Quella seconda mensola del balcone del castello di Nardò … (4/6)

di Armando Polito

Volendo andare a ritroso nel tempo va aggiunto che il Ripa nello scrivere la scheda relativa all’Amicizia si rifece pure a quanto aveva scritto Robert Holcot (XIV secolo) nel suo In librum sapientiae regis Salomonis praelectiones CCXIII (cito dall’edizione del 1586, s. e., s. l., pag. 731):

Pictura amoris sive amicitia MORALITAS XXVI. Narrat Fulgentius in quodam libro de gestis Romanorum: quòd Romani verum amorem sive veram amicitiam hoc modo descripserunt, scilicet: quod imago amoris vel amicitia depicta erat instar iuvenis cuisdam valdè pulchri, induti habitu viridi. Facies eius et caput discooperta erant sive nudata, et in fronte ipsius erat hoc scriptum: HYEMS ET AESTAS. Erat latus eius apertum, ita ut videretur cor, in quo scripta erant haec verba: LONGE ET PROPE. Et in fimbria vestimenti eius erat scriptum: MORS ET VITA. Similiter ista imago habebat pedes nudos, etc. SEQUITUR MYTHOLOGIAE EXPOSITIO. Ista imago quae depicta erat ad similitudinem hominis iuvenis, in signum: quod verus amor & sincera amicitia non potest diu latere in corde, sed sese extendit in opere exterius: iuxta illud Gregorij: Probatio dilectionis, est exhibitio operis. Erant scripta, hyems & aestas: id est, adversitas & prosperitas, in signum: quod veri amici secreta cordis invicem debent intimare, & necessitates quaslibet alter alteri ostendere: et ideò scriptum est in corde, longè & propè, in signum: quod amicus tantundem diligendus est quando distat, ac si prope existeret. In fimbria scriptum erat, Mors & Vita, in signum: quod verus amor & sincera amicitia senescere non debet, & per consequens in necessitate non deficere, sed semper iuvenescere, & aeque stabilis esse in principio & in fine. Ista imago habebat caput, & faciem discoopertam, in signum: quod verus amor & sincera amicitia non potest diu latere in corde, sed sese extendit in opere exterius: iuxta illud iuxta illud Gregorij: Probatio dilectionis, est exhibitio operis. Erant scripta, hyems & aestas: id est, adversitas & prosperitas, in signum: quod veri amici secreta cordis invicem debent intimare, & necessitates quaslibet alter alteri ostendere: et ideò scriptum est in corde, longè & propè, in signum: quod amicus tantundem diligendus est quando distat, ac si prope existeret. In fimbria scriptum erat, Mors & Vita, in signum: quod verus amor & amicus sincerus debet esse perseverans non solùm in vita praesenti, sed etiam in morte, quae per fimbriam designatur. Item vestis viridis indicat amicitiam semper debere esse recentem & suavem, nulla que temporis diuturnitate tepescentem, & instar hederae sempere virescere, etc. per omnia tempora & loca inseparabiliter amico adhaerere, etc.

Il testo presenta la ripetizione, probabilmente per errore nella trascrizione dal manoscritto, di un lungo periodo. Ne fornisco la traduzione fedele anche perché tale errore non comporta nessuna conseguenza ai fini della nostra ricerca: Rappresentazione dell’amore o amicizia MORALITÀ XXVI. Narra Fulgenzio in un libro sui fatti dei Romani che i Romani descrissero il vero amore o la vera amicizia in questo modo, cioè che l’immagine dell’amore o dell’amicizia era rappresentata a guisa di un giovene molto bello, che indossava una veste verde. Il suo volto e il capo erano scoperti o nudi e sulla sua fronte c’era questa scritta: HYEMS ET AESTAS. Il suo fianco era aperto così che si vedeva il cuore sul quale erano scritte queste parole: LONGE ET PROPE. E sull’orlo della sua veste era scritto: MORS ET VITA. Inoltre questa immagine aveva i piedi nudi, etc. SEGUE L’ESPOSIZIONE DELLA MITOLOGIA. Questa immagine che era rappresentata a somiglianza di giovane uomo simboleggiava che il vero amore e la sincera amicizia non possono a lungo nascondersi nel cuore, ma si mostrano esteriormente in concreto, secondo quel famoso concetto di Gregorio: Prova dell’amore è l’esibizione del concreto1. Era scritto hyems et aestas, cioè avversità e prosperità, a simboleggiare che i veri amici debbono  vicendevolmente comunicare i segreti del cuore e l’uno mostrare all’altro ogni bisogno; e perciò è scritto sul cuore longe et prope , a simboleggiare che l’amico deve essere amato allo stesso modo quando è lontano e quando è vicino. Sull’orlo era scritto mors et vita a simboleggiare che il vero amore e la sincera amicizia non debbono invecchiare, e di conseguenza non venir meno nel bisogno ma sempre ringiovanire ed essere ugualmente stabile all’inizio e alla fine. Questa immagine aveva la testa e il volto scoperti a simboleggiare che il vero amore e la sincera amicizia non possono a lungo nascondersi nel cuore, ma si manifestano esteriormente in concreto, secondo quel famoso concetto di Gregorio: Prova dell’amore è l’esibizione del concreto1. Era scritto hyems et aestas, cioè avversità e prosperità, a simboleggiare che i veri amici debbono  vicendevolmente comunicare i segreti del cuore e l’uno mostrare all’altro ogni bisogno; e perciò è scritto sul cuore longe et prope , a simboleggiare che l’amico deve essere amato allo stesso modo quando è lontano e quando è vicino. Sull’orlo era scritto mors et vita a simboleggiare che il vero amore e l’amico sincero devono essere perseveranti non solo nella vita presente ma anche nella morte, che è simboleggiata dall’orlo della veste. Inoltre la veste verde indica che l’amicizia deve essere sempre vigorosa e dolce, non intiepidita dal trascorre del tempo e sempre verdeggiante come l’edera e per ogni tempo e luogo essere unita inseparabilmente all’amico etc.

L’etc. che chiude il passo  di Holcot ci autorizza a supporre che lo scolastico dominicano inglese abbia, più che parafrasato, quasi citato (difficile dire se a memoria o meno) Fulgenzio. L’indicazione estremamente generica in quodam libro de gestis Romanorum e il tema trattato mi hanno fatto immediatamente pensare al Mythologiarum libri tres di Fabio Planciade Fulgenzio (V-VI secolo), ma un controllo ha evidenziato nel libro non solo l’assenza del brano in questione ma anche di qualsiasi trattazione del tema dell’amore o dell’amicizia.

E se, ad ogni modo, Holcot si rifece a Fulgenzio, per quanto riguarda la rappresentazione tutte le tavole successive al Ripa si mossero sulla sua scia. Ecco, per esempio, di seguito quella tratta da Jean Baptiste Boudard, Iconologie, Carmignani, Parma, 1759.

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Va pure detto che il motto HYEMS ET AESTAS, che in tutti gli autori fin qui citati è riferito all’amicizia, è un nesso già presente come simbolo dell’alternarsi delle stagioni della vita (perciò MORS ET VITA ne appare una sorta di integrazione) in Marco Terenzio Varrone (I secolo a. C.), De lingua latina, V, 10: … omne corpus, ubi nimius ardor aut humor, aut interit aut, si manet, sterile. Cui testis aestas et hiems, quod in altera aer ardet et spica aret, in altera natura ad nascenda cum imbre et frigore luctare non volt et potius ver expectat. Igitur causa nascendi duplex: ignis et aqua ( … ogni corpo quando c’è eccessivo calore o umidità o muore o, se sopravvive, è sterile. Ne sono prova l’estate e l’inverno, poiché nell’una l’aria è calda e la spiga si dissecca, nell’altro la natura non vuole lottare con la pioggia e con il freddo e aspetta piuttosto la primavera, Dunque duplice è la causa del nascere: il fuoco e l’acqua).

Andando ancora più a ritroso nel tempo esso è presente nel libro della Genesi, 8, 22, il cui testo nella vulgata suona così: Cunctis diebus terrae, sementis et messis,  frigus et aestus, aestas et hiems, dies et nox non requiescent (In tutti i giorni della Terra il freddo e il caldo, l’estate e l’inveno, la notte e il giorno non verranno meno). Mi ha sorpreso scoprire che a suo tempo la Chiesa respinse l’interpretazione teologica di Emanuel Swedemborg che in Arcana coelestia (1749-1756; la citazione che segue è tratta dall’edizione uscita a Tubingen nel 1833, v. I, pag. 392) scrive: Et aestas et hiems’: quod significent statum hominis regenerati quoad nova ejus voluntaria quorum vices se habent sicut aestas et hiems, constare potest ab illis quae de frigore et aestu dicta sunt; vices regenerandorum assimilantur frigori et aestui, sed vices regeneratorum aestati et hiemi: quod de regenerando ibi actum, hic autem de regenerato, constat inde quod ibi primo loco ‘frigus’ nominetur et secundo ‘aestus’; hic autem primo loco ‘aestas’ et secundo ‘hiems’; causa est quia homo qui regeneratur, incipit a frigore, hoc est, a nulla fide et charitate, at cum regeneratus est, tunc incipit a charitate (“Et aestas et hiems”: poiché significherebbero lo stato dell’uomo rigenerato finché è possibile che le nuove volontà il cui corso procede come l’estate e l’inverno risultino da ciò che è stato detto sul freddo e sul caldo; le vicende dei rigenerandi sono assimilate al freddo e al caldo, ma le vicende dei rigenerati all’estate e all’inverno: ciò che lì è avvenuto del rigenerando, qui (avviene) del rigenerato; risulta perciò che lì in primo luogo è nominato il freddo e in secondo il caldo, qui in primo luogo l’estate e in secondo l’inverno; la causa è che l’uomo che viene rigenerato comincia dal freddo, cioè da nessuna fede e carità, ma, quando si è rigenerato allora comincia dalla carità).

Mi viene il sospetto che quest’interpretazione non piacque per partito preso, dal momento che questo genio poliedrico (si cimentò con ottimi risultati nelle più svariate discipline: dalla matematica alla chimica, dall’anatomia alla filosofia, dalla musicologia all’omeopatia) fu uno dei precursori dello spiritismo …

 

(CONTINUA)

prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/08/10/quella-seconda-mensola-del-balcone-del-castello-di-nardo-16/

seconda parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/08/11/quella-seconda-mensola-del-balcone-del-castello-di-nardo-26/

terza parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/08/12/quella-seconda-mensola-del-balcone-del-castello-di-nardo-36/

quinta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/08/19/quella-seconda-mensola-del-balcone-del-castello-di-nardo-56/

sesta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/08/20/quella-seconda-mensola-del-balcone-del-castello-di-nardo-66/

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1 L’atto concreto di cui parla Gregorio (Homiliarium in Evangelia, I, XX) è l’elemosina:  Sed etsi fructum proprium ulmus non habet, portare tamen vitem cum fructu solet, quia et saeculares viri intra sanctam Ecclesiam, quamvis spiritalium virtutum dona non habeant, dum tamen sanctos viros donis spiritalibus plenos sua largitate sustentant, quid aliud quam vitem cum botris portant? (Ma sebbene l’olmo non abbia un proprio frutto suole tuttavia reggere la vite col frutto, perché anche i laici nella santa Chiesa, sebbene non abbiano il dono delle virtù spirituali, mentre sostentano tuttavia con la loro generosità i santi uomini pieni di doni spirituali, che altro sorreggono se non la vite con i grappoli?).

È evidente che Gregorio si è rifatto alla seconda similitudine de Il pastore di Erma.

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