Una passeggiata a Lecce di fine Seicento. L’abate Giovan Battista Pacichelli descrive la città (seconda parte)

La veduta di Il Regno di Napoli in prospettiva è tratta da http://www.vecchiaprovinciadilecce.it/
La veduta di Il Regno di Napoli in prospettiva è tratta da http://www.vecchiaprovinciadilecce.it/

di Giovanna Falco

 

Gli appunti contenuti nelle varie opere di Pacichelli sono dettati dal gusto e della curiosità e danno la sensazione a chi li legge di tornare in dietro nel tempo e di percorrere insieme con lui le vie della città e del suo circondario.

Venerdì 17 maggio 1686[i], Pacichelli giunge da Campi a Lecce, «scoverta nella torre quattro miglia avanti, quasi con maestoso invito, ma superiore alla fama che ne corre»[ii], cioè dalla stessa direzione da dove è stata ritratta la veduta pubblicata in Il Regno di Napoli in prospettiva.

«Alle 21 hora» entra «in questa Metropoli della Provincia di Otranto»[iii] in groppa a un cavallo affittato da un soldato ad Altamura: un animale «di buono, e grande aspetto, mà vitioso nell’inciampare ad ogni passo»[iv], tant’è vero che poco prima di entrare a Lecce, gli era caduto addosso[v]. È accompagnato dal suo «Cameriero, accoppiandosi meco per guida à piedi un tale Bello Tonno (sopranomi de’ frequenti ad Altamura) applicato ò correr co’ dispacci per le Provincie»[vi].

Pacichelli si reca presso la chiesa dei Gesuiti ad assistere alla funzione della Buona Morte, quindi incontra l’abate Scipione De Raho che «non permise, che in alcun Chiostro io mi fermassi» e lo «condusse subito in sua casa, che hà forma di palazzo»[vii] in corte dei Malipieri[viii].

Il mattino seguente i due abati escono per visitare la città, ma è improbabile che il loro itinerario sia coinciso con il succedersi dell’esposizione dei luoghi indicati nella lettera del 1686 e in Il Regno di Napoli in prospettiva.

Chiesa del Gesù
Chiesa del Gesù

La prima chiesa a essere illustrata è quella dedicata alla protettrice Sant’Irene, officiata dai padri Teatini, «maestosa, con le cappelle sfondate»[ix], circondata da un largo cornicione, «mà il tetto desidera il volto o’l soffitto»[x].

Nella chiesa Pacichelli si sofferma ad ammirare «presso la porta trè tele di S. Carlo Borromeo, e nella Croce alla sinistra S. Gaetano, dipinti à Parma da un loro Laico»[xi], affermazione che contrasta con l’attribuzione delle quattro tele e con l’ubicazione dell’altare di San Gaetano, situato nel transetto destro della chiesa, di cui Infantino aveva trascritto il testo della lapide in onore del Santo, datata 1630[xii]. Infantino, inoltre, aveva specificato: «habitano in questa Casa per ordinario quaranta Padri»[xiii], mentre Pacichelli accenna solo alla «mediocre Biblioteca»[xiv].

Il «sontuoso Collegio della Compagnia dedicato alla Circoncisione»[xv], ha la facciata che «par che superi quella del Collegio Romano»[xvi]. Pacichelli lo ritiene «sconcio ne’ Dormitori»[xvii], reputati invece nel 1703 «commodi, con le Camere, con Chiostri à basso per passeggiarvi, ove han luogo le vaste Scuole, e la stanza cangiata in Cappella del P. Realino, sepolto ivi, non si sa dove»[xviii], «presso alla Sagrestia, restando finita di corpo grande la Chiesa»[xix], con, descrive Infantino, «bella, signoril, & ampia prospettiva» che si affaccia su una piazza, realizzata dopo aver «buttato à terra un gran Palagio, che stava incontro»[xx].

Il Duomo
Il Duomo

In piazza Duomo, Pacichelli osserva il palazzo vescovile, «veramente Cardinalizio»[xxi], la cui facciata, realizzata dal vescovo Scipione Spina, era stata descritta da Infantino come «una bella Galleria con bellissimo ordine di colonne à torno à torno, con balaustri à basso, e sopra»[xxii]. Pacichelli descrive il «novello tempio», rinnovato «nel 1658 dal Vescovo Monsignor Luigi Pappacoda in forma sì nobil’e vasta, con le cappelle ricche di marmi»[xxiii], tra queste ammira quella «molto vasta di S. Oronzio Vescovo Protettore»[xxiv], e nel 1687, oltre al soffitto, quella del «SS. Crocefisso col sepolcro composto di meravigliosi lavori di quella delicata pietra, per memoria, e per cenno di Monsig. Vesc. Pignatelli»[xxv]. Scende anche nel soccorpo che «apparisce ornato dal fù Monsignor Vescovo Luigi Pappacoda ivi sepolto»[xxvi], ma già «maravigliosamente abbellito», ai tempi di Infantino grazie alle «elemosine raccolte per Gio. Griffoli nobile Senese all’hora Vicario»[xxvii].

5 Basilcia di Santa Croce

Pacichelli reputa «magnifica forsi più di tutte la Chiesa di Santa Croce de’ Celestini vicino alle mura»[xxviii], che «spicca per la facciata nobilissima del Gran Tempio, e per l’architettura del Monistero; v’è in essa frà l’altre un’antica Cappella della Nobil Famiglia Sementi, con un miracoloso Quadro de’ Santi Benedetto, e Mauro, essendo tutta la chiesa adorna di nobili pitture, ed intagli»[xxix]. A proposito di questo altare Infantino aveva scritto: «la Cappella di San Benedetto, sotto la cui regola militano i Padri Celestini, Altar privilegiato de’ Sementi», «è hoggi del Dottor Francesco Maria Seme(n)ti, figliuolo di Gio: Lorenzo, e fratello di Donato Antonio, e Leonardo, di buona memoria, il primo Dottor in Teologia, & in legge, & il secondo Dottor di leggi»[xxx], probabilmente è lo stesso Donato Antonio cui è dedicata la veduta di Lecce di Il Regno di Napoli in prospettiva.

Riguardo alle quattro parrocchiali, istituite nel 1628 dal Visitatore Apostolico Andrea Perbenedetti[xxxi], oltre a quella già illustrata del Vescovado, Pacichelli accenna alla chiesa di Santa Maria della Luce, e menziona quella Santa Maria della Porta, che «hà un’Immagine dispensatrice di Grazie»[xxxii], «che hora si vede dentro quei indorati cancelli di pietra Leccese, fabricata da diverse carità, e limosine»[xxxiii] così come si apprende da Infantino, e la chiesa di Santa Maria della Grazia, di cui Infantino decantò l’ «intempiatura di sì bei lavori, che non credo si trovi simile in tutto quanto il Regno»[xxxiv], e Pacichelli definì «vaghissima nella maggior piazza»[xxxv].

La piazza era stata descritta da Infantino «molto spatiosa, ampia, lastricata, e bella, e circondata anche da ricchi fondachi, portici, e botteghe»[xxxvi], arricchita dalla fontana «con la Lupa insegne della Città»[xxxvii] (ubicata nel 1686 fuori porta San Biagio), dal «superbissimo Seggio di sontuose fabriche di diversi lavori», al quale «s’ascende magnificame(n)te per molti gradi, e su questi vi è una balaustra di ferro alta, e di bel lavoro attorno», sormontato da un «bellissimo Orologio con due statue di pietra Leccese, che sostengono la Campana»[xxxviii] e «all’incontro è il Tribunale della Regia Bagliva»[xxxix]. Dentro alcune botteghe, annotava ancora Infantino, «si veggono le reliquie di antichissimi edificij, detti volgarmente i borlaschi, machina superbissima in forma di Teatro, simili à gli antichi Teatri Romani»[xl]. Nel 1684 Pacichelli aveva sbrigativamente accennato: «la piazza grande hà il Seggio chiuso di ferro, fontana, e piramide, con la statua di Sant’Orontio, sendo sparse le botteghe de’ Negotianti»[xli], mentre nel 1686 oltre a citare la «Statua, e questa di marmo, dell’Imperador Carlo V una fonte artifitiale con quella del Rè di Spagna Carlo II», si sofferma sulla «colonna trasferita da Brindisi, e già ivi consegrata ad Hercole, diminuita però, con la Statua di rame di S. Oronzo valutata 300 ducati, benche tutta la spesa di questa mole, e sua trasportazione arrivi à ventimila. Ne’ quadri più nobili del piedistallo sono incise le Inscrittioni» e «nell’anno 1684 in tempo del Signor Sindico Domenico Stabile che vi cooperò non poco, e ne ritiene dal Signor Costantino Bonvicino dedicata, con altre quattro Statue de’ Protettori non ancora intagliate né fuse à gli angoli della base, e de’ balaustri, l’idea»[xlii]. Pacichelli trascrive nel 1686 il testo di due epigrafi[xliii] e un altro nel 1703[xliv], quando la statua del santo è descritta in bronzo e si legge che il popolo: «per haver dimostrata la presentanea protezzione nel 91 e 92 nel Contaggio della prossima Provincia di Bari, v’impresse nella faccia della base questo Epigrafe; semper Protexi, et Protegam, havendo sempre la sua Patria di Grazie, e di Miracoli arricchita»[xlv].

Chiesa di Santa Maria delle Grazie
Chiesa di Santa Maria delle Grazie

Della chiesa di San Francesco della Scarpa dei Conventuali, Pacichelli menziona la «stanza bassa vicina al Giardino, habitata da S. Francesco»[xlvi], quando, così come riferì Infantino, il santo oltre a mandare a Lecce i suoi frati, «volle con la sua propria persona anche honorarla, nel ritorno ch’egli fece da Soria»[xlvii]. Pacichelli puntualizza, così come si evince anche dalla lettura di Lecce sacra, che la cappella fu «migliorata in un Sagro Oratorio»[xlviii]. Nel giardino l’abate nota l’«Arancio piantato da P. S. Francesco»[xlix], il cui frutto, aveva precisato Infantino «mangiato dagli Infermi con fede, ben spesso si guariscono»[l].

Pacichelli osserva nel complesso monastico di «S. Angelo de gli Agostiniani l’Infermaria e la cappella del Giugno»[li], dove era stato sepolto Giovan Battista Giugni, morto a marzo dello stesso anno, cui era stata dedicata una lapide nel chiostro, di cui riporta il testo. Giugni aveva fiorito «in amendue le Academie di questa Città»[lii], cioè quella dei Trasformati e quella degli Spioni. Pacichelli descrive accuratamente la cappella di questa famiglia, ubicata «nel destro lato della Chiesa, la seconda cappella da lui dedicata alla Reina del Carmelo»[liii], trascrivendo i testi incisi su quattro lapidi. Non fa testo la descrizione di Infantino, perché la chiesa fu ricostruita nel 1663.

«In fine di rado vidi al di dentro, la casa hoggi nobilitata, che dicon già fosse di Sant’Oronzo»[liv]: il palazzo dei Perrone (nell’omonima via), che «furono quelli che si fecero ritenere discendenti da S. Oronzo Protettore di Lecce e che inventarono la leggenda dell’Angelo col tortano cui prestò fede il buon Padre Pio Milesio»[lv].

(CONTINUA)

prima parte:

https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/06/05/una-passeggiata-a-lecce-di-fine-seicento-labate-giovan-battista-pacichelli-descrive-la-citta/

terza ed ultima parte:

https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/06/17/una-passeggiata-a-lecce-di-fine-seicento-labate-giovan-battista-pacichelli-descrive-la-citta-terza-ed-ultima-parte/


[i] La data si desume dalla circostanza che Pacichelli trova la chiesa di Santa Croce «coperta di setini, col Trono dell’Abate per la festa del Santo lor fondatore». La festività di San Pietro Celestino ricorre il 19 maggio, che nel 1686 cadeva di domenica (M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 162).

[ii] Ivi, p. 158. Nel 1686 Pacichelli afferma che la torre campanaria del duomo «costa quindeci mila ducati» (Ivi, p. 185), mentre nel 1703 è «valutata 15 m. scudi » (G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva… cit., p. 169).

[iii] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit.,p. 159.

[iv] Ivi, p. 142.

[v] Cfr. Ivi, p. 159

[vi] Ivi, p. 142.

[vii] Ivi, p. 159.

[viii] Nel 1631 il palazzo ricadeva nell’isola delli Condò della parrocchia di Santa Maria de la Porta, e vi abitavano Mario de Raho con la moglie Andriana Riccio, Leonardo Riccio e una schiava (Cfr. lo Status animarum civitatis Litii 1631, manoscritto conservato presso l’Archivio Vescovile di Lecce).

[ix] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit.,p. 160.

[x] Ibidem.

[xi] Ibidem.

[xii] Cfr. G.C. Infantino, op. cit., p. 35.

[xiii] Ivi, p. 33.

[xiv] G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva… cit. p. 169. Ritenuta senza rarità nel 1686.

[xv] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 116.

[xvi] G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva… cit. p. 169.

[xvii] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 160.

[xviii] G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva… cit. p. 169.

[xix] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 160.

[xx] G.C. Infantino, op. cit., p. 170.

[xxi] G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva… cit. p. 169.

[xxii] G.C. Infantino, op. cit., p. 10.

[xxiii] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 116. «Gli epitafi» delle cappelle, «con quel della fronte si trascrivon dal Ab. Franc. De Magistris in Statu Rerum Memorab. Neap. I, num. 43, fol. 29 che non cede ad altre di questo Dominio» (Ibidem).

[xxiv] G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva… cit. p. 169.

[xxv] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 222.

[xxvi] G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva… cit., p. 169.

[xxvii] G.C. Infantino, op. cit., p. 7.

[xxviii] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 162

[xxix] G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva… cit., pp. 169-70.

[xxx] G.C. Infantino, op. cit., p. 120.

[xxxi] Cfr. F. De Luca, La visita apostolica di Andrea Perbenedetti nella città e diocesi di Lecce, in «Kronos: periodico del DBAS Dipartimento Beni Arte e Storia», n. 8, 2005, pp. 31-68

[xxxii] G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva… cit. p. 170.

[xxxiii] G.C. Infantino, op. cit., p. 71.

[xxxiv] G.C. Infantino, op. cit., p. 109.

[xxxv] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 162.

[xxxvi] [xxxvi] G.C. Infantino, op. cit., p. 111.

[xxxvii] Ibidem.

[xxxviii] Ivi, p. 112.

[xxxix] Ivi, p. 113.

[xl] Ivi, pp. 111-12.

[xli]  M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., 117.

[xlii] Ivi, pp. 162-163.

[xliii] «Così, dunque, da un alto: columnam hanc, quam brundusina / civitas suam ab ercule ostentans / originem profano olim ritu in sua / erexerat  insignia, religioso tandem / cultu divo subiecit orontio, ut / lapides illi qui ferarum domitorem / expresserant, celamine, voto, aereq; / lupiensium exculto, truculentioris / pestilentiae monstri triumphatore / posteris consignarent. E dall’altro: siste ad hanc metam famae / augustum quondam romani fastus, / nunc eliminatae luis trophaeum / columnam vides, potiori nunc herculi / d. orontio sacrae. non plus ultra / inscribit Orontius Scaglione, patritius / non sine numine primus, hutusce / nominis patriae pater. statua / ab altera basi. illam cum statua / erexit. anno domini salu. mdclxxxiv» (Ivi, p. 163). Il primo testo è inciso alla base della colonna sul lato prospiciente l’anfiteatro, il secondo è sul lato di fronte al Sedile.

[xliv]«in un de’ lati il presente attestato, D. Orontio Protochristiano, Prothopraesuli, Prothomartyri Liciensi ab averuncatam à Patriae solo totaque Salentina Regione pestilentiam in anno MDCLVI Italiam provinciatim desolantem Columnam hanc Clerus Ordo Populisque Lyciensis erexit ut in Columna ad suor um munim Divus ipse excubaret Orontius, habexentique posteri perenne Urbis devictissimae pro tanto beneficio monimentum» (G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva… cit. p. 170). Il testo è ancora leggibile alla base della colonna, sul lato addossato all’edicola di giornali.

[xlv] Ibidem.

[xlvi] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 164.

[xlvii] G.C. Infantino, op. cit., p. 47.

[xlviii] G.B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva… cit. p. 170.

[xlix] Ibidem.

[l] G.C. Infantino, op. cit., p. 80.

[li] M. Paone (a cura di), I viaggi pugliesi… cit., p. 164.

[lii] Ibidem.

[liii] Ivi, p. 165. L’altare dovrebbe essere quello ora dedicato alla Madonna del Rosario.

[liv] Ivi, p. 167.

[lv] A. Foscarini, Lecce d’altri tempi. Ricordi di vecchie isole, cappelle e denominazioni stradali (contributo per la topografia leccese), in “Iapigia”, a. VI, 1935, pp. 425-451: p. 430.

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