E’ tempo di anguille. Cosa bisogna sapere e come prepararle

da: http://www.afyacht.com/pesce_mediterraneo

di Massimo Vaglio

Uno dei più grandi misteri della natura è custodito proprio dalle anguille (Anguilla anguilla L.). Infatti sul loro ciclo vitale sono state formulate solo ipotesi, una delle quali è stata forse troppo presto, quasi universalmente accettata dalla comunità scientifica internazionale. Secondo questa ipotesi, elaborata negli anni Trenta, sulla scorta di laboriose ricerche sul campo dal biologo danese Schmeidt, le anguille, raggiunta la maturità sessuale, intorno ai dodici anni d’età, abbandonerebbero laghi, fiumi paludi e lagune per andare a riprodursi tutte nel Mar dei Sargassi a 1000 metri di profondità. Le larve impiegherebbero tre anni per ritornare nel Mediterraneo. Tuttavia sulla biologia dell’anguilla restano ancora da verificare tutta una serie di incognite. La loro reale diffusione è amplissima, essendo presente anche in America, in Africa, nel Nilo, in alcune regioni settentrionali dell’Asia e più giù sino in India. In Italia sono presenti in tutti i fiumi, in quasi tutti i laghi, in larghi tratti di costa marina e specialmente in quelli di basso fondale ove sfociano acque di falda.

In Puglia ne sono ricche le acque del porto di Brindisi, quelle del Mar Piccolo di Taranto, i Laghi Alimini e quasi tutti i bacini e canali di bonifica presenti in tutte le vaste ex zone paludose della regione, ma sono soprattutto i laghi-laguna di Lesina e di Varano, con i loro ben 112 chilometri quadrati, la più famosa e tradizionale fonte di anguille della Puglia e di tutta l’Italia meridionale. A quanto emerso dagli archivi storici, le anguille furono addirittura causa di aspri contenziosi fra alcune comunità monastiche. Per lo sfruttamento del lago di Lesina e della sua risorsa primaria, appunto le anguille, i monaci di Monte Cassino e quelli delle Isole Tremiti litigarono per secoli. E per lo stesso motivo ossia per la pesca delle anguille nei canali Delta e Luciana, ovvero gli attuali Fiume Grande e Fiume Piccolo di Brindisi sorse un contenzioso che si trascinò per secoli tra l’arcivescovo di Brindisi e i monaci benedettini dell’abbazia di sant’Andrea in Insulam.  Daltronde non dobbiamo dimenticare quali problemi ponesse nei tempi passati la conservazione e il trasporto del pesce fresco; non così le anguille che potevano essere serbate a lungo vive in grandi vasche e stivate in botti e orci d’argilla colmi d’acqua e  potevano raggiungere ancora vive anche località molto distanti dai loro luoghi di cattura. Anche per questo le anguille costituiscono da sempre uno dei prodotti ittici più noti, insieme al merluzzo ed al tonno conservati.

A riprova della grandissima importanza attribuita all’anguilla sino ad un recente passato vi è questa sorprendente quanto curiosa elencazione lasciataci da Giovanni Canestrini, noto naturalista del XIX secolo , nonché traduttore dell’Origine della specie di Darwin – a Napoli secondo la varietà e la grandezza, si distinguono molte varietà di anguille e precisamente le seguenti: Anguilla bianca, Anguilla campagnola, Anguilla capitone, Anguilla chiara, Anguilla cazzutella, Anguilla crescenzia, Anguilla diritta, Anguilla macchione, Anguilla majatica, Anguilla mangia-ranocchie, Anguilla di mare, Anguilla orba, Anguilla pezzutella, Anguilla pollastrella, Anguilla schiaccio, Anguilla sementara, Anguilla secuta-lacerta, Anguilla storta, Anguilla tempestina, Anguilla in-tinca.

Negli ultimi tempi, proprio dalle tradizionali valli di pesca, arriva l’allarme per la progressiva forte riduzione dei quantitativi pescati, le cui cause, per quanto immaginabili, sono tutt’ora interessato oggetto di studio. Comunque la pur sostenuta rarefazione non è molto avvertita nei mercati, in quanto negli ultimi anni è anche fortemente diminuita la richiesta globale, per cui i quantitativi pescati riescono ancora a coprire la richiesta  proveniente dalle più affezionate, tradizionali aree di consumo.

Ad allontanare dalle mense degli italiani le anguille incide in molti casi proprio la loro vitalità; infatti sono sempre meno le persone che se la sentono di sacrificare o far sacrificare delle bestie ancora vive e sono ancora meno quelli  che sanno come pulirle. Ricordiamo infatti che le anguille devono essere, oltre che eviscerate, private della sostanza viscida che le ricopre. Questa operazione si esegue appendendo le anguille e strofinandole passando ripetutamente il loro corpo con la mano intrisa di crusca o pangrattato.

In Puglia le anguille e i capitoni, che sarebbero le anguille femmina, riconoscibili per la maggiore taglia,  sono tuttora un po’ dovunque bene accetti, anche se è naturalmente nel foggiano, ove la fantasia gastronomica ha dato i frutti migliori, che costituiscono tutta una serie di originali piatti tipici.

Capitone arrostito

I capitoni, a proposito dei quali ricordiamo che quelli pescati in mare sono i migliori,  vanno puliti, eviscerati, tagliati a tocchetti di cinque sei centimetri e infilati a spiedini alternati con foglie di alloro, quindi fatti marinare per almeno mezzora in olio e aceto e arrostiti su braci vive oppure ponendoli in forno a 180°C per una trentina di minuti.

Capitone con i sanàpi

Ingr. : kg 1,200 di capitone, 2 kgdi cimette di sanàpi,200 g di pomodorini, olio extravergine d’oliva, pepe nero, sale.

Nettate i sanàpi ovvero le cimette tenere della Sinapis nigra,  una crocifera coltivata tradizionalmente in Puglia, della parte più dura e fibrosa, lavateli ripetutamente in acqua fresca e lessateli. Preparate un soffritto con l’olio e la cipolla, unite i pomodorini triturati grossolanamente e fate cuocere per una decina di minuti. Aggiungete il capitone preventivamente pulito e tagliato a tocchetti di cinque sei centimetri, pepate, salate e fatelo cuocere per circa un quarto d’ora, quindi toglietelo, e tenetelo da parte. Unite al sughetto i sanàpi precedentemente lessati con un po’ della loro acqua, riportate a bollore, rimettete infine i pezzetti di capitone, completatene la cottura e servite ben caldo. E’ un piatto natalizio tipico della zona di Lesina.

Minestra di anguille all’uso di Lesina

1,5 kg di anguille di media grandezza, 1 kg di cicorie di campagna, un mazzetto di sedano selvatico (smirnio), una cipolla, 7-8 pomodori, 2 melanzane, 2 zucchina, 5-6  patate medie, mezzo peperone, un piccolo mazzetto di cime di rapa (se stagione), 300 g di zucca rossa a cubetti (se stagione), sale, pepe nero e peperoncino.
Eviscerate e tagliate le anguille in pezzi di circa 4-5 cm, adagiatele in una casseruola con circa un litro d’acqua; salate e portate ad ebollizione. Schiumate e aggiungete a strati tutti gli altri ingredienti, mettendo le patate per ultime che serviranno da riferimento per la giusta cottura di tutta la minestra). Lasciate cuocere a casseruola coperta per circa 30-35 minuti. Servitela bollente accompagnata da pane bruscato.

Capitone con i lampascioni

Stricate i capitoni con crusca o pangrattato onde eliminare il loro naturale viscidume, eliminate la testa, sventrateli, tagliateli in tranci e sbollentateli per pochi minuti. Adagiate i tranci  in una teglia con un filo d’olio di frantoio sul fondo, aggiungete i lampascioni già lessati, due spicchi d’aglio, un ciuffetto di prezzemolo, alcune foglie d’alloro, una spolverata di pepe nero macinato al momento, uno-due bicchieri d’acqua e infornate a 170°C per 30-40 minuti.

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2 Commenti a E’ tempo di anguille. Cosa bisogna sapere e come prepararle

  1. Anche i nostri mari erano ricchi di anguille. Ricordo da ragazzino, negli anni 60, vicino alla fonte sorgiva delle 4 colonne, quando l’acqua che sgorgava era potabile e non inquinata, in alcuni periodi dell’anno si vedevano le anguillette svincolarsi tra i ciottoli immersi nelle basse acque che dalla fonte si scendevano verso il mare aperto. Una volta son riuscito ad intrappolarne una e metterla in una bottiglia di birra abbandonata sugli scogli. Quel trofeo vivente, con la bicicletta, lo portai a casa dove i miei increduli della mia pesca (effettuata solo con le mani e senza l’ausilio di reti, ami, caritari o altre diavolerie) la misero in un secchio d’acqua e la svuotarono in una cisterna di acqua piovana dove, forse, tutt’ora ancora vive.

  2. molti e svariati mestieri di un’epoca passata che era semplice, caratterizzata da persone anch’esse semplici e genuine, oggi non esistono più.
    Io ricordo il passaggio per le vie del mio paese, SPONGANO, del VENDITORE DI ANGUILLE; egli le serbava in due secchi colmi d’acqua appesi al manubrio della sua bicicletta. Nel Salento, donde provengo, erano tenute nelle cisterne d’acqua piovana per mantenere l’acqua pulita dai vermi e dagli altri parassiti. Infatti questi serpentiformi innocui e sfuggenti si nutrono di piccoli animaletti che come loro vivono nell’acqua. Quando arrivava il momento di effettuare la pulizia periodica della cisterna che pertanto doveva essere totalmente svuotata, si prestava la massima attenzione a recuperare l’anguilla che poi veniva nuovamente immessa in quel luogo. L’anguilla in tal modo viveva degli anni in quella che era divenuta ormai la SUA cisterna, ed era considerata dalle persone di quella casa alla stessa stregua di un animale domestico,considerato utilissimo per la sua funzione anti-parassitaria!
    Marino Miccoli.

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