Dal paesello, boccioli d’antiche stagioni

centro-storico-salentino

di Rocco Boccadamo

 

Giulia C. era giunta a Marittima, da un paese vicino, sposando Fortunato e, a distanza di circa un anno, aveva messo al mondo Teresa.

Purtroppo, la buona donna, ancora giovane, incominciò a scivolare in condizioni di salute precarie, con problemi di rilievo, e in progressivo aggravamento, all’apparato respiratorio, non mi è dato di sapere se in collegamento ai bronchi o ai polmoni o ad altro.

Spesso, sia di giorno sia di notte, in taluni momenti pareva che le mancasse il fiato, a poco o niente valevano le visite del medico condotto e i farmaci che il medesimo le prescriveva.

Ricordo che, nelle fasi maggiormente critiche, se ne usciva da casa e si portava in un vicino slargo, dove c’era più aria e soffiava diritta la tramontana, restandosene lì per ore, magari al freddo, seduta sugli scalini di chianche della casa di Siveria, pur di respirare, si consolava. Pian piano, era divenuta, Giulia, una sorta di lumicino vie più vacillante e, difatti, non ci volle molto tempo perché, un certo giorno, la fiammella arrivasse a spegnersi definitivamente.

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Toti, anzi cumpare Toti, atteso che i miei genitori avevano tenuto a battesimo un suo figliolo, vicinissimo di casa, era un contadino, sposato, con a carico la moglie Cesira, sei figli e la suocera, finché è campata.

Un buon uomo, ma non un grande lavoratore, si limitava a eseguire saltuarie incombenze per conto di compaesani, piccole riparazioni, del resto, non aveva terreni da coltivare, salvo il piccolo orto confinante con l’abitazione. Di conseguenza, tra le sue mura domestiche, non regnava benessere, si avvertiva, al contrario, una sensazione di fame, il pane si mangiava quando c’era, sulla tavola, appena una minestra di verdura, se di stagione e coltivata nell’orto.

Tuttavia, nonostante le accentuate ristrettezze economiche e i correlati disagi, il nucleo famigliare andò avanti, i figli crebbero e divennero adulti. In parallelo, cumpare Toti giammai intese rinunciare ad allevare un uccellino, ora un canarino ora un cardellino; a tal fine, aveva costruito una gabbietta in legno, una “dimora” decorosa per l’amato minuscolo volatile, a beneficio del quale una fogliolina verde o qualche seme dovevano immancabilmente esserci.

In un’annata, anche la famiglia di cumpare Toti, sospinta dal bisogno, decise, al pari di tanti paesani, di lasciare Marittima ed emigrare, per cinque o sei mesi, nelle pianure della Basilicata, intorno a Metaponto, dove coltivare, in regime di mezzadria, estensioni di tabacco: in tal modo, perlomeno il cibo sarebbe stato garantito.

Ora, avvenne che, all’atto di caricare l’autovettura a noleggio che doveva trasportare la famiglia e le suppellettili dal paese natio alla Lucania, cumpare Toti si distinse, particolarmente, per la ferma volontà di issare a bordo anche la gabbia con l’uccellino. Obiettivamente, era un problema trovare per l’aggeggio uno spazio nell’abitacolo, gli stessi famigliari e l’autista protestavano e, però l’uomo alla fine s’impose con una frase rimasta famosa: “Sentite, a me può mancare il pane o un pasto, ma non consento di privarmi della gabbia con l’uccellino”.

Adesso, al posto della povera casa e dell’orto di cumpare Toti, sorge una grande e confortevole abitazione costruita dal suo ultimogenito D., ormai da decenni emigrato in Svizzera e avente una propria famiglia: i figli, sono titolari di un’attività di riparazione e vendita di autoveicoli, come si evince dalle scritte pubblicitarie impresse sulle fiancate delle vetture personali, con cui, d’estate, arrivano, per le vacanze, da Zurigo, nel Basso Salento delle origini.

 

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