In nome dello scoop

scoop

di Gianni Ferraris

Ci sono giornalisti che riescono a far detestare la stampa tutta. C’è giustissima e sacrosanta indignazione verso il brunovespismo dei plastici e di Cogne, verso il sallustismo insultante e becero. Ma questi sono vecchi arnesi che hanno un padrone politico a cui rendere conto, peggio, molto peggio è la pedofilia mediatica. Succede a Roma, un pazzo spara davanti ai palazzi della politica, e succede che l’individuo venga immediatamente fermato. A questo punto la stampa deve (dovrebbe) fare il suo mestiere che non è (non dovrebbe essere)  quello di sfrugugliare  nella vita privata delle ultime tre generazioni dell’attentatore, né farci sapere se portava gli slip o i boxer. La stampa  e la TV dovrebbero aiutare a comprendere, interpretare, la cronaca dovrebbe essere essenziale, soprattutto mai invasiva della vita privata e delle dignità di ognuno, compresa quella dei colpevoli. Invece a volte assistiamo a sciacallaggi (come altro chiamarli?) in nome e per conto dello scoop, della notorietà e in ultima analisi della pubblicità. Più forte è il clamore che suscita una testata, più le industrie vogliono comparirci sopra con i loro prodotti, forse è una chiave di lettura della vicenda degli slip e del boxer, pubblicità occulta. Tuttavia ci sono limiti che la civiltà dovrebbe rendere invalicabili. Dovrebbe, anche qui il condizionale è d’obbligo. E’ successo che una giovane giornalista di AKYtg24 si sia appostata per ore a P. (piccolo paesino dell’alessandrino dove vive) davanti alla casa dell’ex moglie di Preiti, succede che abbia atteso e fatto un agguato a un bimbo di 11 anni, il figlio di Preiti per chiedergli di suo padre. Per pulirsi la coscienza il direttore della testata ha mandato oscurato il volto del bimbo. Criminale scelta, chi vive in un paese di un migliaio di abitanti è conosciuto da ognuno del mille compaesani per nome, cognome,  per come veste e parla e gioca a nascondino per le vie del paese. Insomma la (sedicente)  giornalista manda il pezzo in redazione e qualcuno decide di mandarla in onda. Vuoi mica perdere un’occasione così? Attentatori dell’informazione che parlano di altri attentatori, direttori (ir)responsabili che pagano ogni prezzo all’audience. Il Presidente dell’Ordine richiama (all’ordine, appunto) e molti giornali scrivono articoli sulla vicenda, indignandosi ovviamente. E per mostrare quanto forte fosse la loro indignazione, la accompagnano con tutta intera l’intervista al bimbo e la fotografia di qualche fotogramma del TG incriminato. Bella storia eh? Per farti vedere quanto male fa un ceffone te lo rifilo in faccia e poi mi indigno.

Il pensiero va a tutti quei ragazzi pagati cinque euro al pezzo, un pezzo al giorno, (compresi i festivi) fa la bella cifra di 150 euro mensili, per guadagnarsi il diritto di appartenere ad uno degli ordini professionali più assurdi che esistano. A che serve l’iscrizione all’Ordine se non esiste etica professionale e se un direttore non viene almeno sospeso quando scavalca le norme elementari di decenza e civiltà?  A che serve l’iscrizione all’Ordine se poi editori banditi possono permettersi di non pagare o fare la carità ai giornalisti che tentano di fare un lavoro nobile e portano in alto altri scribacchini che fanno gossip? In fondo, a che serve l’ordine dei giornalisti? E’ solo una struttura di potere senza alcun senso.

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