Carni d’altri tempi

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di Alessio Palumbo

 

Il recente “scandalo” sulla carne equina, oltre a problematiche quali la tracciabilità dei prodotti alimentari o la sicurezza dei cibi che quotidianamente ritroviamo sulle nostre tavole, ha posto in risalto un altro tema a tutti noto, ma ugualmente degno di riflessione: le diverse culture culinarie che caratterizzano l’Europa ed il nostro Paese.

L’articolo di Massimo Vaglio sul consumo della carne equina nel Salento ben descrive questo fenomeno che, evidentemente, è legato ad usi, tradizioni alimentari, abitudini contingenti, etc. Restringendo la nostra analisi alla sola Terra d’Otranto, è possibile notare come, nel corso di circa mezzo secolo, il cambiamento dei costumi e delle condizioni economico-sociali abbia notevolmente inciso sull’alimentazione. Di conseguenza, ad esempio, alcune carni, prima abbastanza comuni e diffuse, sono completamente (e vien da dire fortunatamente) sparite dalle tavole dei Salentini. Vi propongo a tal fine un piccolo “bestiario” che spero non urti la vostra sensibilità:

Volpe (Orpe)

La caccia alla volpe, non intesa come sport tipicamente inglese con nobili, cavalli e cani al seguito, è stata a lungo praticata nel Salento. Cacciato premeditatamente o ucciso occasionalmente durante le scorrazzate notturne nei pollai, l’animale dal caldo mantello ha rappresentato per lungo tempo una pietanza non poco diffusa sulle tavole di cacciatori e non. Cucinata principalmente al forno, richiedeva una particolare abilità e pazienza nella preparazione delle carni che dovevano essere a lungo frollate con vino (o aceto), erbe (alloro, rosmarino) e limone, al fine di eliminare lu crestu, ovvero il sentore tipico della carne selvatica.

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Riccio (Rizzu)

Di piccole dimensioni ed innocuo, il simpatico riccio di campagna ha spesso rappresentato l’oggetto delle rare grigliate contadine. A Sannicola, ad esempio, alcuni carrettieri che trasportavano le fascine di sarmenti erano soliti catturare questi animaletti in campagna, gettarli nel cassone posto sotto la seduta e portarli in paese per venderli o regalarli alle famiglie che usavano mangiarli. Una rapida scuoiatura e la dovuta pulizia erano gli unici preparativi previsti prima della cottura su fuoco di legna. A detta dei testimoni il sapore era simile a quello del pollo

Tasso (Milogna)

La sorte culinaria della milogna è stata a lungo simile a quella della volpe (con cui non di rado condivideva le tane). L’unica differenza consisteva nella difficoltà di cacciare questo animale presente in zone quali Porto Selvaggio o Lido Pizzo. I cacciatori erano infatti costretti ad appostarsi lungamente in prossimità delle tane per sorprendere il grasso mustelide nelle notti illuminate dalla luna. Un manicaretto raro dunque, dal sapore simile al maialetto.

Fringuello (Frangiddhru)

Come per il pettirosso ed altri piccoli volatili, la sua caccia è da tempo vietata. Tuttavia fino a pochi anni fa era ancora diffusa la cattura massiva di frangiddhri: in particolare, in alcune zone ricche di boschi o frutteti, si ponevano dei grossi sacchi all’imboccatura dei pozzi abbandonati dove i piccoli uccelli erano soliti rifugiarsi per la notte. Accendendo una lampada nel sacco, i fringuelli si precipitavano verso l’uscita rimanendo intrappolati. La loro triste (ma molto saporita) fine era in umido, al sugo o al forno.

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