Il Carnevale e la Quaresima nella tradizione popolare

Carniale e Caremma, il Carnevale e la Quaresima nella tradizione popolare salentina

 

di Marcello Gaballo

 

Il 17 gennaio, giorno delle fòcare, comincia ufficialmente il Carnevale e molti salentini già pensano a come allietarlo, programmando come divertirsi nei “sabato sera”.

Questo lieto periodo dell’anno si concluderà il martedì antecedente le S. Ceneri, lasciando il posto alle settimane quaresimali.

L’inesauribile fantasia del nostro popolo, un tempo libera dai continui condizionamenti del mass media, identificò questo periodo con due personaggi, l’uno di sesso maschile, Carniale, l’altro femminile, Caremma, sua moglie.

Difatti presso il popolo salentino Caremma si identificava con la Quaresima ed “entrava in scena” subito dopo la morte del coniuge, immaginato come un baldo giovine aduso ad ogni stravaganza. Forte di un’antichissima licenza concessagli dai romani (semel in anno licet insanire– una volta l’anno è consentito uscir fuori di testa) a Carniale era consentito tutto o quasi, a partire dal 17 gennaio di ogni anno, tanto che ancora oggi il termine viene attribuito ad ogni burlone e a chiunque si caratterizzi per la scarsa o nulla credibilità.

L’infelice moglie, le cui limitatissime esternazioni si limitavano al periodo  della Quaresima della religione cristiana, ovvero quel ciclo di quaranta giorni dedicato al digiuno e alla penitenza, poteva esibirsi ed esser notata a partire dal mercoledì delle Ceneri e fino alla domenica delle Palme.

Rispecchiava per certi aspetti quella che era la condizione femminile di decenni fa, alle cui rappresentanti era consentito uscire fuori da casa solo per le spese nel negozietto più vicino, in occasione delle sagre, per andare in chiesa e pochi altri seri motivi (visite di cortesia, funerali, ecc., purchè in compagnia del marito o di altri stretti congiunti, meglio se di sesso femminile). Non era così per il “maschio (màsculu)” di casa, che poteva trattenersi fuori dalla sua abitazione, oltre che per lavorare, per tutto il tempo che gli pareva utile e necessario.

Normalissimo quindi che esso fosse beone e buongustaio, proprio come veniva visto il nostro Carniale, straordinariamente ghiotto di salsiccia e particolarmente attratto dal buon vino, il cui tasso alcoolemico giustificava qualunque colpo di testa e perfino le risapute e mai svelate violenze domestiche.

Caremma veniva raffigurata con le sembianze di una vecchia per niente bella, vestita di nero.

Come accadde fino a qualche decennio addietro, la ricordo ancora nella sua spettrale fisionomia, appesa ad un filo che era teso tra due balconi di vico Moresco a Nardò, nei pressi della cattedrale.

Era stata realizzata sulla sagoma di un pupazzo di paglia, che indossava dismessi e consunti abiti femminili, rigorosamente neri, con capelli ricavati da un pugno di lana di scarto, resa bianca da repentina immersione in candeggina (miticìna di rrobbe).

Il capo era coperto da un fazzoletto nero e i piedi si vedevano racchiusi in due rozze scarpacce. Nella mano destra stringeva una cunocchia, nella sinistra lu fusu, antichi strumenti necessari per la lavorazione domestica della lana, probabile reminiscenza delle Parche latine.

Ricordo bene anche l’arancia fissata sulla conocchia, forse per ricordare la frugalità del cibo da consumarsi nel periodo quaresimale, e sul frutto le cinque penne di gallina, infilzate a ventaglio, per ricordare le cinque settimane quaresimali, e che venivano progressivamente sfilate ogni lunedì. Sull’asta centrale del fuso venivano invece infilati cinque taralli, anche questi eliminati con lo stesso ritmo.

Un fantoccio che era impossibile non scorgere, sempre che si passasse da quella angusta stradina per la quale si giunge in cattedrale. Quelli dotati di buona memoria al suo cospetto sciorinavano la filastrocca trasmessa dalla propria nonna:

Caremma musi-torta

si mangiò na ricotta

e a me non mi ndi tese,

brutta fèmmina ca fuese

(Caremma col labbro storto mangò una ricottina, e a me non ne dette. Che cattiva donna che fu!).

Un coacervo di simboli pagani e religiosi, a costo zero, che stuzzicava la semplice anima di un popolo oramai evoluto, che ha ritenuto utile liberarsi di orpelli cultuali e culturali come questo, per ricercare stimoli e simboli al passo con i tempi.

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