9 febbraio, Sant’Apollonia. La reliquia di Santa Apollonia che si venerava a Gallipoli

di Antonio Faita

Il 9 febbraio, giorno indicato dallo  scrittore cristiano Adone, è stato per secoli dedicato a Santa Apollonia di Alessandria. Anche se al giorno d’oggi questa non è, per così dire, molto celebre. Infatti non è ricordata per  particolari carismi o per opere che abbia scritto, ma è sempre stata molto venerata nella tradizione della Chiesa, soprattutto a livello di devozione popolare. Ne danno testimonianza le innumerevoli sue raffigurazioni e le molte chiese ed oratori a lei dedicati in tutta Europa.

Poche sono le notizie della sua vita, ma il vescovo Dionigi di Alessandria ci descrive, con ammirazione, un breve profilo di una vita donata al Signore nella verginità, nella fedeltà alla celebrazione dei misteri, nella preghiera e nelle molteplici opere di carità. Siamo però bene informati sulla vicenda del suo martirio, grazie alla testimonianza di alcuni episodi avvenuti durante la persecuzione scoppiata prima di quella di Decio, descritta dal vescovo Dionigi in una sua lettera indirizzata a Fabio di Antiochia, e riportata nel terzo secolo d. C. dallo storico Eusebio di Cesarea, nella sua Historia Ecclesiastica (VI, 41)[1]. Dionigi tramanda infatti che ad Alessandria di Egitto, nel 249 d. C., durante gli ultimi anni dell’Impero di Filippo (244-49), una sollevazione dei pagani contro i cristiani dette origine a un sanguinoso massacro. Molti seguaci di Cristo furono flagellati e lapidati; al massacro non sfuggirono nemmeno i più deboli. Durante questo furore sanguinario dei pagani, Dionigi scrive «I pagani presero poi l’ammirabile vergine Apollonia, gia avanzata in età. Le colpirono le mascelle e le fecero uscire i denti». Oppure, come la tradizione ha riportato, le furono strappati i denti con una tenaglia.  «Poi avendo dato fuoco ad un rogo fuori della città, la minacciarono di gettarcela viva, se non pronunziasse assieme a loro parole empie. Ella chiese che la lasciassero libera un istante: ottenuto ciò, saltò rapidamente nel fuoco e fu consumata»[2]. Il gesto di Apollonia di gettarsi nel fuoco, pur di non commettere un peccato grave, suscitò fra i carnefici ed i pagani, ma anche fra gli stessi cristiani, una grande ammirazione che nei secoli successivi fu oggetto di considerazione dottrinale. Di questo si trova un’eco in S. Agostino    ( De civitate Dei, I, 26)[3].

S.Apollonia, cromolitografia, inizio sec XIX (per gentile concessione di Stefania Colafranceschi, ripr. vietata)

Sin dal primo Medioevo il culto per la martire di Alessandria si diffuse prima in Oriente e poi in Occidente. La ragione della grande diffusione del suo culto può essere cercata nella rilevanza del suo martirio per la vita quotidiana. Protettrice contro il mal di denti e le malattie della bocca, è la patrona dei dentisti. Da secoli Santa Apollonia, per  via dei frequenti mal di denti, è stata spesso invocata e venerata praticamente ovunque e, dal Medioevo in poi, si moltiplicarono i suoi denti-reliquie miracolosi, venerati dai fedeli e custoditi nelle chiese e oratori sacri dell’Occidente. Ciò avvenne anche a Gallipoli. Infatti nell’anno 1683, il giorno 9 del mese di febbraio, nel Refectorio dicti Venerabili Conventus Sancti Francisci de Paula Reverendorum Patrum Ordinis Minimorum , veniva stipulato un atto di donazione, rogato dal notaio Carlo Megha[4], in cui il clerico D. Giuseppe Venneri, di sua spontaneità e alla presenza del Sindaco, dottor Giuseppe de Maggis, Giovanni Benedetto Mazzuci e il dottor fisico Maurizio Stradiotti Patritis de Gallipolis, donava una reliquia di Santa Apollonia al padre correttore Fra Angelo de Summa, del venerabile vonvento dei frati Minimi di San Francesco di Paola. Nel citato atto vengono riportate le modalità su come il clerico D. Giuseppe Venneri divenne possessore di tale reliquia: «…avendosi esso Costituente ritrovato l’anni passati nel Venerabile Convento decto Casole de Reverendi Padri Reformati di San Francesco d’Assisi nel feudo di Copertino, et havendo hauta corrispondenza col Reverendo Padre Guardiano all’hora di detto Convento. Il nome del quale per rispecti della prefata Religione hoggi tace, da quello li fù aperto un stipo dentro della chiesa di detto Convento dentro del quale si conservavano molte, e molte Reliquie Insigne de Martiri et esso Constituente osservatele con Veneratione et adoratele frà l’altre li ebbe nelle mani una Reliquia insignie di trè mole della Gloriosa Martire Santa Apollonia di chi hoggi predicto giorno si celebrara la festa, e quella dentro d’un scatolino di legno coverto di pelle rossa Inargentata con cristallo avanti, e con tre piedi d’ottone Indorato et adorata detta Reliquia ex devotionis Impulsu disse à detto Padre Guardiano volerla appresso di se dal quale gli fu concessa, et hauta In tal modo la detta reliquia Insigne delle tre Mole di detta Santa Martire di Christo Apollonia…» .

Statua della santa a Nardò (ph Vincenzo Gaballo)

Pur non conoscendo l’anno preciso di consegna della Reliquia da parte dei francescani di Copertino, essa fu tenuta con molta venerazione nella casa del clerico D. Giuseppe Venneri, fino a quando decise che detta Reliquia dovesse stare in una chiesa esposta alla venerazione dei fedeli cristiani e perciò deliberò di donarla, «…et consignavit etc dicto Reverendo Patri Fratri Angelo a Celis Correctore dictis Venerabilis Conventus Sancti Francisci de Paula huis civitattis Gallipolis presenti et nomine dicti venerabilis conventus recipienti etc dictam Insignem Reliquiam Trium molarum dictę Christi Martiris Sanctę Apollonię Intus dictum scatum ut supra habitam à dicto Reliquiario dicti Venerabilis Conventus de Casole etc…»  col patto che detta Reliquia «…s’habbi da conservare dentro d’una cassa à due chiavi una de quali s’habbi da tenere per il correttore presente, e correttori futuri in detto Venerabile Convento, et una per esso Clerico signor Giuseppe Venneri Donante e suoi heredi e successori, il tutto acciò detta Reliquia non s’habbi d’estrahere da ditto Venerabile Convento ma che sempre habbi da restare In quello, e nella sua Chiesa etc…».

Inoltre, si aggiunse la condizione «…che s’habbi detta Reliquia da exporre alla veneratione de fedeli Christiani in dicta Chiesa del Convento di San Francesco de Paola, e perciò s’habbi da formare in detta Chiesa un altare per la detta Reliquia etc quia sic etc…».

l’altare nella chiesa di Gallipoli dedicato alla santa

In effetti alla santa vergine fu eretto un altare, forse nello stesso anno, dal clerico D. Giuseppe Venneri (coniugato con Cornelia D’Elia), «…sponte obbligavit se usque heredes…», oppure successivamente dal figlio D. Oronzo, anch’esso clerico. A supporto di tale tesi e a conferma di ciò è il testamento[5] di Andrea D’Ospina Venneri del fu Giovanni (e di Anna Pirelli)[6], rogato il 19 ottobre 1822 dal notaio Francesco Rizzo, in cui dichiarava che la “Cappella” di santa Apollonia esistente nella chiesa dell’ex Paolotti gli fu lasciata dal fu D. Oronzo Venneri. Naturalmente trattasi dell’altare esistente a tutt’oggi e non della “Cappella”. Come è noto nella chiesa ex Paolotti vi è organata la confraternita di Santa Maria della Neve o del Cassopo[7], che ottenne la concessone della suddetta chiesa con decreto del 21 aprile 1813, dopo le leggi di soppressione degli ordini contemplativi del 1809, emanate da Murat[8].

L’altare, realizzato completamente in pietra si presenta con frontone a decorazioni barocche, con un dipinto centrale realizzato su tela raffigurante santa Apollonia con la palma del martirio in mano e un paio di tenaglie che stringono un dente in memoria del supplizio che subì; la mensa, pure lapidea, presenta ai lati le armi araldiche[9] della famiglia Venneri[10]. Tra il 1785 e il 1792 la diocesi di Gallipoli, come anche molte chiese del Regno, rimase senza vescovo titolare fino a quando, il 17 maggio del 1792, fece il suo ingresso a Gallipoli mons. Giovanni Giuseppe Danisi[11] (1792-1820), nominato il 4 marzo dello stesso anno da Papa Pio VI (1775-1799). Questo Pontefice intervenne energicamente per riportare nei giusti canoni alcune forme di culto che avevano raggiunto manifestazioni tanto esasperate da sfociare in fanatismo superstizioso. Fece infatti raccogliere in uno scrigno tutti quei denti che si veneravano in Italia, (circa tre chilogrammi) e li fece buttare nel Tevere. Ciò fa pensare che l’inesistenza della reliquia di santa Apollonia sia collegata a quell’episodio e, grazie al documento, siamo venuti a conoscenza della sua venerazione, in passato, nella nostra città.


[1] GORDINI Gian Domenico, Apollonia di Alessandria, in «Biblioteca Sanctorum», vol. II, Città Nuova Editrice, Roma 1990, p. 258

[2] Cfr, Ibidem, p. 260

[3] Cfr, Ibidem, p. 260

[4] A.S.Lecce, notaio Carlo Megha, coll. 40/13, Protocollo, anno 1683, fogli da 41/r-41/v

[5] Colgo l’occasione per ringraziare l’amico Elio Pindinelli per avermi fornito alcune notizie:

A.S.Lecce, notaio Rizzo Francesco coll. 40/48, Protocollo anno 1822, Testamento del 19.10.1822 di Andrea D’Ospina Venneri del fu Giovanni «Dichiaro che la Cappella di Santa Apollonia esistente dentro la Chiesa dell’ex Paolotti di questo Comune, che oggi è divenuta Congregazione sotto il titolo di Santa Maria della Neve alias Cassopo è di mia attinenza assieme colla sepoltura ivi esistente lasciatami dal fu don Oronzio Venneri, e voglio e prescrivo che si avesse celebrato la di lei festività nel giorno della Santa, con far suonare le campane a mortorio la sera avanti detta festa, con la solida musica le due sere, e la matina durante le messe votice, e con far celebrare la messa votiva in detto altare per l’anima di detto fu clerico don Oronzio e sue sorelle, e darsi se vi sono i Padri Minimi carlini cinque per detta messa votiva, altri carlini cinque per la di loro pietanza, e carlini due per le campane, giusta la disposizione di detto Venneri, illuminarsi l’altare con dodici candelotti, accendersi le lampade tutto l’anno, e farsi tutto quanto sarà necessario per il mantenimento dell’altare e cappella; E voglio che la spesa occorrente si dovesse fare dalla detta mia signora consorte Donna Marianna Balsamo durante la sua vita e dopo la sua morte si dovesse adempiere dai miei esecutori testamentari dalle rendite annuali della detta metà de’ beni della mia eredità; e voglio che in detta sepoltura si potessero seppellire li sopradetti miei eredi nipoti cogini e loro eredi e successori, se così a loro piacesse, senza che fossimo da alcuno impediti».

[6] Cfr. E. PINDINELLI, Il mito… La storia… I monumenti, Guida storica-artistica, per conto dell’Associazione Gallipoli Nostra, Grafiche Corsano, Alezio (LE), 2006, p.112, «La famiglia Venneri si estinse nel ramo di Andrea D’Ospina che, ereditandone le proprietà, aggiunse, nel 1767 al proprio, il cognome Venneri»

[7] Cfr. Ibidem, p. 92, «…promotrice del culto fu la famiglia Venneri»

[8] Cfr, E. PINDINELLI e M. CAZZATO, Civitas Confraternalis, Congedo Editore, Galatina, 1997, p. 33

[9] Cfr. E. PINDINELLI, Araldica cittadina in Almanacco Gallipolino, Grafiche Corsano, Alezio (LE), 1996, pp. 2-3,     «N.1 Partito d’azzurro al Tau d’oro alla campagna di verde caricato di tre rose al naturale e d’azzurro al leone doro rampante. N.2 scaccato di rosso e d’argento a sei file», così trascriveva Ettore Vernole attorno agli anni ’20, riportando lo stemma dei Venneri, come anche, quelli di altre 34 famiglie nobili di Gallipoli, da un manoscritto autografo di Bartolomeo Ravenna

[10] Cfr. B. RAVENNA, Memorie istoriche della fedelissima città di Gallipoli, Miranda, Napoli 1835, p.330, «Figurava tra le primarie antiche famiglie quella dei Venneri e lo era pur tale quando fu distrutta Gallipoli nel secolo XIII. Si reputava originaria di Chieti, e si estinse nel passato secolo». A.S.Lecce, Scritture delle Università e Feudi, Catasto Onciario, vol.I, b.47, Anno 1751, ultimo discendente dei Venneri fu Giuseppe, omonimo e nipote del nostro sopracitato, anch’esso chierico e dottore delle leggi (Utriusque Iuris), morirà il 12.2.1767

[11] Ibidem, p.501

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