Lecce, San Marco e la colonia veneta

San Marco

testo e foto di Giovanna Falco

 

La festa del santo di oggi è occasione utile per ricordare alcune delle testimonianze della Serenissima nel nostro capoluogo.

La nazione veneta aveva il suo centro operativo nella piazza dei Mercanti (attuale piazza Sant’Oronzo), con alcuni edifici tramandati dalle fonti: oltre all’isolato delle Capande dei mercanti veneziani (che sorgeva dove ora insiste l’ovale con lo stemma di Lecce, abbattuto tra il 1937 e il 1939), altre costruzioni sorgevano nell’area alle spalle della chiesetta di San Marco e del Sedile, che comprendeva le non più esistenti vico Luigi Cepolla[1]e via San Marco[2], dove, sulla finestra della casa del cappellano della stessa chiesa, vi era un altorilievo raffigurante il leone alato[3]. Un altro esemplare dell’emblema era apposto sul prospetto della residenza del console, ubicata nella non più esistente corte dei Ragusei[4] o nella cosiddetta Piazzella, ovvero uno spiazzo a ridosso della Regia Udienza che si apriva nell’area dell’attuale via Salvatore Trinchese.

Fu un veneziano, poi sindaco di Lecce, Pietro Mocenigo a commissionare il Sedile, realizzato tra il 1588 e il 1592[5].

San Marco 1

Ma  l’edificio che più di tutti attestava ed attesta la potenza della colonia veneta è la chiesetta di San Marco, posta a ridosso del Sedile. Nel 1543 il vescovo G.B. Castromediano concesse l’antica cappella di San Giorgio al console veneziano Giovanni Cristino, così come è attestato dall’iscrizione sull’architrave del portale laterale, che ne commissionò la ricostruzione e la consacrò a San Marco Evangelista. Per ricordare questa concessione ogni anno, il 25 aprile, si snodava una processione che portava al Vescovo di Lecce un cero di cinque libbre decorato da un nastro in oro. Sulla lunetta del portale principale è incastonato il leone alato.

La chiesa è stata attribuita a Gabriele Riccardi, così come quella di San Sebastiano in vico dei Sotterranei.

San Marco portale laterale

In passato la certezza della medesima paternità dei due edifici ha condizionato i restauri al monumento in piazza, eseguiti in epoca fascista. Antonio Edoardo Foscarini, in La chiesetta di San Marco in Lecce, riferisce l’andamento dei lavori. Nel 1930 il principe Sebastiano Apostolico Orsini, coadiuvato dall’ispettore Guglielmo Paladini e dall’ingegnere Oronzo Pellegrino, diresse i lavori di restauro. Dato il pessimo stato di degrado riscontrato sui due portali della chiesetta, gli esperti decisero di riprodurre «in calchi il portale della chiesetta di San Sebastiano e da questi si poté ricavare il modello delle due colonne laterali e del fregio»[6].

A fine Ottocento la chiesetta fu oggetto di accese discussioni. Nel 1897 si pensò di abbatterla per far spazio al Sedile, ma una vera e propria crociata condotta dal professor Cosimo De Giorgi la salvò dalla distruzione. L’illustre studioso, dalle pagine del Corriere Meridionale, s’appellò alla cittadinanza ricordando come il piccolo edificio era testimone della presenza della potente colonia veneta che aveva nella piazza dei mercanti e nei suoi pressi, il quartiere con le botteghe, l’ospedale e la sede del console. Inoltre ricordava come la cappella fosse una delle pochissime dimostrazioni incontaminate dell’arte cinquecentesca. Da qui nacque un acceso dibattito che per più di un anno riempì le pagine dei giornali locali di polemiche, in alcuni casi, abbastanza colorite. Dalle pagine della Gazzetta delle Puglie, ad esempio, si polemizzava la troppa attenzione di Cosimo De Giorgi per «una cappelluccia corrosa e di nessuna importanza architettonica, destinata – fra i tesori del patrimonio artistico di Lecce – a passar senza infamia e senza lode» (Gazzetta delle Puglie del 17 luglio 1897). Il conte di Ugento, invece, sosteneva l’inutilità dell’abbattimento, in quanto «isolando il Sedile lo avremmo imbruttito, perché il lato su cui appoggia la chiesetta, è liscio come il seno d’una signorina inglese» (Corriere Meridionale del 29 luglio 1897). Alla fine Cosimo De Giorgi fu ascoltato dalle autorità competenti e la chiesetta fu restaurata nel febbraio 1899.

Santa Maria degli Angeli

Un’ulteriore importante testimonianza della colonia a Lecce la si ritrova nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, in piazza dei Peruzzi, sul quarto altare della navata destra, sul cui fastigio si vedono due stemmi identici, posti ai lati del Leone di San Marco che tiene il Vangelo con la scritta Pax tibi, Marce Evangelista meus. Lo stemma è considerato dalla storiografia locale della famiglia veneziana Giorgio (d’argento, alla fascia di rosso), secondo altri dei Foscarini (d’oro, alla banda di fusi accollati d’azzurro), anch’essi veneti.

Pur se i tratti stilistici condurrebbero a datare questo manufatto ai primi anni del Seicento, Giulio Cesare Infantino, nella sua opera pubblicata nel 1634, non ne fa alcun cenno, ma menziona altri richiami alla nazione veneta: «una dipintura della Natività di Maria Vergine, venuta in quei tempi dalla Città di Venetia: opera d’esser attentamente considerata»[8], posta nel secondo altare a destra, di patronato dei Rollo; lo stesso scrittore annovera, inoltre, la cappella dei Rivola:

«gentil’huomini della Città di Bergamo, con una dipintura dell’Immacolata Concettione della Vergine molto eccellente opera d’Antonio della Fiore di questa Città di Lecce, sopra della quale si vede la seguente Iscrittione Basilio Rivola frati amatissimo ad amoris monimentum sibi, fuisque ad solatium superstites; Hieronymus, & Benedictus Rivola Patritij Bergamensis PP. A.D. M.DC.XII»[9]

membri della confraternita di San Marco Evangelista, fondata nel 1603[10].

 

 

 

 


[1] Già Ferraria dei manisqalchi e vico dietro il Sedile, corrispondeva agli attuali portici del palazzo dell’INA.

[2] Già strada delle librerie e poi degli Orefici, congiungeva via Augusto Imperatore a piazza S. Oronzo sino all’altezza della chiesa di San Marco.

[3] Cfr. R. BUJA, Dalla strada alla storia. Divagazioni sulla toponomastica di Lecce, Lecce 1994, pp. pp. 336-337.

[4] Già corte Campanella, nella strada Scarpàri, si accedeva da  via dei Templari, a destra, nell’area dove ora sorge il palazzo della ex Banca Commerciale.

[5] Su questo edificio, oggetto di due articoli pubblicati sul sito della Fondazione Terra d’Otranto, Fabio Grasso ha esposto interessanti argomentazioni in L’altra storia del Sedile di Lecce  e della chiesetta di San Marco  (http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/arte_e_cultura/2009/24-settembre-2009/altra-storia-sedile-lecce-chiesetta-san-marco–1601803211199.shtml).

[6] A. E. FOSCARINI, La chiesetta di San Marco in Lecce, estratto da  “Nuovi Orientamenti”, n. 92 – 93, a. XVI, Maggio – Agosto , Taviano 1985.

[8] G. C. Infantino, Lecce sacra, Lecce 1634 (ed. anast. a cura e con introduzione di P. De Leo, Bologna 1979),  p. 94.

[9] Ibidem.

[10] Cfr. G. Barletta, Le conclusioni della confraternita sotto il titolo di s. Marco Evangelista in Lecce (1605-1805), ASP, XLVI (1993), pp. 105-177. La confraternita aveva sede nella chiesetta di San Marco in piazza Sant’Oronzo.

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Un commento a Lecce, San Marco e la colonia veneta

  1. Cara Giovanna,

    grazie per il puntuale contributo.Della presenza dei Veneziani a Lecce discutevo con un signore al Museo Castromediano, l’altra sera.Credo che in pochi si siano chiesti a quando rimonta la presenza di una colonia (mercantile) veneta a Lecce e, piu’ in generale, a quando risale la presenza dei Veneziani nel Mezzogiorno.Ed anche, di rimando, a quando risale la presenza dei commercianti “stranieri” (pisani ,genovesi, ecc) nel Sud.Le marinerie elencate, e i relativi commercianti, si insediano nel Meridione all’epoca di Ruggero II , dopo che quest’ultimo ha unificato il territorio meridionale con una serie di spedizioni militari , costituendo la Monarchia (1130).il re normanno , opportunamente,decide di favorire l’ingresso degli operatori commerciali “stranieri” a tutto detrimento della marineria locale (baresi, brindisini, amalfitani,ecc.), la quale andava tenuta in stato di “minorita’”,per evitare,che, con un eventuale sviluppo, quest’ultima aumentasse le rivendicazioni politiche nei confronti del sovrano, che gia’0 non godeva di particolari simpatie, anche in quanto straniero.Inizia allora a strutturarsi il quadro di un Mezzogiorno che diventa sostanzialmente un lauto mercato per gli imprenditori del Nord, che vi smerciano prodotti di valore(tessuti pregiati, gemme, ecc.)per acquistare beni di minor valore economico (sale, grano, ferro), a prezzi di favore.Il Sud, a partire da allora, “privo di una struttura economico.-mercantile autoctona, di un proprio ceto consistente di uomini di affari e, di conseguenza, dello sviluppo di una mentalita’ di mercato quale quella delle Repubbliche del Nord, esce dal novero dei paesi prevalentemente attivi nei riguardi economici, per entrare in quello dei paesi prevalentemente passivi, con le conseguenze che ne sono derivate a tutta la sua storia”(cfr.G.Pistarino, Commercio e vie marittime di comunicazione all’epoca di Ruggero II, Bari, 1979).I veneziani,dunque, a Lecce facevano da secoli ottimi affari, e dalla loro comunita’ era persino uscito nel sec. XVI il sindaco della citta’, che e’ tutto dire..Non sappiamo quali benefici , in termini economici ,siano venuti a Lecce dalla presenza dei Veneziani,ma e’ difficile da credere che la bilancia economica sia andata a svantaggio della Serenissima.Restano questi due monumenti (Sedile e Cappella) ,che vanno giustamente salvaguardati, come preziosa testimonianza storica. I rapporti di forza tra Lecce e la Serenissima non furono comunque equilibrati: in Piazza San Marco non trovi, infatti, la lupa salentina(!). In ogni caso,da un po’ di tempo, quando faccio le visite guidate, vado al di la’ dell’a sola illustrazione del dato artistico, cercando di far capire al pubblico che nessun monumento si trova ,a caso , in un dato luogo. Ancora grazie delle tue righe, e a presto risentirci…….

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