La scuola di cento anni fa vista da un poeta neretino con gli occhi di una donna di Nardò.

di Armando Polito

Immagini tratte da Brunella Dalla Casa, Donne scuola lavoro. Dalla Scuola professionale “Regina Margherita” agli Istituti “Elisabetta Sirani” di Bologna, 1895-1995, Grafiche Galeati, Imola, 1996.
Immagini tratte da Brunella Dalla Casa, Donne scuola lavoro. Dalla Scuola professionale “Regina Margherita” agli Istituti “Elisabetta Sirani” di Bologna, 1895-1995, Grafiche Galeati, Imola, 1996.

 

Odio le operazioni-nostalgia quando servono solo ad affossare acriticamente o, peggio, strumentalmente, il presente, perché il loro successo è assicurato ed a me le cose dall’esito scontato non piacciono minimamente, anche perché nascono da un calcolo furbesco che fa leva sulla carica suggestiva del ricordo, anche negativo, alla quale, nonostante tutto, nessuno di noi è in grado di rinunciare.

Oggi, poi, il successo dell’operazione, già scontato in partenza per i risvolti psicologici appena detti, risulta esaltato da un clima di insofferenza generalizzato che, comunque per fortuna, si sta diffondendo nel mondo e che minaccia di raggiungere effetti esplosivi in Italia dove la classe dirigente continua imperterrita a cincischiare, senza adottare nessun provvedimento concreto e efficace, almeno potenzialmente, per la soluzione  dei problemi-cardine che quotidianamente con una disgustosa cantilena dichiara di aver definitivamente individuato: merito, lavoro e lotta all’evasione fiscale.  E tutto questo quando ormai siamo fuori tempo massimo e per giunta ricorrendo all’illuminato aiuto di menti in cui l’aureola della genialità e della saggezza si fondono, confondono ed abbagliano gli stessi portatori di cotanto cervello al punto che non si rendono conto nemmeno di aver accettato di essere comprimari (sempre irresponsabili …) di uno spettacolo osceno (nel suo immediato significato etimologico, cioè che non sarebbe dovuto andare in scena); e magari si attendono pure da un momento all’altro il titolo di salvatori della patria …

Mi si potrebbe far osservare che è facile recitare la parte del laudator temporis acti (il lodatore del passato) togliendosi le fette di prosciutto dagli occhi solo quando si osserva il presente. La crisi è esiziale pure per le metafore e già il prosciutto è stato soppiantato dalla mortadella. Allora, debbo aspettare che pure questa diventi preziosa per non essere tacciato di parzialità? Non ce n’è bisogno, perché come si sia ridotta in pochi decenni la scuola del nostro tempo è visibile a tutti e sulla scuola di un secolo fa cedo la parola a Francesco Castrignanò. Non ho stipulato un contratto promozionale con gli eredi né è mia intenzione pubblicare un saggio su di lui, ma è solo per dovere di documentare il lettore al quale sia sfuggito qualche mio precedente post che qui ribadisco che Cose nosce è il nome della raccolta di poesie del neretino uscita per i tipi di Leone nel 1909 e che A tiempu mia è il titolo di quella che mi accingo a leggere.

La protagonista della poesia vive nel rimpianto di non essere nata dopo e la fregatura non è, in ossequio ad un vecchio detto, il fatto che, almeno teoricamente, è destinata a morire prima, ma l’ignoranza in cui ha dovuto vivere; insomma, siamo in presenza non di una laudatio (lode) ma di una obtrectatio (denigrazione) temporis acti. Oggi, invece, chi ha una certa età resta bbabbatu constatando il degrado che in pochi decenni la cultura ha subito (anche per l’inflazione dei titoli di studio e per il pessimo uso dei nuovi media10 … ) e si augura solo di chiudere gli occhi al più presto per non restare abbrutito pure lui da questa spaventosa involuzione. Poi pensa al film che è valso l’Oscar a Benigni e (giustamente o ingiustamente, chi lo sa?) ci ripensa. Alla prossima …

 

 

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1 Alla lettera: mettono.

2 Variante del napoletano guaglione, voce che per il Rohlfs è dall’onomatopeico guagnì=piagnucolare.

3 Da scarzare, da s– estrattiva o privativa  (dal latino ex) e carza=branchia, corrispondente all’italiano gargia connessa col latino medioevale gargàlia=trachea.

4 Vedi la nota 9 in https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/06/04/luomo-e-le-macchine-in-una-poesia-in-dialetto-neretino-di-un-secolo-fa/https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/06/04/luomo-e-le-macchine-in-una-poesia-in-dialetto-neretino-di-un-secolo-fa/

5 Etimo quanto mai controverso. Il Rohlfs invita ad un confronto con il siciliano caruso derivato dal verbo carusare=tosare, per il quale ipotizza dubitativamente un incrocio tra il greco κάρα (leggi cara)=testa e un latino *tonsare frequentativo del classico tondère=tosare. Altri, invece, come primo componente, mettono in campo non κάρα ma il verbo κείρω (leggi chèiro)=tagliare. Altri ancora per caruso propongono la derivazione da cariòsu(m)=cariato, poi liscio, calvo. Va detto che il milanese tosa=ragazza (da tonsa, participio femminile singolare di tondère) sembra rendere più attendibili le prime due ipotesi, Con lo stesso significato di carusare  il neretino usa caruppare, al cui esito diverso rispetto al siciliano non trovo spiegazione.

6 Questa dichiarazione oggi procurerebbe, a ragione, più di un linciaggio da parte delle femministe. Nella poesia è solo una protagonista dell’ancien regime, magari troppo anziana e troppo poco sveglia per mutare opinione (tra i giovani solo gli imbecilli non la mutano mai o la mutano troppo spesso …) e per questo va compresa. Non riesco a comprendere, invece, i comportamenti delle tante barbare, protagoniste di più di un fatto di cronaca recente,  non all’altezza del compito delicatissimo (magari avranno pure seguito, per corrispondenza, una cinquantina di corsi conseguendo regolarmente, cioè su pagamento …, i relativi attestati) loro affidato di curare persone con cui il destino non è stato prodigo fin dall’inizio della loro avventura sulla terra. In confronto a loro la Barbara della poesia è una santa.

7 Stessa etimologia di arancio (dal persiano  nāranǵ, che è probabilmente dal sanscrito nāgaranja=frutto degli elefanti), rispetto al quale, però, presenta la conservazione della consonante iniziale originaria.

8 Pure oggi tutti parlano di merito e della necessità di investire nella cultura, ma il riconoscimento dell’uno è una chimera, i fondi destinati alla seconda vengono sempre più tagliati, i migliori emigrano  e i cittadini onesti che rimangono sono solo polli da spennare o pecore da caruppare.

9 Da babbare, per cui vedi la nota 1 in https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/05/02/quando-unagenda-vale-come-e-piu-di-un-libro/

10 Ultima, in ordine di tempo, la circolare ministeriale n.18 del 9 febbraio 2012 che rende obbligatoria per il prossimo anno scolastico l’adozione dei libri di testo esclusivamente in formato digitale, provvedimento utilissimo per i produttori di tablet ma esiziale per studenti neppure in grado, ormai, di leggere correttamente (quanto a capire ciò che si legge, meglio lasciar perdere …) il più elementare dei testi a stampa …

 

 

 

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