Soleto. Tra le meraviglie di Santo Stefano (II parte)

di Massimo Negro

 

Nello spostarsi con lo sguardo da una parete all’altra della magnifica piccola chiesa di Santo Stefano a Soleto, occorre abituare la vista per non rimanere frastornati. Come quando si ha l’impudenza di guardare il sole. Solo che in questo caso di lucenti e calde stelle che ti illuminano non ve n’è una sola. Non rischiano di far danno alla vista, bensì di inebriarti con i loro caldi colori.

Sono tante! Tante quanti sono i riquadrati di varia grandezza che raccontano della storia del Cristo, le immagini dei Santi e della Vergine. Ti scaldano e ti riempiono l’anima di incredibili sensazioni.

Gli affreschi della parete meridionale raccontano la storia di Santo Stefano, del protomartire la cui dies natalis è il giorno successivo a quello in cui si festeggia la nascita del Cristo.

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Come scritto nella prima nota che riguarda questo splendido monumento della nostra storia e dell’arte, anche per questa parete non ho l’ardire di commentare tutti gli affreschi presenti. Sarebbe assolutamente pretenzioso da parte mia dato che non sono uno storico e un critico d’arte e, soprattutto, voglio che la presente susciti in voi il desiderio di visitare questo magnifico luogo per poter assaporare appieno la sua bellezza. Scriverò solo di ciò che più mi ha colpito tra le tante bellezze presenti.

La parete meridionale è divisa in tre sezioni (fasce) orizzontali. Le prime due, dall’alto verso il basso, raccontano della vita di Santo Stefano, mentre la terza posta in basso, presenta figure di santi e sante a grandezza naturale, così come nella parete settentrionale.

Ma ancora prima di raccontare della vita del santo attraverso gli affreschi che lo ricordano, la mia attenzione viene attirata dai primi due riquadri posti in alto a sinistra, addossati alla parete absidale.

Nel primo si notano due figure, quella di un uomo e di una donna, inginocchiate e rivolte in preghiera con lo sguardo che va verso l’Ascensione e la Visione dei Profeti Ezechiele e Daniele. A seguire vi è uno strano riquadro in cui si vede la scena di un banchetto, ove si nota  una ricca e imbandita tavolata intorno alla quale siedono diversi personaggi intenti a mangiare. In questo secondo riquadro ricompaiono, tra gli altri, nuovamente le due figure presenti nel primo riquadro. Sono alle due estremità del tavolo. L’uomo è chiaramente e più facilmente riconoscibile; ha in mano un coltello e sta tagliando una pietanza su di un piatto.

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Non è stato ad oggi possibile identificare chi sono queste due figure. Forse i committenti dell’opera o personaggi a questi legati. Di sicuro interesse, nonostante questo mistero, è quanto ci restituisce in particolare il secondo riquadro del banchetto; una sorta di spaccato di vita quotidiana dell’epoca in cui l’opera venne realizzata. Infatti l’autore dell’affresco non poteva che ispirarsi alle tavole e alle pietanze del suo tempo.

Dal terzo riquadro inizia il racconto della vita del diacono santo, infine martirizzato con la lapidazione. Le scene descritte non sono per intero riprese dagli Atti degli Apostoli, libro della Bibbia in cui si narra la storia del diacono scelto dagli Apostoli dopo la morte del Cristo. A far da fonte all’opera vi dovrebbe essere anche la Fabulosa Vita sancti Stephani protomartyris, cioè una sorta di apocrifo sulla vita di Stefano dalla sua nascita sino alla sua morte. Infatti su Stefano gli Atti raccontano solo dal momento in cui venne scelto (“uomo pieno di fede e di Spirito Santo”) dai dodici, del suo discorso al Sinedrio e infine della sua lapidazione.

Nei due riquadri successivi si racconta della nascita del diacono per poi giungere alle rappresentazioni della predicazione e dei miracoli del santo. Infatti il primo riquadro di questa serie, prima di giungere a raccontare del suo martirio, vede un Santo Stefano che predica in riva al mare, dove è ormeggiata una cocca mediterranea del primo Quattrocento sopra la quale si possono individuare diversi personaggi che si sporgono in direzione di Stefano. Come già evidenziato nella nota precedente, colpisce la contestualizzazione dei personaggi degli affreschi, in particolare per il loro vestiario, all’epoca di realizzazione dell’opera.

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Interessante, in questo riquadro, la stella presente sul capo del santo che sta a significare la luce emanante dal suo volto santo ma, al tempo stesso, ricorda la stella cometa dei De Beaux (del Balzo).

A seguire, dopo la rappresentazione di un anziano visitato da un angelo, vi sono tre riquadri molto interessanti per la storia che potrebbero raccontare. Il condizionale è d’obbligo e tra poco si comprende anche il perché. Si riferiscono all’incontro del Santo con un cavaliere. I primi due riquadri sono nella sezione in alto (gli ultimi due a destra), mentre il terzo si trova nella seconda sezione orizzontale, il primo a sinistra.

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Nel primo riquadro si vede il cavaliere in armatura dell’epoca con l’elmo ornato da una corona di gigli angioini. Con lui una serie di armigeri con lance e una lunga tromba a cui è legato uno stendardo bianco con una testa di moro. Nel riquadro successivo si nota come il cavaliere, pur rimanendo inginocchiato e a mani giunte, volge il suo sguardo verso il Santo, il quale sembra impartirgli una serie di istruzioni e raccomandazioni.

Infine nel terzo riquadro, il cavaliere si è spogliato della sua armatura e dell’elmo, e riceve il battesimo da Stefano.

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Questi tre riquadri fanno sorgere alcune domande. Intanto di questa conversione e battesimo pare che non vi sia traccia nei racconti della vita del santo a cui è titolata la chiesa. Episodio simile invece si può rintracciare nella storia del martire Filippo, la cui storia negli Atti degli Apostoli è raccontata subito dopo quella di Stefano. Infatti si fa menzione dell’incontro e discussione con un eunuco etiope, un alto funzionario della regina Candace, regina di Etiopia. Ipotesi rafforzata sia dalla carnagione del neo catecumeno (scura, come si può be notare nel terzo riquadro), sia dalla presenza sullo stendardo bianco di una testa di moro con la quale venivano rappresentati coloro che provenivano dall’oriente o dal continente africano.

E proprio la carnagione del personaggio e il suo essere rappresentato come proveniente da terre lontane, ha dato vita ad un’altra interpretazione suggestiva. Che questo personaggio sia Baldassarre, uno dei Magi, a cui i Del Balzo, De Beaux, facevano risalire le loro origini? A questa domande ovviamente non vi è risposta.

I riquadri successivi sono quelli che ci conducono verso il martirio del diacono. Anche queste scene non trovano per intero il loro fondamento negli Atti, bensì in un antico testo greco in cui si narra della passione del santo.

Dapprima viene bastonato e, nei successivi riquadri malmenato.

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Poi si tenta di metterlo in croce ma, come viene raccontato nella vita del santo, giunge un angelo a strapparlo dalla croce.

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Infine viene lapidato, siamo nell’ultimo riquadro della seconda sezione. Questo è idealmente suddiviso in due parti. Nella prima a sinistra il santo viene fatto oggetto del lancio di pietre, la lapidazione.

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Nella seconda parte, si nota il corpo del santo privo di vita a terra, mentre in alto due angeli reggono la sua anima che si indirizza verso il Padre e il Figlio che compaiono in alto .

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La ricchezza dei riquadri sulle scene del martirio del santo, la ripetuta crudeltà nell’azione dei suoi carnefici, lascia supporre che questa sezione del ciclo degli affreschi possa contenere un messaggio neanche tanto velatamente antiebraico. Ipotesi rafforzata da un piccolo ma significativo particolare, oggi difficilmente individuabile, la cosidetta rotella rossa che distingueva gli ebrei e che questi erano tenuti a portare sui loro vestiti, come del resto aveva prescritto Maria d’Enghien negli Statuti di Lecce della prima metà del quattrocento.

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Nell’ultima sezione in basso si susseguono diverse figure, da sinistra verso destra compaiono il Cristo Sapienza – Verbo di Dio, Maria con il Bambino, Santo Stefano e la Crocifissione con Maria e Giovanni.

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A seguire, dopo la Crocifissione, San Giovanni Battista, Sant’Antonio Abate, San Nicola e a seguire, sulla parete occidentale, Sant’Onofrio e un rovinato San Giorgio.

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Giungiamo così alla conclusione della seconda nota e il pensiero corre già alla successiva nella quale si discorrerà sullo splendido Giudizio Universale. Ma di questo ne parleremo nella prossima.

di Massimo Negro

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Cosimo De Giorgi. La Provincia di Lecce. Bozzetti. 1888.

M. Berger – A. Jacob. La Chiesa di S. Stefano a Soleto. Argo 2007.

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Note correlate:
Soleto. Tra le meraviglie di Santo Stefano (I parte).

http://massimonegro.wordpress.com/2013/01/21/soleto-tra-le-meraviglie-di-santo-stefano-i-parte/

Soleto. Tra le meraviglie di Santo Stefano (III e ultima parte). Il Giudizio Universale.

http://massimonegro.wordpress.com/2013/02/12/soleto-tra-le-meraviglie-di-santo-stefano-iii-e-ultima-parte-il-giudizio-universale/

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