Un salentino a Nord Est. Osservando, curiosando e ricordando

di Rocco Boccadamo

 

Alligna nel Salento, come, del resto, in tanti altri posti, una bella e forte pianta, il carrubo, che, nell’arco della sua lunga vita, può anche raggiungere la non comune altezza di dieci metri e si mostra con una folta chioma fronzuta sempreverde.

E’ un albero che non richiede soverchie cure, aduso e resistente a qualsiasi condizione climatica, le erbe e le erbacce, che vanno spuntando naturalmente ai suoi piedi, crescono, diventano rigogliose, ingialliscono e seccano, un ciclo vegetativo dopo l’altro, mentre il nostro gigante lussureggiante se ne resta imperterrito lì, quasi a gustarsi la scena.

Conferisce un appagamento speciale, durante la stagione calda, la sosta alla sua ombra, con l’agio privilegiato di occhieggiare fra i minuscoli spazi del fogliame e, in tal modo, cogliere frammenti di cielo o di mare, in movimento, oscillanti dietro la carezza timida del venticello.

Il carrubo dà anche frutti, sottoforma di grossi baccelli contenenti, all’interno, alcuni semi e contraddistinti da buccia di colore verde quando sono acerbi e di tonalità marrone nella fase di maturazione: si chiamano, semplicemente, carrube.

 

In passato, i contadini, o agricoltori o mezzadri o proprietari dei fondi, provvedevano sistematicamente a raccogliere le carrube; in parte, erano utilizzate ai fini dell’alimentazione degli animali da lavoro e/o domestici, in parte, invece, erano cedute a commercianti ambulanti all’ingrosso, i quali caricavano i capienti sacchi di iuta su traini o camioncini, li ammucchiavano temporaneamente nei magazzini e, da ultimo, conferivano la merce all’ammasso.

Correvano quotazioni bassissime e, di conseguenza, contropartite in denaro risicate, appena gocce di entrate a beneficio dei magri bilanci familiari dei produttori venditori. Adesso, purtroppo, nessuno abbacchia e raccoglie le carrube, se si eccettuano i modesti quantitativi colti e conservati in casa, per preparare, con l’aggiunta di fichi secchi, qualche infuso o decotto che, all’occorrenza, può arrecare lenimento e rivelarsi rimedio naturale alla tosse o al mal gola.Sicché, i frutti del verde e maestoso albero finiscono col cadere da soli sul terreno e col marcire, e così da una stagione alla successiva.Eppure, incredibilmente, sul bancone di un fruttivendolo, stamani, si è presentata alla vista una cassetta, contenente proprio carrube color marrone, e il relativo cartellino prezzo segnava niente poco di meno che € 5 a chilogrammo.

Non c’è che dire, dalla produzione al consumo, esattamente chilometri zero e neanche l’ombra di ricarico.

La vetrina di una macelleria ha invece dato agio, al comune osservatore di strada, di apprendere una cosa assolutamente nuova, in altre parole l’offerta al pubblico, fra le varie specialità, di “carne e salame d’asino”, con l’aggiunta, a beneficio della clientela della zona, dell’appellativo dialettale dell’animale, cioè musso.

La commessa del negozio, per la verità, ha riferito che gli acquirenti di tale genere di carne formano una nicchia limitata, che risente, forse, dei richiami riguardanti la preparazione e la degustazione di manicaretti della specie, in occasione di fiere e sagre. Ha, ad ogni modo, aggiunto che occorrono molte ore, sino a dieci, per cuocere a puntino l’alimento in questione.

Pensare come, lo scrivente, con riferimento all’utile animale da soma, fosse fermo e arretrato al “latte d’asina”, utilizzato per finalità alimentari, particolarmente dei bambini, o cosmetiche.

Poveri asinelli, anche voi, dunque, talora andate a finire al macello, non vi sono più riservati, esclusivamente, il trapasso naturale e il meritato riposo per sempre!

Pensare ancora come, il ragazzo di ieri, provasse uno scrupolo non da poco nei vostri confronti, come categoria, quando, con i calzoncini corti, per fare dispetto all’anziano contadino del paesello natio, Vicenzu u cuzzune, piccolo e ricurvo, il quale si muoveva esclusivamente in groppa a un somarello di pari altezza, gli andava appositamente dietro, sfruculiando l’innocente quadrupede, mediante un ramo, esattamente in un preciso punto, al che la bestia, ovviamente, reagiva saltellando e scalciando, con il rischio, per il suo padrone, di essere disarcionato e cadere malamente a terra.

Cambiando completamente genere di proposta e commercio, un altro esercizio sul corso espone uno strano cartello: “Novità assoluta – Bigodini per boccoli”.
Al che, s’innesca uno stimolo alla curiosità, la titolare del negozio, intenta a provare una parrucca in capo ad una cliente, incarica il marito di sentire e assistere me.

Il predetto mi domanda subito se sono per caso un parrucchiere. Dopo di che, passa a spiegarmi che si tratta di un’invenzione freschissima, frutto, però, di lunghi studi, e fa scorrere un breve filmato in cui scorgo una serie di aggeggi, cannelle di plastica, intorno alle quali si arrotolano, tutto in una volta e non capello per capello, i boccoli, tenuti poi fermi e stretti, per un certo arco di tempo, grazie a mollette, pure di plastica, fatte scorrere, dal basso verso l’alto, lungo le cannelle, e fissate con gancetti sino tenere, i boccoli medesimi, avvolti e bloccati.

Notevole risparmio di tempo, risultati egregi, aggiunge l’uomo, che, alla mia domanda al riguardo, precisa di vendere kit di siffatti bigodini, ciascuno con quarantadue pezzi, alla cifra di euro quarantotto. Mi saluta con un sorriso, non senza gratificarmi con un “ha fatto bene a chiedere illustrazioni”.

Da queste parti, abbondano i manifesti pubblicitari proponenti “Corsi di ballo”, se ne incontrano proprio tanti, si vede che i veneti sono portati per la danza in coppia. Nulla di male, ovviamente, anzi è risaputo che i movimenti, giustappunto del ballo, sono salutari per il fisico e per lo spirito.

In uno stretto e poco profondo canale o roggia, al centro di Padova, ho notato folte colonie di pesciolini; ciò spiega come mai, fra i postumi delle recentissime esondazioni di corsi d’acqua più grandi, nella zona, si siano rinvenuti numerosi esemplari ittici, soprattutto carpe, all’interno delle cantine e garage delle abitazioni rimaste allagate.

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