di Rocco Boccadamo
Crisi o non crisi, viviamo canonicamente il tempo di Carnevale, come, maschere e coriandoli a parte, attestano, muti ma accattivanti nelle vetrine dei bar, i vassoi di frappe, chiacchiere e castagnole spruzzate di candido zucchero a velo: nota di colore distintiva del periodo, conforme alla tradizione e, insieme, durevole anche nell’attualità.
E, però, nella mente del comune osservatore di strada che scrive, l’evento del Carnevale trova posto anche e soprattutto alla stregua di scrigno di suggestioni e ricordi passati, che hanno il pregio di mantenere pieno e immutato il sapore di dolcezza, addirittura più gustoso dei richiamati prodotti di pasticceria modaioli.
Sulla via principale del paese natio, Marittima, circa duemila anime, insiste tuttora, sebbene parzialmente rammodernata, una signorile dimora d’epoca, recante, non a caso, sul frontespizio, alla sommità del portone d’accesso nell’aggraziato atrio cortile, uno stemma araldico scolpito su un cubo di pietra leccese.
Nei secoli scorsi, tale edificio – inizialmente, forse, di struttura più ampia e articolata – ha costituito, a lungo, la dimora dei nobili del posto, insigniti del titolo di barone; in particolare, durante il periodo risorgimentale, ha visto nascere e crescere un personaggio, distintosi e assurto a fama non solo per il suo lignaggio, ma anche e soprattutto come patriota irredentista, al seguito di eminenti figure storiche quali Santorre di Santa Rosa, Mazzini, Manin e Cavour.
Procedendo nel tempo e fissando il calendario pressappoco intorno a un’ottantina d’anni addietro, la casa in questione è poi pervenuta, diventandone l’abitazione, a una locale famiglia benestante di proprietari terrieri e gente dabbene, composta anche da una ragazza.
Detta giovane, arrivata la stagione “giusta”, si era fatta “zita” (allora, l’accezione fidanzata non esisteva per niente nel vocabolario del paese), praticamente era stata promessa in sposa a un giovane, pure appartenente a famiglia di possidenti agricoli, residente in un altro piccolo paese, a otto/nove chilometri di distanza.
Non vi erano, ai tempi, automobili, né motocicli, semmai appena qualche bicicletta, sicché – a parte i rispettivi impegni, continui, in casa o nei campi – per la coppia, le occasioni d’incontrarsi erano infrequenti.
Certo, esisteva la possibilità di scambiarsi lettere, c’erano le visite incrociate, con familiari al seguito, per le ricorrenze, come Natale, Pasqua, le feste patronali, i compleanni e gli onomastici e però, dopodiché, basta.
Nella piccola cornice di cui anzi, mi piace ricordare una singolare iniziativa adottata dallo “zito” in discorso, nell’intento di offrire un gesto di devozione, riguardo e gentilezza alla sua “promessa”.
Ogni anno, a Carnevale – in gergo dialettale, Mascarani – il predetto era solito organizzare, preparare e allestire nel suo paese, con l’aiuto di parenti e amici, una carovana, o corteo come si appella oggi, di carri agricoli, calessi e “sciallabbà” trainati da cavalli, nonché di equini sellati e cavalcati liberamente, il tutto agghindato mediante fiori, foglie, rami con appesi i frutti della stagione e altri ornamenti colorati, a fare da pendant agli appositi costumi, acconciati alla buona, dei guidatori e cavalieri, dal volto coperto da rudimentali mascherine realizzate a mano, con carta o cartoncino, e più o meno dipinte.
Ciò fatto, ecco tale carovana muoversi in direzione di Marittima e attraversare lentamente il paese, soprattutto la via principale dove si affacciava la casa della nubenda in pectore, la quale ultima, evidentemente compiaciuta, si poneva al balcone a ricevere l’insolito, se non esclusivo, omaggio da parte del futuro marito.
L’iniziativa arrivava a rivestire, ogni volta, carattere d’eccezionalità collettiva, posto che l’intera popolazione vi assisteva con partecipazione, coinvolgimento e gioia.
Non c’è che dire, piccole manifestazioni semplici e spontanee d’anni lontani, aventi però all’origine, indiscutibilmente, un’innata e genuina nobiltà interiore e, quindi, denotanti un’anima di vitalità tale che, contrariamente a quanto succede per la maggior parte delle cerimonie e dei riti attuali, non si spegne per nulla con lo scorrere del tempo.
All’autore di queste note, all’epoca dei fatti piccolo spettatore con i calzoncini corti, piace, di tanto in tanto, riviverne le immagini.
Del resto, gli sono sempre rimaste presenti le sembianze della coppia e infine, di recente, nello scorgere su un muro del paese le abbreviazioni N.H. davanti al nome e cognome di lui, oltre a sgorgargli dentro un profondo sentimento di buon ricordo, apprezzamento e condivisione, gli si è affacciata l’idea che l’antico giovane, da lassù, nel periodo dei “Mascarani”, non mancherà di seguitare puntualmente a preparare il corteo di carri, cavalli e cavalieri per la sua sposa.