un animo giocoso ed una freschezza di ispirazione che si esprime nei modi del divertissement, ossia del divertimento colto, delle sue dilettevoli poesiole.

La sua musa infatti non si alimenta, almeno nel caso di specie, dei grandi temi epici e civili o dei sentimenti di amore e fede che sorreggevano altre prove dell’autore ma, di fronte allo spaventacchio dei tempi, egli risponde con le armi spuntate dell’ironia e della visione positiva della vita che contrappone ad ogni nefasta tendenza negatrice e distruttrice. Un atteggiamento brioso, vivace, frizzante e a tratti irriverente, quello di Ghinelli, che sarebbe perfino sorprendente se non fosse sotteso di una malinconia, semantizzata da quel sostantivo “disincanti” che titola il libro.

Una mestizia di fondo, cioè, propria di chi non si lascia più avvincere dagli incantamenti del mondo, proviene all’autore dalla riflessione sul presente e sulla vita sociale di questi nostri tempi. E sembra che egli si rifugi nel mondo animale e vegetale, facendo parlare farfalle e chiocciole, bruchi e piselli, colombi e campane, vento e alberi, secondo la lezione di Fedro e di Esopo, come non manca di sottolineare Gigi Montonato.

Il libriccino presenta dunque una serie di componimenti minori, scritti negli ultimi anni, e spesso accompagnati dalle opere in terracotta dello stesso autore, ritratte in calce agli scritti. Molto vicine, queste poesie (bagatelle, scherzi o “nugae”, come le definisce Montonato, volendo scomodare Catullo), alle filastrocche, per una ricerca da parte dell’autore delle rime baciate e della facile cantabilità. Letteratura non engagé  insomma, ma anche fedele al docere et delectare di Quintiliano, ossia alla funzione pedagogica di uno scritto letterario che, pur nella sua piacevolezza, dovrebbe dare degli insegnamenti morali al lettore.

Dagli accenti di più puro intimismo della sua raccolta “Canti della vigilia”, si giunge a queste poesie di  immediata fruizione, dalla spiritualità, a tratti controversa, e dalla dimensione quasi sospesa, rarefatta, in cui vivevano le poesie di quel libro, a quella estrosa e giocosa delle poesie che sostanziano quest’ultimo, in cui la sofferta meditazione  dei moti della propria anima lascia spazio ad una comunicazione più diretta con i lettori, ad un approccio meno pervaso da dolente lirismo.

Nel complesso, un volumetto godibile, lenimento alla noia e agli affanni quotidiani.

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