W Garibaldi!

Garibaldi entra a Messina
Garibaldi entra a Messina

di Maurizio Nocera

Perché Garibaldi, fondatore dello stato moderno italiano, viene oggi tanto attaccato ed oltraggiato da figuri antistorici e da forze politiche organizzate, soprattutto del Nord? Che cosa c’è sotto questo ostracismo?
La risposta ormai la conoscono tutti: ci sono forze politiche di destra neomonarchiche (sabaude e borboniche, questa volta alleate, ognuna per la sua parte di territorio geo-politico a sé spettante) che fanno di tutto per
risorgere dal fondo dove la storia giustamente le ha relegate. Attaccando la figura e l’opera di Giuseppe Garibaldi, intendono con ciò minare l’impianto unitario dello stato moderno italiano. Sperano di gettare a mare l’Eroe dei Due Mondi e con esso l’Unità d’Italia.

Però, hanno fatto male i loro conti, perché ad essere rigettate a mare saranno proprio loro. Ed è alquanto paradossale pensare che, ancora una volta, a farle restare in quei bui meandri della reazione antistorica e antiumana sarà ancora proprio lui, Giuseppe Garibaldi, sarà il suo mito leggendario, il suo spessore
storico, la sua proverbiale e grande umanità, che, di tanto in tanto, quando c’è il bisogno, ritorna come l’araba fenice.

giuseppe_garibaldi

Giuseppe Garibaldi fu un personaggio importante per il nostro paese, lottò a difesa dei deboli, degli umili, degli sfruttati. La sua epopea è grande, perché fu Lui un grande del secolo XIX. Per questo sarà proprio un po’ difficile ribaltare il giudizio storico attraverso una sequela di stupide falsificazioni.

Abbiamo verificato che ogni qualvolta vi è una falsificazione, essa dura esattamente quanto il soffio di una formica, poi l’urto della verità rimonta e la travolge.

Garibaldi, ancora una volta, dopo essere stato l’effigie del Risorgimento, dopo essere stato l’icona dell’intera riunificazione dello stato, dopo essere stato il vessillo delle forze partigiane, che liberarono l’Italia dal nazifascismo, ancora una volta, scrivevo, ritornerà ad essere la nuova bandiera che sconfiggerà questi ipocriti prezzolati secessionisti del Nord. Ha ragione Andrea Camilleri quando afferma (l’Infedele, La7, 26 aprile 2010) che oggi ci troviamo nelle condizioni di dover ripensare ad una nuova spedizione dei Mille,
questa volta però non dal Nord al Sud, da Quarto alla Sicilia, ma viceversa, dal Sud verso Nord, dal Meridione ad Arcore, perché è lì che si è accumulato un incredibile grumo di inciviltà.

Garibaldi fu uomo d’azione di levatura nazionale ed internazionale. Il suo nome fu simbolo e bandiera dei popoli in lotta per la libertà, la democrazia, l’indipendenza nazionale e la sovranità dei popoli. Chi, nei 150 anni dall’Unità d’Italia ad oggi (1860-2010), lottò contro la reazione, l’oppressione, la dominazione, l’assolutismo, lo fece anche in nome e sotto la sua bandiera. Egli non lottò per una sola parte della penisola, per questa o per quell’altra regione, ma per l’intero paese, dalle Alpi alla Sicilia, alla Sardegna, alle
altre isole minori, per l’intero popolo italiano e non solo per i siciliani o i piemontesi. Egli non fu solo un rivoluzionario umanitario esperto in fatti d’armi, ma fu anche uomo politico attento soprattutto alla società. Nel 1871, dopo le note vicende latinoamericane (partecipazione diretta alle guerre anticolonialiste e a favore della libertà dei popoli), con gratitudine guardarono a lui i leggendari comunardi delle barricate di Parigi. La più famosa Comune della storia sentì forte la comunanza di ideali con Giuseppe Garibaldi. In quell’occasione egli scrisse: «Ciò che spinge i parigini alla guerra è un sentimento di giustizia e di dignità umana».
A lui guardarono pure i primi internazionalisti che fecero propria la sua affermazione passata ormai alla storia come «l’Internazionale è il sole dell’avvenire». Uno di essi, Fredreric Engels, facendo la cronaca dei successi dell’impresa dei “Mille” in Sicilia, in un articolo di fondo, pubblicato il 22 giugno 1860 sulla «New York Daily Tribune», scrisse: «Si tratta […] di una delle più stupefacenti imprese militari del nostro secolo, impresa che sembrerebbe quasi inconcepibile se non fosse per il prestigio che precede la marcia di un generale rivoluzionario trionfante». E, qualche decennio dopo, lo stesso autore, in un articolo successivo alla morte di Garibaldi, pubblicato sulla «Neue Zeit», scrisse: «Garibaldi […] con mille volontari (…) mise sottosopra tutto il regno di Napoli, unificò di fatto l’Italia, spezzò l’abile rete della politica bonapartista. L’Italia era libera e in sostanza unificata, ma non per gli intrighi di Luigi Napoleone, bensì grazie alla rivoluzione…» garibaldina.

Anche Antonio Gramsci, il politico filosofo più innovativo del Novecento italiano, nei suoi scritti sul Risorgimento, sottolineò il sincero patriottismo unitario e la carica ideale umanitaria profusa da Garibaldi.
Il nome di Giuseppe Garibaldi godette e gode di grande ammirazione da parte del popolo italiano, per questo egli, come d’altronde la sua leggendaria Camicia Rossa, sono divenuti simboli di movimenti e di forze politiche e sociali di libertà, di democrazia e tendenti sempre all’azione umanitaria. Egli visse l’intera vita (era nato a Nizza nel 1807) onestamente, combattendo per i grandi ideali di Patria e Giustizia sociale e morì quasi povero nella sua isola sarda (Caprera) nel 1882. Appena due anni dopo la morte, un suo compagno d’arme, il garibaldino Luigi Castellazzo (1827 – 1890), anch’egli patriota sin dal maggio 1848, che aveva preso parte alle campagne militari per l’Unità d’Italia del 1859 e del 1860 come ufficiale delle Camicie Rosse, su un biglietto scrisse: «Se Garibaldi rivivesse, Egli, nella sua magnanima e fiera natura di Patriota e di Eroe, imprecherebbe a questa Italia degenerata, che 1o commemora a parola, gli erige monumenti di pietra, ma non sa imitarne le virtù, proseguire l’opera e compierne i sublimi ideali».

 

Pubblicato su Il Filo di Aracne.

 

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2 Commenti a W Garibaldi!

  1. Garibaldi manifestò i suoi sentimenti patriottici anche in opere letterarie ( particolarmente i romanzi) oggi pressoché dimenticate, che hanno un notevole interesse documentario. Questi scritti hanno forte impronta anticlericale, ma ASSOLUTAMENTE NON MATERIALISTICA (e quindi a torto i suoi detrattori passati e presenti lo dipingono come ateo), anzi in molti passi il grande patriota esprime una intensa spiritualità. sebbene di carattere panteistico (ad es. il sole è definito con suggestiva immagine “il figlio maggiore dell’Infinito”). Chi volesse leggerli può trovarli in internet sul sito LIBER LIBER – progetto Aldo Manuzio. Inoltre il sottoscritto nel suo sito “loasiditammuz.altervista.org” ha dedicato all’argomento una trattazione in sei parti (guardare sull’elenco degli articoli pubblicati).

  2. Era verso la metà degli anni ’90. Un assolato e caldo pomeriggio di una domenica piemontese. Avevamo letto un articolo, Andammo ad Asti, in una pizza, sotto un tendone tensiostatico Enrico Deaglio moderava un dialogo fra Luis Sepulveda e Paco Ignazio Taibo II, il tema della giornata era : Garibaldi. Fu pomeriggio memorabile per l’ironia, la frizzantezza, la sfrontatezza dei due interlocutori che disegnarono un Garibaldi per me inedito. Conosciamo l’eroe dei due mondi, non conoscevo l’importanza che ha avuto nel sud America. Laggiù ne sanno molto di rivolte, rivoluzioni, controrivoluzioni, dittature spietate. Laggiù sanno e conservano memoria. Dicevano i due che la statua di Garibaldi, come le vie e piazze a lui intestate, sono presenti in moltissimi centri più o meno grandi, dicevano di molti anziani che avevano come capoletto la Vergine o il Cristo accanto all’icona di Giuseppe Garibaldi.

    Sinteticamente successe che:

    Tra il dicembre 1835 ed il 1848 Garibaldi trascorse un lungo esilio in Sud America. Prima a Rio de Janeiro, accolto dalla piccola comunità di italiani aderenti alla Giovine Italia.

    Poi, il 4 maggio 1837 ottenne dal governo del Rio Grande do Sul, ribelle all’autorità dell’Impero del Brasile, una ‘patente di corsa’, e prese a sfidare un impero con il suo peschereccio, battezzato Mazzini. Dopo molti episodi, inclusa una fuga in Uruguay, eppoi a Gualeguay, in Argentina, prese parte alle sue prime battaglie terrestri. L’11 aprile 1838 respinse un intero battaglione dell’esercito imperiale brasiliano (battaglia del Galpon de Xarqueada). Partecipò, quindi alla campagna che portò alla presa di Laguna, capitale della attigua provincia di Santa Caterina, il 25 luglio 1839.

    Il 15 novembre l’esercito imperiale riconquistò la città, e i repubblicani ripararono sugli altipiani, ove si svolsero battaglie con fortune alterne. In particolare Garibaldi fu impegnato per la prima volta in un combattimento esclusivamente terrestre, nei pressi di Forquillas: attaccò con i suoi marinai il nemico e lo costrinse alla ritirata.

    Sconfitta la ribellione separatista, nel 1842 Garibaldi riparò in Uruguay, dove comandò la flotta uruguaiana in una battaglia navale contro gli argentini e partecipa alla seguente difesa della città con i suoi volontari, tutti vestiti con camicie rosse, prese al grande macello della città. Qui sposa nel 1842 Ana Maria de Jesus Ribeiro, detta Anita.

    Dopo aver offerto la propria spada a papa Pio IX, rientrò in Italia poco dopo lo scoppio della prima guerra di indipendenza. (fonte:http://www.garibaldi.tripod.com/id3.html)

    Si conquistò il benvolere degli “ultimi” degli emarginati e degli sfruttati, divenne eroe popolare per il sol ofatto di stare dalal parte dei diseredati. Forse è anche questa una risposta al fatto che moltissimi nostalgici di altri tipi di governi vogliono seppellirlo per sempre dalla storia.

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