Gallipoli. Uccio di Corte Gallo

Uccio di Corte Gallo.

Un’emozionante scoperta nell’Isola dei tesori

di Antonio Mele ‘Melanton’

 

gallipoli-rivellino

Un luogo non è semplicemente un punto geografico.

È un sedimento di storia. Un magazzino di memoria. Un richiamo di sentimenti e pensieri.

Un luogo è innanzitutto una gente. La sua cultura stratificata. La sua immobile mutazione nel tempo, testimoniata da mirabilie o da scempi. Da amore e furore. Da uomini e donne che hanno vissuto e vivono con le loro radicate passioni.

Un luogo può anche essere un logo, un simbolo, un nome evocativo. Un desiderio di avventura e sorprese. Di incontri e suggestioni.

Ogni luogo, infine, è un’isola. Che in un arcipelago di altri luoghi e altre genti s’identifica e distingue col suo passato e la sua storia come con la sua vita corrente.

 

Isola per antonomasia è Gallipoli.

Kalè Polis, la Città Bella, come molti continuano ancora a chiamarla. Fra le più antiche e nobili del Salento. È la storica Anxa di Messapi e Romani. Da secoli il terminale naturale di commerci e di viaggi. Il fido baluardo difensivo che i D’Angiò contrapposero all’egemonia sui mari della Serenissima Repubblica di Venezia: “Fideliter excubat”, vigila fedelmente, ammonisce il motto del suo stemma civico, segnato in un cartiglio quasi artigliato da un gallo rampante.

Tra la fine del Seicento e l’Ottocento, Gallipoli fu anche la capitale mondiale del commercio dell’olio combustibile “lampante” che raggiungeva tutte le Capitali d’Europa, e il suo porto riconosciuto come uno dei più importanti del Mediterraneo.

 

Gallipoli, dunque. Terra di rinnovate scoperte ed appaganti emozioni.

Come in un viaggio promesso, qui non si arriva: si viene. Si viene per volontà, per curiosità, per sogno, per attrazione o sconfinamento.

La Città Bella vi accoglierà nel sole e nell’ombra della sua corona di case bianche, cinta da bastioni poderosi che sorgono dal mare, vi sorprenderà con i colori delle botteghe, con i profumi del mercato del pesce, con il sorridente vociare dei venditori di ricci e di spugne.

Per questo fascino immutabile – nonostante le molte disarmonie e contraddizioni di una nuova convulsa ‘civiltà’ consumistica e chiassosa, che sempre più assedia la sua fiera identità – Gallipoli è adorata perfino oltre misura dai suoi figli più fedeli, ma anche da schiere di viaggiatori e turisti che non resistono al suo azzurro richiamo.

C’è sempre qualcuno che ne è innamorato perdutamente.

Come Uccio di Corte Gallo.

 corte gallo

Non conosco il suo cognome. Non gliel’ho mai chiesto, né lui me l’ha mai dato. Anche se dal giorno del nostro sorprendente incontro, nella primavera scorsa, siamo diventati indivisibili amici.

Pur nella sua verace schiettezza e autenticità, Uccio di Corte Gallo è quello che si dice un personaggio. Conoscerlo è di per sé una conquista, un segno inequivocabile dell’amore per la tradizione e per la nostra vita di uomini, che è poi un condensato della civiltà di tutti gli uomini.

Intanto, per conoscere Uccio, bisogna andare nel suo piccolo regno. A Corte Gallo, appunto. Che, seminascosta, si trova quasi all’ingresso dell’isola, prima di arrivare alla Cattedrale, tra i vicoli che si snodano verso la Riviera di Scirocco. Fatevela indicare, e andateci. Se non lo trovate, chiedete di lui, e Uccio apparirà come per sortilegio, con il suo sorriso e il suo immenso bagaglio di racconti.

Così è accaduto, quando insieme a mia moglie Teresa (e portandovi poi molti altri amici), nell’abbraccio di questa corte abbiamo scoperto un fantastico museo a cielo aperto, generosamente disponibile a tutti, con le pareti tappezzate di ferri, legni, ceramiche, piatti, vecchie macchine da cucire, nasse e reti da pescatori, e tutti – davvero tutti! – gli oggetti del nostro arcaico vivere quotidiano, ormai dimenticati e dispersi, ma che Uccio ha amorevolmente conservato in bell’ordine, facendoli rivivere oltre il tempo nella loro bellezza artigianale: lu sicchiu per l’acqua del pozzo, li rocci per recuperarlo alla bisogna, lu farnaru per la farina, la crattacasu con il suo solido e armonioso perimetro di legno in cui raccogliere il formaggio, la strattiera per la salsa di pomodoro, li buccacci e li stangati per fichi, friselle, conserve e quant’altro, i misurini d’alluminio per l’olio (chi se li ricordava?), li caddarotti de rame russa, ovviamente anneriti dalla stratificazione di fuliggine, l’altrettanto ‘carbonizzato’ brustulinu per tostare l’orzo (più che il caffè), il termosifone d’altri tempi ossia la brasciera (completa di paletta), un port-enfant di legno, e perfino alcuni attrezzi agricoli come la sarchiudda, lu serrettu pe putare, ola pompa a spalla pe nzurfare le vigne… E ancora: vutti, barilotti, tine pe la scapece, menze, vozze e vucale per l’atavica sete di questa terra, i mitici e ingegnosi trapanaturi de li cconza limbi-e-giustacòfane, e lumi a petroju, spiritiere, scarfalietti, vasi de notte, fusi pe la lana, martieddhi, pinze, tenaje, ssuje de scarparu, staffe de cavaddhu, scale, scaleddhe, ‘mbuti, pignate, chiavi, catinazzi… E pile, stricaturi, limbi e còfani (completi di cenneraturu!) per fare il bucato.

Un’operazione, quella del bucato, che (come descritto magistralmente qualche anno fa su queste stesse pagine da Piero Vinsper) era un vero e proprio evento familiare, e che Uccio – con semplicità e irresistibile fascinazione – vi illustrerà in ogni sua fase, richiamando alla memoria il lavoro, la dedizione e la maestria delle casalinghe di un tempo, alle quali non dovrebbe mancare mai la nostra grata ammirazione.

A Corte Gallo, Uccio continua ad avere le visite di forestieri, turisti e ragazzi delle scuole, ai quali racconta sempre avvincenti episodi di vita vissuta quasi fossero favole da C’era una volta… E se avrete la fortuna di salire le scale insieme a lui per entrare nella sua casa piena di quadri e immagini d’epoca, scoprirete molti altri incredibili tesori, fra cui una rara fotografia dei primi del 1900, dove un gregge di pecore, dal ponte che si congiunge al Borgo, sta entrando nella città vecchia, costeggiando il Castello.

Ma la meraviglia di maggior richiamo – tanto nella sua semplicità quanto nella sua intensa devozione religiosa – resta per me la serie dei pupi di terracotta, che raffigurano le dieci antiche confraternite religiose di Gallipoli.

Realizzate e colorate a mano dallo stesso Uccio, queste piccole opere d’arte naif sono sistemate, una accanto all’altra, sotto la bella edicola con l’immagine di sant’Antonio da Padova che campeggia nella parete centrale di Corte Gallo, di fronte all’arco d’ingresso.

Credo che sia interessante conoscere la denominazione e la Chiesa di appartenenza di ciascuna Confraternita, i colori distintivi dell’abito (composto da una tunica lunga, detto sacco, e da una mantellina, chiamata mozzetta), nonché il legame di devozione con le varie categorie laiche di arti, mestieri e professioni che le hanno a suo tempo fondate.

Eccone la catalogazione fornitami da Uccio, e da me completata, dove possibile, con qualche data storica:

Venerabile Confraternita della Chiesa del Santissimo Crocifisso (sorta nel 1400 sotto il titolo di San Michele Arcangelo). Devoti: Bottai. Sacco di colore celeste, mozzetta di colore rosso. – Confraternita della Chiesa della Madonna del Monte Carmelo e della Misericordia (sorta intorno al 1530): Calzolai. Sacco nero, mozzetta nera. – Confraternita del Santissimo Sacramento (fondata nel 1567),insediata nella Chiesa del Sacro Cuore di Gesù: Fruttivendoli. Sacco bianco, mozzetta rossa. – Confraternita di Santa Maria ad Nives o Cassopo della Chiesa di San Francesco di Paola (istituita nell’aprile 1649): Fabbri ferrai. Sacco avana, mozzetta celeste. – Confraternita della Chiesa di Santa Maria degli Angeli (sorta nel 1662): Pescatori, Contadini, Artisti. Sacco azzurro, mozzetta bianca. – Confraternita della Chiesa della Madonna della Purità (anch’essa fondata nel 1662): Scaricatori di porto oBastasi. Sacco giallino, mozzetta bianca. – Confraternita del Rosario (del 1687): Sarti. Sacco nero, mozzetta bianca.- Confraternita di San Giuseppe e della Buona Morte nella Chiesa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo: Falegnami. Sacco giallo, mozzetta bianca. – Confraternita della Chiesa della Madonna Immacolata: Muratori. Sacco celeste, mozzetta marrone. – Confraternita della Santissima Trinità e delle Anime del Purgatorio: Nobili, Dottori. Sacco avana, mozzetta rossa.

Certo, sarà tutta un’altra cosa se descrivere – insieme a molti altri aneddoti – le Confraternite gallipoline  ve le farete illustrare dalla viva voce di Uccio, quando andrete a trovarlo.

Buona passeggiata a Corte Gallo, dunque.

 

Pubblicato su Il Filo di Aracne

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