I riti della Settimana Santa di Taranto, tra fede, storia e tradizione popolare

di Francesco Lacarbonara
Raccontare i riti della Settimana Santa di Taranto, per chi a Taranto è nato è vissuto come me, non è impresa facile. Basterebbe poco, infatti, per lasciarsi trascinare dai ricordi delle tante processioni alle quali si è assistito fin da bambino, col rischio di scivolare così in un nostalgico sentimentalismo che, seppur onesto e legittimo in quanto espressione di un sano attaccamento alle proprie origini, non renderebbe ragione della complessità del fenomeno che stiamo per trattare.
Non sarebbe però neppure corretto ridurre il tutto a una mera, e alquanto asettica, operazione di ricerca storico-antropologica (con i relativi risvolti sociali e psicologici) nel tentativo, forse vano, di analizzare razionalmente un evento che, a ventunesimo secolo ormai avanzato, continua a riproporsi con lo stesso immutato carico di coinvolgimento emotivo, vuoi per chi del rito è protagonista, vuoi per chi al rito partecipa come semplice, ma mai indifferente, spettatore.
Proveremo allora ad accostarci al rito della Perdonanza tarantina con la giusta dose di curiosità per una “sacra rappresentazione” che torna ad inscenarsi nuovamente tra le vie del borgo e della città vecchia di Taranto. Ma lo faremo anche con il dovuto rispetto per coloro che vivono la Settimana Santa con spirito di fede e devozione e, anche se solo per pochi giorni, si apprestano a trascendere i confini della quotidianità per affacciarsi, con un sentimento misto di timore e tremore, nella dimensione del sacro e del mistero. Seguiremo in particolare il rito del Pellegrinaggio ai Sepolcri, oggi svolto solo dai confratelli della Confraternita di Maria SS. del Monte Carmelo. Ci occuperemo in un secondo momento del rito della Processione dei Sacri Misteri (condotto anch’esso dai confratelli del Carmine) e di quello della Processione della B.V. Addolorata, tanto cara a tutti i tarantini e portata avanti, con devozione sincera e immutato attaccamento alle tradizioni, dai confratelli della Confraternita di Maria SS. Addolorata e San Domenico. Tale confraternita fu fondata nel 1670 dai Padri Domenicani che prestavano servizio nel Tempio di San Domenico, situato nella parte più alta della città vecchia di Taranto; il Tempio fu edificato nel 1302 sulle fondamenta di una Chiesa probabilmente sorta agli inizi del XIII secolo e fu solo a partire dal 1870 che la Confraternita assunse il titolo di San Domenico e dell’Addolorata.
Le origini
Occorre risalire al XVI secolo, periodo che vede Taranto sotto la dominazione spagnola, per ritrovare le prime tracce dei riti della Settimana Santa tarantina. Le numerose e nobili famiglie spagnole residenti in città introdussero e diffusero tra la popolazione locale usi e costumi importati dalla madre patria, anche a carattere religioso. Nascono così le prime confraternite e hanno inizio i primi pellegrinaggi, come avveniva già da diverso tempo in molte città della Spagna, quali, ad esempio, Siviglia, Saragozza, Malaga e Barcellona.
A questo periodo però si deve far risalire solo il rito del Pellegrinaggio ai Sepolcri, che si svolgeva la mattina del Venerdì Santo da parte delle confraternite già allora esistenti in città. È probabile però che forme di devozione nei confronti dei sepolcri fossero diffuse già da prima, sulla scia di quanto raccontato nella Peregrinatio Aetheriae, nota anche come Itinerarium Egeria. Eteria, o Egeria – probabilmente una donna facoltosa di origine spagnola vissuta tra il IV e il V secolo – descrive in una lettera, scritta in un latino colloquiale, i luoghi da lei visitati durante un suo pellegrinaggio in Terrasanta. Dal suo racconto, ricco di particolari curiosi, si sarebbe iniziato a rappresentare nelle chiese scene riproducenti i luoghi santi, con il chiaro intento di riproporre i momenti più significativi della Passione e della Morte di Cristo, il tutto offerto alla devozione popolare.
Fu così che il Venerdì Santo del 1765 i due simulacri varcarono per l’ultima volta il portone di Palazzo Calò per raggiungere in processione quella che diventerà la loro sede definitiva, la Chiesa del Carmine extra moenia, ovvero in aperta campagna, in quello che è diventato adesso il cuore del borgo di Taranto, nella città nuova.
Questi due simulacri, più volte restaurati nel corso degli anni per ovviare all’inevitabile usura del tempo, sono gli stessi che vengono portati in processione ancora oggi dalla Confraternita del Carmine, insieme ad altre statue che si sono aggiunte nel corso degli anni, a completare il racconto plastico della Passione e Morte di Gesù mediante la raffigurazione dei suoi momenti più drammatici e significativi.
(Fine prima parte)
Testo e Foto di:
Francesco Lacarbonara – MMXI- tutti i diritti riservati –