Stampa e sabbie mobili

da: http://www.ragusanews.com/

di Pino de Luca

Le sabbie mobili, nella filmografia avventurosa degli anni sessanta, erano un classico. Luogo di giustizia divina che si abbatteva implacabilmente sul malvagio o che provocava un fremito d’ansia al protagonista impegnato a salvarsi da morte certa , più spesso, a salvare dall’avido gorgo la propria amata. Le sabbie mobili in agguato, infide, profonde e che, lentamente e inesorabilmente avvolgono, avviluppano, conducono allo stato di zombie sepolto vivo.

Le sabbie mobili sono il potere, normalizzano chiunque ci mette il piede dentro, chiunque provi, immergendosi, a scoprirne il mistero. Le sue possibilità di successo sono nulle, la riemersione impossibile. A volte le sabbie mobili espellono qualcuno, per caso, indigestione o eccessivo affollamento. L’orrido però continua ad attrarre, chi viene espulso sente una sorta di minus e una irresistibile attrazione a rituffarsi nel mondo in cui tutto accade senza rumore, in cui tutto è denso, melmoso e il tempo trascorre inutilmente senza produrre cambiamento alcuno.

Ma il potere è necessario, utile perfino, all’organizzazione umana. Nessuna forma di società può esistere senza potere, e tuttavia è possibile un esercizio dello stesso senza melma e senza sabbie mobili. Può esistere un potere limpido, come un lago dalle acque chete, che a volte s’intorbida per la tempesta, per un affluente lordato da inquinatori, ma è capace di chiarificarsi, di metabolizzare, di lasciar vedere il fondo con trasparenza.

La Glasnost di Gorbaciov dovrebbe essere la guida, ma, ahimé, essa è anche il paradosso. Quando Gorbaciov invocò la Glasnost per purificare un potere, coloro che quella glasnost invocavano ne hanno fatto strame, sovvertendo il potere per impadronirsene e rabbuiando ancora di più le acque, rendendo le sabbie mobili ancora più dense ed insidiose.

Nessuna glasnost è possibile dall’interno del gorgo, nessuna glasnost è possibile senza il coinvolgimento dell’informazione, libera e irriverente. Non basta che un paese abbia due giornali che si combattono per avere informazione e glasnost, occorre che ci siano giornalisti capaci di scrivere, di raccontare, di rappresentare. Ai giornalisti tocca la “narrazione” alla politica tocca la “declinazione”. Ai giornalisti tocca l’informazione ai politici la comunicazione. Se i giornalisti “comunicano” dell’informazione chi se ne occupa? La P4?

In forma palese o mistificata, i poteri comprano giornali, zittiscono le voci scomode con l’ostracismo, fomentano divisioni inserendo nel mondo della stampa dei portavoce, rappresentando come giornalisti dei comunicatori, anche bravi, ma privi della curiosità che un giornalista ha come dote inscindibile. Lo fanno tutti i poteri, dalla politica alle istituzioni, contando su persone nate serve e sempre pronte, per una cuccia comoda, ad essere i “portavoce dell’azionista di maggioranza” come sostenne autorevolmente una delle firme più note del giornalismo leccapiedi tipicamente italico.

In Italia, il giornalista, è ben lontano dalla configurazione di quarto potere, limitandosi alla funzione di cane da guardia ben ricompensato.

Certo che ce ne sono di giornalisti veri, alcuni famosi, altri meno. Alcuni vivono i fasti dei riflettori finché riescono a tenere la trincea altri sono ostracizzati in ripostigli dai quali vengono estratti quando servono e solo perché sono bravi.

Come si distingue un giornalista buono da un peracottaro che imbratta colonne? Non è difficile. L’imbratta colonne riempie il giornale di notizie generiche, fatte di nera, cronaca giudiziaria, comunicati stampa, veline di questure e rapporti di carabinieri e guardia di finanza. Il suo schema è “Sesso, Sangue e Soldi” tranne quando riguarda personaggi potenti per i quali il condizionale è sempre legato al “terzo grado di giudizio” e, comunque, alla necessità di una par condicio.

Se invece si tratta di morti di fame, preferibilmente zingari, immigrati, studenti o giovani dai molti tatuaggi e dai capelli lunghi, l’aggettivazione moralista raggiunge l’acme.

Il bravo giornalista cerca i fatti, ne da conto, si informa sui precedenti e sulle condizioni al contorno e non parla mai di politici, magistrati, pubblici dipendenti, operai, farmacisti o rappresentanti di aspirapolveri. Usa nome e cognome dei soggetti coinvolti nei fatti quando si possono usare e si astiene dal proporre aggettivazioni di simpatia o antipatia. Un bravo giornalista scrive che le strade del suo paese sono uno schifo, che l’assessore fa la ricotta sulle mense o che l’ufficio pubblico tal dei tali è colmo di fancazzisti di professione. Il bravo giornalista scrive anche che le strade sono pulite, la tale scuola funziona o che un Vigile Urbano è gentile e competente.

Un bravo giornalista riconosce il potere e lo mette alla frusta, non ci amoreggia, lo costringe alla trasparenza e alla limpidezza, sa distinguere il potere dal governo. Un bravo giornalista conosce la sua terra e capisce che Elisa Claps non poteva essere stata rubata dagli zingari o che i ragazzini possono cadere nelle cisterne lasciate incustodite.

Un bravo giornalista non cerca l’intervista della zio mostro, conosce le strade, le batte, le va a cercare, comprende un territorio, gli usi, i costumi, le relazioni, non si fa dire dai carabinieri quello che è successo. I carabinieri, in un fatto di cronaca, cercano le prove per un processo, il giornalista cerca di capire cosa è successo e di raccontarlo, non fornisce innocenti e colpevoli, solo fatti.

È allora evidente che le sabbie mobili del potere le possono prosciugare solo i bravi giornalisti, nessun altro. E servono bravi giornalisti di sinistra, di destra e di centro, di sopra e di sotto, che le sabbie mobbili sono frequentate da tutti e sono molto democratiche, non fanno differenza.

So che molti solleveranno i se e i ma, molti lo faranno con ottime ragioni, molti con ragioni abiette. Io ascolto tutti, ma per piacere ricordiamoci sempre che se è vero che la paura è fattore umano e umanamente, è anche vero che quando ce la facciamo sotto il naso di chi ci è vicino se ne accorge.

Con i migliori auguri a chi vuole fare “il giornalista” e dedicato a un caro amico che ha lasciato la penna ma con il quale è sempre molto piacevole conversare. Sperando che, qualche volta, gli torni la voglia di guardare la carta bianca e il desiderio di levarle la verginità.

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Un commento a Stampa e sabbie mobili

  1. Ricordo una buona stampa e una cloaca di righe scritte. Moltissimi anni fa ero ad Alessandria, avvenne, ahinoi, che a Novi Ligure vennero trucidati mamma e figliolo. Avvenne che la figlia arrivò a casa con il fidanzatino, lei Erika, lui Omar, Avvenne che dissero, i due, di uno che scappava e che “aveva la faccia da albanese”. Governava la città, all’epoca, un partito con le camicie verdi. Avvenne che la cloaca della stampa locale si scatenò gridando all’untore e che si fecero squadre che davano la caccia ad immigrati. Furono due giorni d’inferno. Due giornali, La Stampa e Corriere della sera avevano giornalisti che sapevano fare il loro mestiere, immediatamente capirono e gettarono (almeno ci provarono, poveretti) acqua sul fuoco e dissero di stare attenti. Nulla poterono contro gli scribacchini che cavalcano l’onda…. Due giorni d’inferno per tutti gli immigrati, anche per i bimbi nelle materne che venivano guardati con sospetto. Una pessima stampa può provocare danni irreparabili veramente.

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