I tartufi del Salento

 

di Massimo Vaglio

Facile dire Salento, certamente molto più difficile trovare una sua puntuale ed esaustiva descrizione, persino nello spazio della più ampia e valida delle guide. Tante sono, infatti, le emergenze, la varietà di ambienti, di usi e tradizioni, che rendono unico e sorprendente come pochi altri, questa estrema propaggine italica. Una terra, che non finisce mai di sorprendere, e non solo il visitatore, ma anche i suoi stessi abitanti, e persino i più profondi conoscitori.

Anche, il più esigente dei gourmet  trova qui un’infinita, varia e talvolta inaspettata platea di prodotti con cui soddisfare la sua  passione. Naturale, che i protagonisti della gastronomia locale siano in prevalenza i tipici prodotti mediterranei, ma le sorprese non mancano e non di rado si incontrano prodotti e piatti di matrice nettamente più nordica e continentale, retaggio di antichi scambi e contaminazioni.

Un popolo ricco di storia quindi, che con intelligenza ha saputo fare tesoro anche delle più umili e neglette risorse locali, ma che, quando ne ha avuto la possibilità con altrettanta intelligenza e grande apertura mentale ha saputo approfittare delle novità portate dai dominatori oppure di quelle risorse inaspettatamente arrivate dai nuovi continenti.

Un caso fa però eccezione ed è quello dei tartufi, un prodotto, che almeno da qualche secolo era caduto completamente nell’oblio, fino ad una sua recentissima, e come vedremo, quasi casuale, riscoperta.

Questi pregiatissimi funghi ipogei, massima e preziosa delizia dei i gourmet dell’Italia Centro-Settentrionale, sono da tempo praticamente ignorati, dalla stragrande maggioranza dei meridionali. Tuttora, nonostante le notizie viaggino veloci come non mai, non sono molti i salentini che sanno della loro esistenza nei boschi nostrani, anche se è da rilevare, che molti di quelli che spinti dalla curiosità, hanno iniziato a degustarli, ne sono rimasti conquistati, e sono divenuti degli assidui consumatori. D’altronde, non è una novità, gli uomini, apprezzano solo quello conoscono e conoscono solo quello che gli è stato insegnato.

Ma il tartufo è stato sempre estraneo alla gastronomia salentina? Molto probabilmente, in passato, ossia prima della pressoché totale distruzione delle foreste primigenie che ricoprivano ampissimi tratti del suo territorio, i tartufi dovevano essere un prodotto molto abbondante, apprezzato e  fatto oggetto di regolare raccolta.

Questa supposizione scaturisce dal fatto che i tartufi sono ben presenti nel Cuoco Galante, Napoli 1778, pregevole ricettario del salentino Vincenzo Corrado, ove compaiono come ingrediente di numerosi piatti, di salse e persino in arditi accostamenti con il pesce. Ciò attesta con certezza il loro gradimento almeno fra i ceti dominanti dell’epoca. La raccolta, con molta probabilità, com’era in uso a quel tempo, veniva effettuata nelle leccete dai guardiani di maiali che, nei periodi canonici, seguivano a vista i maiali, e appena questi, avendo annusato la presenza dei ghiotti tuberi, tentavano di scavarli con il coriaceo grugno, lesti li scacciavano e se ne impossessavano.

tuber albidum

La raccolta dei tartufi terminò ineluttabilmente quando venne pressoché completata la totale distruzione delle foreste, distrutto l’habitat. I tartufi sparirono anche dalle mense e sopraggiunse un lunghissimo oblio. Questa secolare assenza li ha allontanati completamente dalla cultura gastronomica salentina, almeno se si escludono le Terfezie degli pseudo tartufi appartenenti al genere Terfezia, quasi inodori e dal gusto dolciastro, che essendo delle specie semi epigee, sino a qualche decennio addietro venivano sporadicamente raccolti da qualche raccoglitore e sovente destinati, quasi a titolo di curiosità a fanciulle e bambini che li consumavano crudi.

Nel dopoguerra, un po’ per lenire il problema della disoccupazione, un po’ per cercare di rimediare a qualche guasto ambientale, si dette luogo alle cosiddette campagne silvane, ovvero a delle campagne di rimboschimento, che furono realizzate prevalentemente con pini d’Aleppo e pini domestici, è stato così, che in alcune centinaia di ettari rimboschiti si è ricreato un ambiente idoneo allo sviluppo dei tartufi delle specie: Tuber aestivum, noto come Scorzone e del ben più pregiato, Tuber albidum = Tuber borchii, comunemente appellato Bianchetto. Questi sono stati scoperti qualche decennio addietro da cercatori professionisti di oltre regione che con bravissimi cani al seguito hanno svolto per diversi anni con estrema circospezione delle proficue campagne di raccolta. Il segreto, mantenuto ben stretto, pare che nei primi anni abbia procurato favolosi guadagni, grazie alla copiosa raccolta in questi boschi ancora vergini, di pregevoli tartufi che, grazie alla loro ottima qualità, venivano regolarmente commercializzati nelle più importanti piazze italiane, il più delle volte, come tartufi di Alba spuntando, ottime quotazioni. Parallelamente, qualcuno dei tanti salentini trapiantati al Nord ha imparato lì la tecnica di raccolta e una volta tornato ha fatto la loro inaspettata quanto gradita scoperta.

tuber aestivum (da www.naturamediterraneo.com)

Il caso più significativo è quello di Giuseppe Lolli di Corigliano d’Otranto, titolare del primo tesserino di autorizzazione alla ricerca e raccolta dei tartufi, rilasciato dalla Provincia di Lecce, per il quale la passione per la raccolta e la trasformazioni dei tartufi è divenuta già da un po’ di anni un’attività prevalente e ricca di soddisfazioni.

Nella zona di Corigliano d’Otranto, come un po’ in tutto il Magliese, insistono infatti, diversi relitti d’antiche foreste primigenie miracolosamente scampate alla distruzione, habitat ideale alla proliferazione del pregiato Bianchetto, ma si cominciano anche a mettere a dimora delle tartufaie ossia dei boschetti appositamente costituiti con piante  micorizzate con spore di tartufo. Da qui l’idea dello stesso Lolli di tipicizzare questa produzione e richiedendo l’attribuzione di un marchio d’origine per il tartufo di Corigliano d’Otranto, un progetto che per la sua esemplare sostenibilità ambientale non possiamo fare a meno di augurarci che trovi attenti e validi interlocutori.

Pappardelle al tartufo

500 gdi pappardelle,150 gdi Scorzone (tartufo estivo),80 gd’olio extravergine d’oliva, sale.

Lessate le pappardelle in abbondante acqua salata. Nel frattempo pulite i tartufi, frullateli con l’olio e regolate di sale. Scolate le pappardelle al dente e conditele con il frullato di tartufo. Mescolate e servitele caldissime, guarnendo il piatto con ciuffetti di prezzemolo.

Linguine stuzzicanti

500 gdi linguine, 4-5 tartufi della varietà Scorzone,50 gd’olio extravergine d’oliva, 1 spicchio d’aglio, 4 alici sotto sale, sale, pepe bianco.

Dissalate sotto l’acqua corrente le acciughe e diliscatele. Frullate o grattugiate diligentemente i tartufi. In una casseruola fate sciogliere i filetti di acciuga, aggiungete lo spicchio d’aglio finemente tritato e senza che soffrigga i tartufi. Scolate le linguine lessate al dente, unitele al condimento, mescolate accuratamente il tutto e servite in piatti singoli completando con una spolverata di pepe.

Sagne ‘ncannulate alla carbonara mediterranea e tartufo

500 gdi sagne ‘ncannulate,400 gdi ricotta fresca di pecora,100 gdi tartufo della varietà Scorzone,80 gdi caciocavallo podolico stagionato,50 gd’olio extravergine d’oliva, 12 pomodori secchi, 1 mazzetto di basilico fresco, 1 spicchio d’aglio, sale, pepe nero.

Versate l’olio in un’ampia padella, unite una metà dei pomodori secchi e lo spicchio d’aglio schiacciato che eliminerete appena questo accenna ad imbrunire. Unite quindi la ricotta, stemperatela con un po’ d’acqua calda ed aggiungete i restanti pomodori secchi e  le foglie di basilico trinciate grossolanamente. Versate nella padella le sagne ‘ncannulate lessate al dente, cospargetele con il caciocavallo grattugiato, pepate, mescolatele diligentemente e servitele in piatti singoli cospargendo abbondantemente con i tartufi grattugiati e guarnendo con qualche foglia di basilico fresco.

Risotto classico al tartufo

500 gdi riso Carnaroli o Vialone Nano,60 g di tartufo Bianchetto salentino, 1 cipolla, 2 costole di sedano,40 gdi burro, 4 cucchiai di panna da cucina,60 gdi grana grattugiato, 1 bicchiere di vino bianco secco,1 ldi brodo, sale, pepe nero.

Tritate la cipolla e le coste di sedano e fateli appassire in una casseruola con il burro, unite il riso e lasciatelo tostare, mescolando per due minuti, bagnate con il vino e fatelo evaporare a fiamma vivace. Abbassate la fiamma e portate a cottura il risotto versando il brodo bollente, solo quando il precedente sarà stato assorbito completamente. Quando il riso avrà raggiunto il grado di cottura desiderato, spegnete il fuoco, incorporate il grana grattugiato, la panna e regolate di sale se necessario. Suddividete il riso nei piatti individuali e cospargetelo con il tartufo tagliate a lamelle utilizzando l’apposito utensile: Spolverate con pepe macinato al momento e servite.

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4 Commenti a I tartufi del Salento

  1. mi piacerebbe conoscere il Sig. Lolli, per poter magari vedere come si raccoglie un tartufo salentino e magari assaggiarlo! caspita chi poteva mai pensare che qui in Salento, tra tutte le stragrandi ricchezze ci fossero anche i tartufi! pensavo che assaggiarli fosse un piacere precluso soltanto ad altre regioni italiane, e il fatto che ce ne siano anche qui è solo qualcosa di straordinario! ma woooooooow

  2. vorrei incontrare o sentirmi telefonicamente con il S.Lolli. Mi chiamo Pasquale Conte vivo iun Lucania e ci siamo conosciuti circa 20 anni fa a tartufi. 3384828310

  3. Giancarlo Colella- 9/1/2019
    Sono di Acquarica del Capo e nel territorio del mio Comune, che dal 16 dicembre 2018 ormai ha scelto di fondersi col Comune di Presicce, da sempre cè una zona conosciuta come “Taratufili” con un evidente richiamo al pregiato tubero la cui presenza nel Salento risale sicuramente a molti secoli fa. Un lavoro di informazione alla popolazione da parte degli agronomi della Provincia potrebbe consentire sicuramente la scoperta e la valorizzazione di questo prodotto della terra che chissà quante volte i contadini hanno trovato e gettato via perchè sconosciuto.

  4. Circa una ventina di anni fa, un custode del bosco di Portoselvaggio mi raccontava dell’esistenza nel detto bosco di un raro, ma pregiato tartufo che cresceva in autunno sotto alcuni alberi di quercia. Il posto era sconosciuto a noi del posto, ma non a dei toscani che ogni anno, per qualche settimana prendevano in affitto appartamenti del posto e con cani appropriatamente addestrati nei posti che ben conoscevano cercavano e trovavano consistenti e pregiati tartufi

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