Ipra (vipera): un pizzico di veleno sì, ma nell’etimologia

di Armando Polito

immagine tratta da http://www.escursioniapuane.com/Evidenze/IMGevidenze/ViperaAspis02b.jpg
immagine tratta da http://www.escursioniapuane.com/Evidenze/IMGevidenze/ViperaAspis02b.jpg

 

nome scientifico: Vipera aspis L.

nome comune: vipera

nome dialettale neretino: ipra

Man mano che qualcosa muore la parola ad essa riferita tende, anche se in tempi notevolmente più lunghi, a scomparire prima dall’uso, poi dal vocabolario, per essere tumulata, bene che le vada, in lessici specialistici a futura memoria.

Così, quando pure la vipera sarà estinta, il suo nome seguirà lo stesso destino e, per saperne di più, bisognerà ricorrere a testi del passato. Non saranno, probabilmente, libri a stampa ma più verosimilmente testi digitali; e sotto questo punto di vista c’è solo da augurarsi che quella prodigiosa e inesauribile miniera rappresentata dalle informazioni postate nel nostro sito non sia andata nel frattempo criminalmente perduta.

Io certo, nel mio piccolo, posso fare ben poco per salvare quest’animale che, a differenza dell’uomo,  attacca solo per difendersi, e la tristezza mi ha preso quando per ben tre volte Nerino (per chi non lo sapesse è uno dei miei tre gatti, un vero killer) me ne ha portata in casa una uccisa da lui (è impossibile che l’abbia trovate già morte, uccise da qualche altro, animale o persona che sia, perché la zona dove abito è circondata da un muro, senza buchi …, alto due metri). E che si trattasse di vipera ne sono più che certo perché mi è stato confermato da ben due persone competenti, al cui esame  tutte le volte ho sottoposto  le povere spoglie sulle quali ho notato le stesse ferite che mostravano pure le lucertole catturate dal killer. Tristezza o non tristezza, non potevo certo nella circostanza rivolgere un rimprovero al gatto che sicuramente credeva di avermi portato un dono. E, siccome sarebbe per me più facile insegnare a Nerino il latino (l’italiano lo comprende perfettamente, anche se non lo legge e non lo parla …) che spingerlo a violentare la sua natura, mi tengo la tristezza.

Qualcosa, però, posso fare per il suo nome, partendo dagli elementi della scheda iniziale, e questa volta, contrariamente al solito, dall’ultimo. Ipra (in uso anche a Ruffano e a San Pancrazio) è da vipera con aferesi e sincope di –e-.

Ora estenderò l’indagine alle numerose varianti salentine registrate nel vocabolario del Rohlfs, raccolte sul campo o da testi a stampa.

ìpera (Bagnolo, Nociglia e Erchie); da vipera con aferesi.

ìpara (Aradeo, Castro, Carpignano e Poggiardo); da vipera con aferesi e passaggio –e->-a-.

ìpira (Carpignano); da vipera con aferesi e passaggio –e->-i-.

lipra (Alessano, Castrignano dei Greci, Morciano, Patù, Spongano, Taurisano); da ipra per errata agglutinazione dell’articolo (l’ipra>lipra).

ifra (San Cesarea Terme, Tricase); è la più vicina a quella neretina, con passaggio dalla labiale sorda (p) all’aspirata (f).

ìfara (L10, corrispondente a Salvatore Panareo, Fonetica del dialetto di Maglie in Terra d’Otranto, Milano, 1903); rispetto a vìpera presenta sincope di v-, passaggio dalla sorda all’aspirata, passaggio –e->-a-.

ìfera (Vitigliano); aferesi e passaggio dalla sorda all’aspirata.

lifra (Casarano, Tricase, Taurisano, Taviano, Ugento); da ifra per errata agglutinazione dell’articolo (l’ifra>lifra); non a caso a Tricase appaiono in uso ifra, lifra e il seguente lìfara.

lìfara (Specchia, Tricase); da ìfara per errata agglutinazione dell’articolo (l’ìfara>lìfara).

lìpara (Gagliano, Salve) rispetto a lìfara ha recuperato la sordità della labiale.

tìfera (Soleto e Sternatia); forse da ìfera con prostesi di t– dovuta ad incrocio con tìcara (vedi più avanti).

dìfera (Corigliano); da tìfera con passaggio della dentale dalla sorda (t) alla sonora (d).

tìcara (L6, corrispondente a Fernando Manno, Dizionario del dialetto salentino leccese, manoscritto inedito;  molto probabilmente per influsso di un altro tìcara (L29, corrispondente a Francesco Castrignanò, Cose Nosce, Leone, Nardò, 1906) che significa tigre; sempre con quest’ultimo significato ticra (L8, corrispondente a Francesco d’Ippolito, Vocabolario dialettale ossia il linguaggio vernacolo della provincia di Terra d’Otranto, Taranto, 1896) e con quello di pesce marino con pelle tigrata, gattopardo ticra (Castro e Leuca) e tigra (Otranto). La commistione tra vipera e tigre è data anche dalla variante ticra (per sincope da tìcara) usata col significato di vipera a Carmiano e a San Pietro Vernotico. Le striature della pelle, insomma, starebbero alla base dell’incrocio.

Passo alla voce italiana: vipera è dal latino vìpera(m), probabilmente per sincope da *vivìpera(m), composto da vivus/a/um=vivo+la radice di pàrere=generare; la voce, perciò, alla lettera significherebbe che genera figli vivi; in realtà la vipera è un oviparo (partorisce sì, ma un uovo fecondato). Responsabile dell’incongruenza tra etimologia e realtà è, addirittura, Plinio (I secolo d. C.), come vedremo fra breve.

Per quanto riguarda il nome scientifico, di vipera s’è appena detto. Aspis in latino significa serpente velenoso in genere (da cui l’italiano aspide) ed è dal greco ἁσπίς (leggi aspìs) col significato di scudo e di aspide. A questo punto il lettore si chiederà che rapporto ci possa mai essere tra lo scudo e il serpente. Me lo son chiesto pure io e senza troppo riflettere ho pensato che il serpente arrotolato ricorda la conformazione di uno scudo. Mi ha fatto piacere nella successiva ricercavedere che la mia ipotesi coincideva perfettamente con quella più datata. Si sa, l’appetito vien mangiando: giacché ci siamo, da dove trae il nome un caratteristico punto della costa tra S. Caterina e S. Maria (foto sottostante) chiamato Punta dell’aspide?

Guardando la linea di costa in quel punto  si potrebbe supporre che il toponimo sia basato su un rapporto di somiglianza. Tuttavia, tenendo presente che la vicinissima torre di S. Caterina si chiama anche Torre dello Scorsone2, è pure probabile che entrambi i toponimi più che alla somiglianza di quel tratto di costa con l’animale, siano legati all’esistenza in loco di un suo esemplare divenuto poi leggendario.

Era rimasta in sospeso, a proposito di vipera,  la questione dell’incongruenza tra etimologia e realtà ed avevo osato accusare Plinio. Ecco le prove della sua colpevolezza:: Due in tutto sono tra gli animali senza pelo quelli che partoriscono un animale: il delfino e la vipera3; Invece tra gli animali terrestri i serpenti generano uova: di loro ancora non s’è detto. Si accoppiano in un amplesso avvolgendosi reciprocamente attorno così che si potrebbe pensare che sia uno solo a due teste. Il maschio della vipera inserisce il capo nella bocca (della femmina) ed essa per la dolcezza del piacere glielo rode. Tra gli animali terrestri è la sola a partorire dentro di sé le uova di un unico colore e molli, come quelle dei pesci. Dopo tre giorni di permanenza nell’utero espelle i piccoli, poi ne partorisce uno al giorno, fino a quasi venti. E così gli altri impazienti di aspettare le aprono i fianchi, dopo aver ucciso la madre4.

È proprio il caso di dire in cauda venenum, ma in un nuovo significato che alla lettera non coinvolge lo scorpione e tanto meno la vipera (il cui morso, contrariamente a quanto si crede, rarissimamente è mortale)  e che metaforicamente si riferisce solo al fatto che dopo un inizio abbastanza scorrevole ho lasciato in coda le questioni più spinose. Non so, però, se le soluzioni proposte sono un antidoto efficace al dolce veleno della aleatorietà ed incertezza della conoscenza …

___________

1

Stefano Raffei, Dissertazione III, Mordacchini, Roma, 1821, pag. 61: La forma degli scudi di ambedue gli Eroi [greci e troiani] è rotonda, contro l’uso più comune degli altri artefici, che li facevano ovali. La rotondità degli scudi corrisponde a puntino alla proprietà della parola aspìs adoperata da i poeti a dignificare quei clipei …era tal sorte di scudo metaforicamente chiamato aspìs per somiglianza con la serpe aspide, la quale attorcigliandosi forma una figura circolare.

Vincenzo Tuzzi, Dizionario filosofico-pratico della lingua italiana, Coi tipi della Minerva, Padova, 1837, pag. 212 al lemma ASPIDE: Aspis nel greco, in senso proprio, vale scudo; e i Latini lo applicarono ad un piccolo serpente che appartiene al genere delle vipere (detto da Linneo Coluber aspis) per la similitudine che hanno le scaglie della sua pelle colla forma degli scudi.

Silvio Bruno, Serpenti, Giunti, Firenze, 1977, pag. 196 : La complementare accezione greca di coloro che ritengono aspìs “scudo”, nel senso che l’aspide ha la testa a forma di scudo, è ritenuta una paraetimologia perché la forma dello scudo cambia a seconda delle epoche e dei popoli e lo scudo triangolare o svizzero è soprattutto di “marca” europea; tuttavia sembra probabile che in origine quest’omofono greco indicasse un’animale e un’arma provvisti di scaglie.

2 https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/20/due-specie-di-serpenti-piu-diffuse-nelle-campagne-salentine/

3 Naturalis historia, IX, 15: Pilo carentium duo omnino animal pariunt, delphinus et vipera.

4 Op. cit., X, 82: Rursus in terrestribus ova pariunt serpentes: de quibus nondum dictum est. Coeunt complexu, adeo circumvolutae sibi ipsae, u tuna existimari biceps possit. Viperae mas caput inserit in os, quo dilla abrodit voluptatis dulcedine. Terrestrium eadem sola intra se parit ova unius coloris et mollis, ut pisces. Tertia die intra uterum catulos excludit: deinde singulos singulis diebus parit, viginti fere numero. Itaque ceterae tarditatis impatientes, perrumpunt latera, occisa parente.

Alla vipera il naturalista latino dedica altri passi della sua opera. Ne riporto i più interessanti: VIII, 59: Serpentium vipera sola terra dicitur condi: ceterae arborum aut saxorum cavis. Et alias vel annua fame durant, algore modo dempto. Omnia secessus tempore veneno orba dormiunt (Si dice che tra i serpenti solo la vipera si nasconde nella terra, gli altri nelle cavità degli alberi o dei sassi. Peraltro resistono al digiuno anche per un anno, purché siano al riparo dal freddo. Tutti nel tempo del letargo dormono privi di veleno); XI, 62: Viperae dentes gingivis conduntur. Haec eodem praegnans veneno, impresso dentium repulsu virus fundit in morsus (I denti della vipera sono nascosti dalle gengive. Essa ripiena del medesimo veleno lo diffonde col morso al momento di ritirare i denti dopo averli conficcati); XXIX, 21: Viperae caput impositum, vel alterius qyam quae percusserit, sine fine prodest. Item si quis eam ipsam in vapore baculo sustineat: aiunt enim praecanere: item si quis exustus eius cinerem illinat. Reverti autem ad percussum serpents necessitate naturae, Nigidius auctor est. Caput quidem disseccant Scythae inter aures ad eximendum lapillum, quem aiunt ab ea devorari territa. Alii ipso toto capite utuntur. Fiunt ex vipera pastilli, qui therisci vocantur a Graecis, ternis digitis utrimque amputatis, exemptisque interaneis, et livore spinae adhaerente, reliquo corpore in patina ex aqua et anetho discocto, spinisque exemptis, et addita similagine, atque ita in umbra siccatis pastillis, quibus ad multa medicamenta utantur. Significandum videtur e vipera tantum hoc fieri. Quidam purgatae, ut supra dictum est, adipem cum olei sextario decoquunt ad dimidias. Ex eo, quum opus sit, ternis stillis additis in oleum perunguntur, ut omnes bestiae fugiant eos (Il capo della vipera posto sul morso o quello di un’altra che non abbia morso giova senza fine. Allo stesso modo se la si tiene con un bastone al vapore: così dice che si opera l’incantesimo, come pure se si applica ad empiastro la cenere dopo averla bruciata. Nigidio scrive che i serpenti per natura tornano da chi hanno morso. Gli Sciti incidono il capo tra le orecchie per estrarre la pietruzza che dicono che essa divora per la paura. Altri utilizzano la testa intera. Dalla vipera si ricavano pillole che i Greci chiamano teriaci, tagliandone dalle due estremità tre dita, tolte le interiora e la spina livida che vi aderisce, dopo aver cotto il resto del corpo in un tegame con acqua e aneto, tolte le spine e aggiunto fior di farina; le pillole vengono seccate all’ombra ed utilizzate per confezionare molte medicine. Sembra opportuno far presente che questo si può fare solo con la vipera. Alcuni cuociono con un sestario di olio fino a ridurlo alla metà solo il grasso della vipera preparata come s’è detto prima. Quando ce n’è bisogno si ungono con tre gocce di questo aggiunte ad olio per tenere lontane da loro tutte le bestie).

 

 

 

 

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8 Commenti a Ipra (vipera): un pizzico di veleno sì, ma nell’etimologia

  1. E’ più spesso chiamata anche col secondo nome scientifico aspite o se piccola aspiteddru. Spesso sono confuse con il cervone che da piccolo ha una muta completamente diversa che da adulto.

  2. Faccio presente che nei comuni tra Gallipoli Sannicola, Tuglie molti anziani usano chiamare le vipere col nome di ” Casare” o “casareddhe” per definire le piccole vipere che spesso si incontrano nelle vicinanze delle Cisterne o dei Piloni d’acqua soprattutto nei mesi estivi. Mi chiedo e quale sia il significato Etimologico della parola “Casara”?? Grazie

  3. Analisi esatta e piacevolmente istruttiva. Personalmente non posso aggiungere granchè perchè sono sardo e in Sardegna la vipera non esiste e, per quanto ne so, non è mai esistita. Però esiste il suo nome (pìbera o pìpara) in contraddizione con l’idea che i nomi scompaiano con lo scomparire delle cose che indicano. Il termine viene tutt’ora usato metaforicamente (come dappertutto) per indicare una persona maligna (di sesso femminile, manco a dirlo). Grazie.

    • La contraddizione da lei rilevata, anche a non tener conto dei miei “tende a scomparire” e “quando pure la vipera sarà estinta”, s’intende sulla faccia della Terra, è la classica eccezione che conferma la regola. Pìbera/pìpara è, evidentemente, una metafora “importata” e i significati traslati, nella loro “perversione”, di solito sono più longevi di quelli letterali, soprattutto quando si riferiscono ad esseri viventi e non ad oggetti. D’altra parte anche noi Salentini (e non solo …) scomodiamo il leone per definire un uomo coraggioso pur avendo visto quest’animale solo al circo. Forse, per questo, non lasceremo in pace le bestie per molto tempo, nemmeno dopo la loro estinzione sull’intero pianeta. La ringrazio perché tutto ciò conferma e integra quanto ho scritto non molto tempo fa nel post che potrà leggere su questo stesso sito all’indirizzo
      https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/05/19/strinculu-c-metafore-animalesche-o-idiozia-umana/

  4. Non so quanto questo animale può essere pericoloso per l’uomo… Personalmente non ho notizia di cittadini salentini che abbiano subito il morso del rettile in questione. Di sicuro esiste da noi, personalmente l’ho visto vivo e vegeto per ben tre volte in tre punti diversi del salento. la prima volta che ho visto una vipera era chiusa in una bottiglia che aveva sul tappo due piccoli buchi fatti per far passare l’aria, una sera mi chiamò un amico biologo, fresco di laurea, che si divertiva a catturare serpenti con le mani per osservarli da vicino e poi liberarli. Quella volta nelle campagne di Ugento gli capitò nelle mani una vipera e accorgendosi, fortunatamente subito, che si trattava di un animale pericoloso, dopo averlo letteralmente scaraventato via, lo ricatturò con tutte le cautele e lo portò a Cutrofiano per farlo vedere agli amici. Io per primo ero convinto che da noi non esistesse la vipera e invece dopo quella prova schiacciante mi son dovuto ricredere (l’animale è stato poi liberato nello stesso punto in cui lo aveva catturato). L’ho poi vista dopo un paio di anni a Santa Cesarea Terme su delle scale in pietra proprio nel centro abitato. L’ho poi vista un’altra volta nelle campagne di Specchia sul sasso di un muretto a secco crollato ferma a scaldarsi al tiepido sole del mese di marzo… considerando che ogni tanto sento parlare di questo animale e che non ho mai sentito però che abbia combinato guai agli uomini salentini mi chiedo se ci sono pericoli reali per gli uomini (mi preoccupo perchè porto spesso la mia piccola a fare lunghe passeggiate nei posti più impervi del salento)… so che è necessario utilizzare alcune precauzioni quando si va in campagna a scoprire la natura come far rumore con un bastone prima di mettere il piede nell’erba alta, utilizzare stivali o scarpe chiuse, evitare di lasciare per terra giacche o magliette e poi rimetterle senza averle prima battute per bene… è bello avere la consapevolezza che questo animale esiste, vuol dire che esiste ancora un equilibrio naturale all’interno del quale c’è tutta una vita a noi spesso ignota, però indubbiamente la certezza della sua esistenza mi fa anche capire che bisogna stare stare attenti… chissà se i servizi sanitari salentini sono forniti di siero antiveleno?

  5. Caro Giuseppe, mi ha fatto molto piacere rileggerti. Non sono un etologo ma credo che le precauzioni da te elencate possano essere sufficienti. Quanto al siero pare che sia più pericoloso dello stesso veleno ed è per questo che non è più reperibile in farmacia. Per converso sarebbe interessante sapere se tutti i presidi ospedalieri ne sono forniti, anche perché non è necessario essere dei luminari per somministrarlo correttamente …

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