Zèppole e zòppole

Le zèppole tra mito e realtà

di Pino de Luca

Non ci si può sottrarre ad alcuni eventi, tanto sono antichi e tanto perpetuati che fanno parte integrante delle nostre cellule. Da tempo immemore le Idi di marzo rappresentano un momento di passaggio importante nella cultura italica. Il 17 di marzo ricorrevano i “Liberalia” oltre al compleanno della Patria Unita, erano i giorni nei quali “insanire licet.” E in onore di Bacco e Sileno si dava fondo al vino e si cuocevano frittelle di frumento che si condivano con il miele in onore dell’uno e dell’altro operando una sorta di “captatio benevolentiae”.

Da li sembra derivino i dolci tipici del 19 marzo, San Giuseppe Lavoratore. Dolci alteri e aristocratici che, come regine, vestono in questa data gli scaffali delle pasticcerie. Qualcuno ne attribuisce la paternità al convento di San Gregorio Armeno, altri a quello di Santa Patrizia. Altri ancora alle Lucchesi monache della Croce o a quelle dello Splendore.

La prima ricetta trasmessa ai posteri la dobbiamo ad un personaggio della cucina Napoletana: Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino. Così lui racconta:

“Miette ‘ncoppa a lo ffuoco ‘na cazzarola co’ meza caraffa d’acqua fresca, e nu’ bicchiere de vino janco, e quando vide ch’accomenz’a fa ‘lle campanelle, e sta p’ascì a bollere ‘nce mine a poco a poco miezo ruotolo, o duje tierze de sciore fino, votanno sempre co lo laniaturo; e quanno la pasta se scosta da tuorno a la cazzarola, allora è fatta e la lieve mettennola ‘ncoppa a lo tavolillo, co ‘na sodonta d’uoglio; quanno è mezza fredda, che la puo’ manià, la mine co ‘lle mmane per farla schianà si per caso nce fosse quacche pallottola de sciore: ne farraje tanta tortanelli come sono li zeppole, e le friarraje, o co l’uoglio, o co la ‘nzogna, che veneno meglio, attiento che ta tiella s’avesse da abbruscià; po co no spruoccolo appuntuto le pugnarraje pe farle suiglià, e farle venì vacante da dinto; l’accuonce dinto a lo piatto co zuccaro, e mele. Pe farle venì chiù tennere farraje la pasta na jurnata primma.”

Il perfido desiderio di vedervi in panne mi farebbe chiudere qui il racconto, ma voglio dirne d’una versione moderna con un piccolo trucco che mi ha insegnato un caro amico che fa le zeppole più buone del mondo.

In un tegame mettere mezzo litro di acqua, 150 grammi di burro, 50 grammi di strutto, un cucchiaino di sale. Portare ad ebollizione e appena bolle togliere il tegame dal fuoco e versare dentro la farina tutta insieme e lavorando con un cucchiaio di legno amalgamare il tutto. Rimettere quindi il tegame sul fuoco e continuare a mescolare finché la pasta non si stacca dalle pareti del tegame e dal cucchiaio facendo un rumore di fritto. Si toglie dal fuoco e si continua a mescolare finché non si intiepidisce. Incorporare nella pasta una dozzina di uova una per volta avendo cura di fare assorbire bene un uovo prima di aggiungere l’altro. In base alla dimensione delle uova potrebbe esser necessario qualcuno in più (secondo il mio mèntore per mezzo litro di acqua ci vogliono 680 grammi di uova pesate con il guscio).

Alla fine avremo un impasto morbido ma sodo ed elastico che va posto in una tasca da pasticceria con la quale si fanno le zeppole dalla caratteristica forma su carta da forno. Son pronte da friggere, voi seguite questa procedura:

Si pongono le zeppole su una placca da forno e si infornano per 10 minuti a 80 gradi, si sfornano e si friggono utilizzando olio a bassa temperatura fino a quando non si gonfiano per bene e si cuociono all’interno, poi si passano nella friggitina con l’olio bollente per dorarle all’esterno.

Si guarniscono con crema pasticciera e amarene, oppure con crema e cioccolato o, semplicemente, con zucchero a velo.

È fritto e dolce, mi richiede un vino da meditazione ma con il giusto tannino.

La zeppola fatta bene è una regina: il suo compagno ha da essere anch’esso aristocratico e allora un plurimedagliato anche in onore di San Giuseppe che è il santo mio e pure di Giuseppe Pizzolante: Serra dei Santi di Santi Dimitri, ma solo con la confettura di amarene.

P.S. La Zeppola è una regina, si fa con l’olio di gomito e fritta. Poi ci sono delle cose similari, hanno una loro dignità ma non le chiamerei Zeppole, in quanto imitatrici di regine le chiamerei semplicemente “Zoppole”.

La bottega era in fondo alla via, 
tutti quanti sapevano dove. 
Fa Giuseppe: “Adorata Maria, 
molto presto sarà il diciannove; 

vola il tempo, a gran passi s’appresta. 
Invitiamo qui a casa gli amici. 
E’ il mio nome, lo sai; la mia festa. 
Che ti pare, Marì? Che ne dici?” 

Alza gli occhi Maria dal ricamo, 
risplendenti di grazia divina. 
“Peppe mio, tu lo sai quanto t’amo, 
però sono un disastro, in cucina. 

Ti ricordi dell’ultima volta? 
Mi ci sono davvero impegnata, 
ma mi venne uno schifo, la torta, 
e alla fine l’abbiamo buttata. 

Ma stavolta andrà meglio, lo sento, 
lo vedrai: non ti dico di più. 
Voglio farti davvero contento, 
con il nostro figliolo Gesù!” 

E così ci provò. Poveretta, 
ben tre giorni passò a cucinare, 
ma non era una cuoca provetta 
(era molto più brava a pregare). 

Questa volta riuscì! Nella stanza 
in cui stava la Sacra Famiglia 
si diffuse una dolce fragranza. 
Che languore! Che gran meraviglia! 

Su un vassoio fan mostra di sé 
(beh, Maria, certe volte sei in vena!) 
zeppoloni di pasta bignè 
ben guarniti di crema e amarena. 

San Giuseppe però storce il naso. 
“Moglie mia, chi può averti aiutato? 
Non mi dire che è frutto del caso; 
tu lo sai, la menzogna è peccato. 

E non fare quel viso contrito! 
Dai, sorridi, mia cara Maria: 
l’aiutante, l’ho bell’e capito, 
si nasconde costì, in casa mia. 

Vieni qua, figlio mio, fatti avanti. 
I miracoli son limitati, 
vanno usati per cose importanti; 
se li impieghi così, son sprecati!” 

Ma Gesù, ch’era ancora un bambino 
lo guardò con grandissimo amore, 
e gli disse: “Mio caro papino, 
stai facendo – perdona – un errore: 

questa zeppola dolce, squisita 
da gustare in un giorno di festa 
rende un poco migliore la vita: 
la magia quotidiana è anche questa. 

E’ un miracolo lieve, leggero; 
una semplice, morbida cosa, 
che anche al giorno più cupo e nero 
dà una piccola mano di rosa”. 

Il papà sentì in gola un magone. 
“Caro figlio, non critico più. 
Su ‘ste zeppole hai proprio ragione: 
io so’ Santo, ma tu sì Gesù!”

 

(anonimo)

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5 Commenti a Zèppole e zòppole

  1. La lontananza é come il vento che spegne i fuochi piccoli ma ti porta ancora i profumi e i sapori della della tua terra…
    E il vento arriva a 15 mila chilometri con le ali delle Spigolature Salentine.

  2. Complimenti all’ “ANONIMO” estensore del componimento in rima che impreziosisce ancor più il già prezioso articolo su le squisite e irrinunciabili Zeppole.

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