di Armando Polito
Prendo in considerazione per primo lo stemma dei Personè che non poteva mancare proprio su questa fabbrica.
Esso appare più elaborato di analoghe rappresentazioni presenti in altre.
Ecco, in progressivo avvicinamento, quello sulla facciata di Villa Cristina, oggi Villa De Benedittis progettata nel 1920 dallo stesso ingegnere, Generoso De Maglie, al quale si deve il rifacimento della facciata del palazzo tra la fine del secolo XIX e gli inizi del successivo.
Eccone la descrizione: Spaccato di azzurro e di verde e sul tutto due atleti di oro ignudi, in atto di lottare, accompagnati nel capo da una testa di Mercurio con il motto et pace et bello1.
Proprio il motto (ET PACE ET BELLO) ancora una volta (ma sarà, purtroppo, l’ultima, perché nessun altro dettaglio lo reca, oltre la seconda mensola figurata del balcone, della quale mi occuperò prossimamente) mi soccorre ad andare a ritroso nel tempo. La locuzione è piuttosto inflazionata nella letteratura classica ma, restringendo il campo alle attestazioni in cui non compare come generica determinazione temporale (in pace e in guerra)/strumentale (con la pace e con la guerra), le possibilità residue di derivazione sono due:
1) da un passo relativo alla guerra tarentina di Lucio Anneo Floro (I-II secolo d. C.), Bellorum omnium annorum septingentorum libri duo, (I, 13): Sed et bello et pace et foris et domi omnem in partem Romana virtus tum se adprobavit, nec alias magis quam Tarentina victoria ostendit populi Romani fortitudinem, senatus sapientiam, ducum magnanimitatem (Ma in pace e in guerra e fuori e in patria in ogni parte il valore romano allora diede prova di sé né altro che la vittoria tarentina mostrò la forza del popolo romano, la saggezza del senato, la generosità dei comandanti).
2) da un passo di Caio Silio Italico (I secolo d. C.), Punica, III, 134-137: Et pace et bello cunctis stat terminus aevi,/extremumque diem primus tulit: ire per ora/nomen in aeternum paucis mens ignea donat,/quos pater aethereis coelestum destinat oris (E in pace e in guerra per tutti incombe la fine della vita e il primo giorno porta l’ultimo: che il nome proceda in eterno sulle bocche un ardente coraggio lo concede a pochi, che il padre degli dei destina alle celesti contrade).
Essendo poco probabile per motivi temporali che il motto sia stato tratto da quello del recto di una medaglia di Enrico II risalente al 1522 (è la n. 1 della tavola XIII in Trésor de numismatique et de glyptique di M. P. Delaroche e M. C. Lenormant, Rittner e Goupil, Parigi, 1836), in basso riprodotta, ed escludendo l’ipotesi n. 2 per scarsa congruenza con la composizione dello stemma, rimarrebbe la n. 1.
E i repertori antichi di simboli che tanto mi sono stati d’aiuto nella decifrazione della mensola figurata di cui ho detto prima, che recano? Purtroppo nulla e le uniche testimonianze iconografiche che son riuscito a trovare sono due.
La prima risale al XV secolo ed è contenuta nella carta 17 r di un manoscritto (n. 77 e codice iconografico 424 segnati sulla seconda carta) del XV secolo custodito nella Biblioteca Bavarese di Monaco.
Qui i contendenti sono due leoni, direi in posizione neutra. Veri protagonisti sono la spada e il ramoscello d’olivo che la circonda.
La seconda immagine, molto più recente, è un’acquaforte di Stefano Della Bella (Firenze 1610 – 1664), irrilevante ai fini della mia ricerca, ma che ho riprodotto in basso per la sua bellezza. Fa parte della serie Divers desseins tant pour la Paix que pour la Guerre (n° 264 nel Stefano Della Bella Catalogue Raisonné, New York 1971, di Devesme–Massar).
Dopo questa buca iniziale cercherò di rifarmi, spero almeno parzialmente, col dettaglio che costituisce la chiave dell’arco del portale.
A meno che non abbia preso un abbaglio mi pare di riconoscere un arco legato alla faretra e ad una freccia.
Nei dettagli finora esaminati il motto era stata la chiave di volta per un tentativo lettura; qui lo sarà proprio il dettaglio della chiave dell’arco del portale.
In soccorso, questa volta, mi è venuto il repertorio di simboli di Juan De Borja, Empresas morales, Foppens, Bruxelles, 1680, pagg. 118-119. Si tratta della seconda edizione; la prima era uscita a Praga, in latino per i tipi di Nigrin nel 1581.
Anziché sobbarcarmi al compito di tradurre dallo spagnolo, preferisco farlo dal latino sfruttando un’edizione del 1697.
Alla luce di quanto fin qui emerso mi pare di poter concludere dicendo che il simbolo del portale è in perfetta coerenza con il motto dello stemma; il che confermerebbe per quest’ultimo l’interpretazione suggerita dalla prima ipotesi inizialmente formulata, anche se ridimensionata nel suo significato bellico e calibrata su una più generica filosofia di vita.
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1 M. Gaballo, Araldica civile e religiosa a Nardò, Nardò nostra (edizione di 500 esemplari numerati fuori commercio), Nardò, 1996.
Insomma, siamo sempre alle solite, questi uomini, in qualche modo devono sempre tenere alto il piacere della “GUERRA”…”SI vis pacem para bellum”…tra qui da noi si diceva che da quel “para bellum” fosse derivato il nome del, credo, primo fucile mitragliatore in dotazione all’esercito sovietico….anzi anche il vocabolario italiano De Mauro da questa derivazione del “parabellum” che era stato itlianizzato in “parabello” e qui in piemonte veniva piemontesizzato in “parabel” “It l’has vist, col partigia a l’ha ‘l parabel” (“Hai visto, quel partigiano ha il parabello!”
Sergio
Concordo amaramente con te, caro Sergio. La corsa agli armamenti (sempre in auge come ai tempi della guerra fredda, checché vogliano farci credere) rappresenta l’espressione più alta della nostra idiozia; e non sono un pacifista sfegatato …
A voler poi guardare in fondo alle cose: ammetto che l’umanità ha vissuto e continua a vivere un lungo periodo di pace “mondiale” a scapito di tante guerre “locali”, sponsorizzate dalle potenze che così non hanno interesse a passare dalla guerra fredda a quella calda. Ma che pace è quella che comporta, comunque, la fine di tante vite e l’ipocrita affermazione di finti ideali che servono solo a mascherare biechi interessi (come sempre …) economici? Il si vis pacem para bellum è una filosofia millenaria, ma mi chiedo se può essere considerata saggezza, sia pure solo politica, quella che continua a crogiolarsi nel letame di un rassegnato, comodo e cinico realismo, che rappresenta l’alibi più squallido per non realizzare quegli ideali evangelici di fratellanza, giustizia e pace con i quali, pure, non si perde occasione per sciacquarsi la bocca.