Giuseppe Manzo (1849-1942) e la cartapesta leccese (quinta e ultima parte)

Biglietto da visita del maestro Giuseppe manzo con l’insegna reale concessagli dal re Umberto I
Biglietto da visita del maestro Giuseppe manzo con l’insegna reale concessagli dal re Umberto I

 

di Cristina Manzo

Le statue dei misteri di Taranto

Nell’ottobre del 1900 il consiglio di amministrazione della confraternita del Carmine di Taranto decise di sostituire tre statue della processione dei misteri[1],ormai deteriorate, con tre  nuove raffiguranti gli stessi momenti della passione di Cristo: la Colonna, l’Ecce Homo e la cosiddetta Cascata.

La scelta per l’esecuzione di quei lavori cadde su uno dei più noti artisti cartapestai dell’epoca, già più volte premiato in Italia e all’estero, Giuseppe Manzo, che consegnò personalmente quelle tre statue nei primi mesi del 1901. Il maestro aveva cercato inutilmente di sottrarsi a quell’impegno (viaggiare sino a Taranto per la consegna):

 

“Ill.mo signore – aveva scritto il 15 febbraio 1901 al priore della confraternita – essendo che le statue dei misteri sono per finirsi, e per la fine del mese o forse prima saranno pronte, vi scrivo la presente per sapere se i splendori per le stesse li dovrò far fare io o ve ne occuperete voi stesso. Di più, trovandomi affollato di lavoro vi domanderei se fosse possibile di risparmiarmi la venuta e se al contrario potesse venire qualcuno della commissione per consegnarle, altrimenti sospenderò io e verrò. In attesa di leggervi al riguardo con stima vi saluto.”

 

Manifesto pubblicitario del reale laboratorio di Giuseppe Manzo
Manifesto pubblicitario del reale laboratorio di Giuseppe Manzo

Ma nonostante la richiesta, nessuno si era fatto vivo, sicché imballatele a dovere, il maestro fece trasportare le statue alla stazione di Lecce e da qui, dopo averle fatte caricare su un vagone merci, partì alla volta di Taranto[2]

Per la realizzazione di quelle tre statue il cartapestaio aveva chiesto un compenso complessivo di 650 lire, e  quando il priore e quelli che erano con lui, al momento della consegna ammirarono i capolavori, non si pentirono per un attimo della scelta compiuta. Correvano felici da una all’altra osservando con gioia tutti i bellissimi particolari, che confermavano il capolavoro che il professore aveva compiuto. Qualche giorno dopo, esattamente il 19 marzo 1901, nel redigere il rendiconto degli introiti e delle spese riportate per l’acquisto delle nuove statue, l’allora segretario del Carmine, Luigi De Gennaro, avrebbe infatti testualmente annotato: “Per le nuove statue dei sacri misteri. Costo e spese di trasporto al Prof. Giuseppe Manzo di lecce, giusta sua quietanza, lire 700.”[3]  Leggendo il libro di Caputo, inoltre veniamo a conoscenza di due curiosi aneddoti su questi lavori, che riguarderebbero il Cristo alla colonna. Durante la sua realizzazione in laboratorio, infatti, il Manzo si accorse dell’errore che era stato fatto dai committenti, pretendendo che il Cristo durante la flagellazione dovesse avere la corona di spine in testa, mentre in realtà, questa riguardava una fase successiva, e poiché  era molto preciso sui suoi manufatti, la cosa rappresentava un grosso problema, ma quando anche nella riconferma della commissione del 2 novembre 1900, furono ripetute quelle condizioni, egli decise di rassegnarsi.

La confraternita, sempre per la realizzazione di questa statua, aveva fornito al Manzo un’immagine per altro riuscita piuttosto male e in bianco e nero che illustrava l’originale colonna di santa Prassede a Roma, quella a cui  Gesù, fu legato, nel cortile della fortezza Antonia, il Pretorio di Pilato in Gerusalemme, per la flagellazione.

 

Il Cristo alla colonna di Giuseppe Manzo
Taranto, Cristo alla colonna Giuseppe Manzo, 1901

Non potendo individuare in alcun modo il colore, il Manzo abbondò con il verde, mentre la colonna originale è di marmo diaspro, proveniente da una roccia calcarea che assume colorazioni che vanno dal bianco al bruno. Nella colonna Gesù ha le mani legate dietro la schiena. Una cordicella gli tiene uniti i polsi, che a un primo sguardo non sembrano legati alla colonna, il Cristo dà l’impressione di essere solo poggiato ad  essa, ma così non è. Una colonna bassa che assomigliasse a quella originale così come l’avevano voluta quelli della confraternita, dava non pochi problemi, su come poter legare le mani alla stessa, ed era impensabile che anche all’epoca della flagellazione Cristo non fosse stato legato.

 

“Ecco allora che il Manzo s’inventò letteralmente l’anello di ferro al centro della parte superiore della colonna e attraverso quell’anello fece passare a più giri la cordicella che stringeva i polsi di Gesù. Dico s’inventò, perché il cartapestaio leccese non poteva aver visto su  una figura degli inizi del secolo un anello che nella colonna che si conserva a S. Prassede non è visibile neppure oggi. Ma fece bene il maestro, forse fu l’intuito a guidarlo. Certo non gli mancava la fantasia[…] Due piccoli capolavori impreziosiscono questa statua: quelle mani legate dietro la schiena che sembrano quasi parlare e il merlettino che orna il perizoma di Gesù. Due capolavori firmati Giuseppe Manzo.”[4]

Nella seconda statua realizzata, quella dell’Ecce Homo, ancora una volta il maestro, in maniera impareggiabile, esprime tutta la sua abilità nel catturare la storia e l’emotività del personaggio. Abbiamo un Gesù che, dopo la sofferenza della flagellazione, sa che sta andando incontro alla sua fine, non si aspetta più niente dalla crudeltà degli uomini, non guarda la folla, non guarda Pilato, cammina ad occhi bassi verso il suo destino, i capelli sono intrisi di sangue, che da una spalla, in tante pieghe sapientemente ondulate dal Manzo, cola in rivoli.. Nelle mani legate stringe una canna, lo scettro che gli hanno regalato i soldati. Non gli interessa ciò che accade intorno a lui.

 

Taranto, Ecce Homo, Giuseppe Manzo 1901
Taranto, Ecce Homo, Giuseppe Manzo 1901

 

Ma fu nella Cascata che il maestro raggiunse il massimo della sua arte. Qui non solo era chiamato a modellare un Gesù steso per terra e schiacciato dal peso che portava addosso, ma doveva anche fare i conti con quella tunica, creando ora le pieghe della spalla sulla quale poggiava la croce, ora quelle della spalla libera, poi ancora le pieghe delle lunghe maniche, e infine quelle che scendevano lungo il corpo di Gesù, tenendo presente che la cordicella che stringeva la vita del Cristo, accresceva le arricciature che diventavano piccole, grandi, fluenti…

Il Manzo seppe raggiungere magnificamente lo scopo, ma dovette anche far ricorso alla sua ben nota pazienza, facendo e rifacendo chissà quante volte quelle pieghe e usando continuamente i ferri arroventati per focheggiare, segnare, correggere e perfezionare ondulazioni e arricciature. Gli occhi di Gesù, nella cascata, ricordano molto da vicino quelli della Colonna. Sembrano due sguardi identici, tanto che separando e isolando  gli occhi dal resto dei due volti, si ha difficoltà  a identificare a quale statua essi appartengano. Anche qui, gli occhi sono rivolti a sinistra verso l’alto e sembrano quasi voler esprimere un’invocazione di pietà da parte di Gesù nei confronti dei soldati. Tornano evidenti i segni del dolore fisico, e della fatica già presenti nella Colonna; ma si ha anche l’impressione che nella cascata l’artista abbia voluto mettere sul volto di Gesù più uno sguardo di giustificazione che di pietà. Giustificazione per quella caduta accidentale, avvenuta contro la volontà del Cristo, per aver causato un grattacapo al centurione. Gesù alzando la testa sembra voler chiedere perdono, come a dire che la sua caduta era dovuta alle sue precarie condizioni fisiche, non voleva rallentare, il suo cammino verso la crocifissione.

 

“La statua insomma doveva anche parlare., ed egli in questo senso era un innovatore. Non realizzava soltanto delle figure, ma cercava, nei volti dei suoi Gesù e dei santi, anche la parola, la comunicazione. Chi osservava, non doveva soltanto vedere, ma anche ascoltare, capire sino in fondo il soggetto rappresentato. Con il Manzo possiamo dire che la cartapesta leccese voltò pagina.”[5]

 

Taranto, La Cascata, Giuseppe Manzo 1901
Taranto, La Cascata, Giuseppe Manzo 1901

 

Taranto, Particolare degli occhi del Cristo alla Colonna, Giuseppe Manzo 1901
Taranto, Particolare degli occhi del Cristo alla Colonna, Giuseppe Manzo 1901

 

Oggi, la cartapesta leccese non è più quella di ieri. C’è ancora qualche bottega che resiste qua e là, ma quella lavorazione, scrupolosa, paziente, emotiva, che apparteneva ai cartapestai di una volta non esiste più. Tranne pochissime eccezioni, laddove qualcuno ha appreso la tecnica dal padre o dal nonno, da qualche maestro di una volta, l’arte dell’unicità ha ceduto il passo all’industrializzazione, i santi si fabbricano in serie, con le forme e paiono tutti uguali, senza un’espressione propria che li identifichi, senza un’anima che possa trasmetterci emozioni. Alcuni tra i giovani si sentono protagonisti di una fondamentale operazione di recupero e parlano di una nuova forma di ispirazione, quasi inconscia, dalle loro botteghe nel centro storico della città. Cercano una chiarificazione del proprio ruolo artigianale, dove la cartapesta non rappresenta un inutile revival, ma nemmeno la rottura con la tradizione, ci ricordano che le botteghe artigiane[6],

 

“possono ancora costituire la linfa per la rinascita di un centro storico tra i più belli di tutto il sud, dove i laboratori anche all’esterno, mantengono il rispetto della linea architettonica del vecchio borgo, l’anima della città, la sua filosofia di vita”.[7]

 

Ma c’è anche a Lecce, in Puglia, in Italia, nel mondo, tutto un patrimonio della cartapesta da salvaguardare e da valorizzare. Si tratta di autentici capolavori che hanno segnato un’epoca e dei quali si potrebbe tentare una non impossibile, anche se difficile catalogazione generale.[8]

 

Lecce, centro storico. Il palazzo a due piani, che si affaccia sul monumentale teatro greco, fu l’abitazione di Giuseppe Manzo, a due passi dal suo reale laboratorio, oggi proprietà del nipote Dino Manzo
Lecce, centro storico. Il palazzo a due piani, che si affaccia sul monumentale teatro greco, fu l’abitazione di Giuseppe Manzo, a due passi dal suo reale laboratorio
Lecce, centro storico, la via dell’abitazione che fu di Giuseppe Manzo
Lecce, centro storico, la via dell’abitazione che fu di Giuseppe Manzo

La nostra città, fiera dei suoi artisti e della sua storia, ha inaugurato nel  dicembre 2009, il Museo della Cartapesta.[9] Esso  rispecchia la storia di un’arte che si intreccia con la storia della città, fin dal diciottesimo secolo. La statuaria in cartapesta, nel solco dell’influenza partenopea, è un tratto distintivo della cultura salentina. Nelle diverse sale al pianterreno del Castello di Carlo V, si ripercorrono le tappe di un’arte, a torto, considerata minore.

Come affermava G. Klimt: “Chiamiamo artisti non solamente i creatori, ma anche coloro che godono dell’arte, che sono cioè capaci di rivivere e valutare con i propri sensi ricettivi le creazioni artistiche”.

 

 

Bibliografia

Bambi E., Quando la cartapesta si trasforma in arte, in “Tempo” 20 agosto 1982Da «L’Ordine» – Settimanale Cattolico Salentino, 10 gennaio 1942

Barletta R., Appunti e immagini su cartapesta, terracotta, tessitura a telaio, Fasano, 1981

Bazzarini A., Dizionario enciclopedico delle scienze, lettere ed arti, Francesco Andreola, Venezia 1830-1837

Caputo N., Quei tre fratelli di nome Gesù – le statue di Giuseppe Manzo nella processione dei misteri di Taranto, Scorpione editrice s.r.l., Martina Franca 1991

Castromediano S., L’arte della cartapesta in Lecce, in “corriere meridionale”, IV, n 17, Lecce, 1893

De Marco M., Catalogo delle opere sacre in cartapesta conservate presso la chiesa e il convento dei padri passionisti , in “ I Passionisti a Novoli. 1887-1997”, Manduria, 1987

De Marco M., La cartapesta leccese, Edizioni del Grifo, 1997

I PP. PP. A Novoli 1887-1987, (Lecce) 1894

L’ultima cartapesta, divagazioni su Lecce settecentesca ed una poesia di Vittorio Bodini. Quaderni della banca del Salento, n. 1, a cura di Franco Galli, 1975

Marti P.,  La modellatura in carta, Tip. Ed. Salentina, Lecce 1894. (opuscolo)

Natale, storia, racconti, tradizioni. Paoline,  2005

Lazzari G., in Anxa, anno X, n. 56, maggio-giugno 2012 , Associazione culturale Onlus, Gallipoli (Le)

Ragusa C., Guida alla cartapesta leccese. La storia, i protagonisti, la tecnica, il restauro. A cura di Mario Cazzato, congedo editore,1993

Ròiss (Franco Rossi) Cartapesta e cartapestai, Maestà di Urbisaglia, Macerata 1983

Rossi E., Bruceremo i santi di carta, in “ La tribuna del Salento ” anno 2, Lecce, 1960

Sabato A. (a cura di) Costumi, cartoline, cartapesta, Lecce, 1993

Solombrino O., Serrano Microstorie Ricordi sentimenti a cura di S. Solombrino, Congedo, Galatina 2005

Tragni B., Artigiani di Puglia(con un saggio di A, Contenti) Adda editore, Bari, 1986Rossi E.,Un’arte senza domani vive la sua agonia: la statuaria leccese, in “ La tribuna del Salento” anno I,Lecce, 1959

Valegentina L., La cartapesta leccese e i suoi cultori, in « Il Lavoro Nazionale », Anno I, n. 2-3, Bari, 1915

Valgentina L., Muse, De Agostini, Novara 1965, vol. III

Wikipedia, l’enciclopedia libera

 

Sitografia

Francesco Castromediano, www.antoniogarrisiopere.it

Gli artisti della cartapesta leccese nella pubblicistica salentina www.culturaservizi.it

Il Cristo morto, www.brindisiweb.it

Museo della cartapesta, www.quisalento.it

Santa Trinità, www.sstrinita.manduria.org

Settimana Santa di Taranto, it.wikipedia.org/wiki/Settimana_Santa_di_Taranto


[1] I riti della Settimana Santa di Taranto sono un evento che si svolge nella città a partire dalla Domenica delle Palme, e risalgono all’epoca della dominazione spagnola nell’Italia meridionale. Furono introdotti a Taranto dal patrizio tarantino Don Diego Calò, il quale nel 1603, fece costruire a Napoli le statue del Gesù Morto e dell’Addolorata. Nel 1765 il patrizio tarantino Francesco Antonio Calò, erede e custode della tradizione della processione dei Misteri del Venerdì Santo, donò alla Confraternita del Carmine le due statue che componevano la suddetta processione, attribuendole l’onore e l’onere di organizzare e perpetrare quella tradizione cominciata circa un secolo prima. Nel corso del tempo a queste due statue donate se ne aggiunsero altre sei, per arrivare a un totale di otto statue.( Tre di queste sono quelle rifatte dal Manzo nel 1901. In occasione del centenario della sua realizzazione e consegna, nel 2001, durante la processione dei misteri, fu assegnata una targa in ricordo del grande maestro cartapestaio, al nipote Dino.) Questa processione esce alle cinque del pomeriggio del giovedì Santo dalla chiesa del Carmine, e si conclude alle cinque del venerdì, rientrando nella stessa chiesa, portando le statue che simboleggiano la passione di Gesù. I confratelli sono vestiti con l’abito tradizionale dei Perdoni e procedono a ritmo lentissimo accompagnati dalle marce funebri. La processione è composta dalla Troccola, strumento che apre la processione, il Gonfalone ovvero la bandiera della confraternita, la Croce dei misteri, il Cristo all’Orto, la Colonna, l’Ecce Homo, la Cascata, il Crocifisso, la Sacra Sindone, il Gesù Morto, l’Addolorata (appena essa esce sulla piazza, verso le otto di sera, si chiude il portone del Carmine). È accompagnata da tre bande che suonano marce funebri, ed effettua durante il percorso una sosta nella chiesa di San Francesco da Paola. Vi erano inoltre tre coppie di poste sistemate davanti alle statue, divenute quattro a partire dal 2012 e sette Mazze che hanno il compito di mantenere ordinata la processione e di sostituire i confratelli in caso di necessità. Fonte: it.wikipedia.org/wiki/Settimana_Santa_di_Taranto

[2] Nicola Caputo, Quei tre fratelli di nome Gesù – le statue di Giuseppe Manzo nella processione dei misteri di Taranto, Scorpione editrice s.r.l., Martina Franca 1991, p. 9

[3] Archivio confr. del Carmine, Taranto, fascicolo corr. con G. Manzo, rendiconto 1901, in Nicola Caputo, Quei tre fratelli di nome Gesù – le statue di Giuseppe Manzo nella processione dei misteri di Taranto, Scorpione editrice s.r.l., Martina Franca 1991, p.27

[4] Nicola Caputo, Quei tre fratelli di nome Gesù – le statue di Giuseppe Manzo nella processione dei misteri di Taranto, Scorpione editrice s.r.l., Martina Franca 1991, pp. 39, 41, 51, 53, 107, 110

[5] Idem, p. 120

[6] Bianca Tragni, Artigiani di Puglia (con un saggio di A, Contenti) Adda editore, Bari, 1986, p. 321

[7] Da una intervista di E. Bambi, Quando la cartapesta si trasforma in arte, in “Tempo” 20 agosto 1982, p. 2

[8] Nicola Caputo, Quei tre fratelli di nome Gesù – le statue di Giuseppe Manzo nella processione dei misteri di Taranto, Scorpione editrice s.r.l., Martina Franca 1991, p. 142

[9] Caterina Ragusa, è la  direttrice del Museo, e Tina De Leo, è la  responsabile Eventi del Castello Carlo V. Ci sono sette sale al primo piano, tre al piano terra, tra cui il laboratorio di restauro della cartapesta. Complessivamente la struttura raccoglie 80 opere, tutte d’ispirazione cristiana, realizzate da grandi maestri cartapestai leccesi intorno al 1700. www.quisalento.it

 

Per la prima parte: 

https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/04/09/giuseppe-manzo-1849-1942-e-la-cartapesta-leccese-prima-parte/

Per la seconda parte:

https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/04/12/giuseppe-manzo-1849-1942-e-la-cartapesta-leccese-seconda-parte/

Per la terza parte:

https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/04/15/giuseppe-manzo-terza-parte/

Per la quarta parte:

https://www.fondazioneterradotranto.it/2013/04/18/giuseppe-manzo/

 

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4 Commenti a Giuseppe Manzo (1849-1942) e la cartapesta leccese (quinta e ultima parte)

  1. Dove posso trovare le prime quattro parti del saggio su Giuseppe Manzo e la cartapesta leccese? Grazie.

  2. Volevo sapere se esiste un libro illustrato delle opere del maestro Giuseppe Manzo da acquistare ….tramite corriere ……grazie

    • Buonasera, si ce n è uno scritto per rendergli omaggio, da Gianluigi Lazzari, che contiene immagini molto preziose, a cura di Della Verdula editore del 2013.

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