Ancora sulle ortiche…

Ancora su “la cantarìnula”

 

di Armando Polito

nome italiano: ortica

nome dialettale neretino: irdìcula e cantarìnula

nome scientifico: Urtica urens L.

famiglia: Urticaceae

 

Etimologie:

ortica viene dal latino urtìca(m),che per alcuni filologi è di origine sconosciuta, da altri viene connessa col verbo ùrere=bruciare.  Se quest’ultima proposta è ineccepibile sul piano semantico, a prima vista appare inconciliabile con la fonologia, anche perché il supino (modo dal quale normalmente si formano sostantivi ed aggettivi derivati) di ùrere è ustum (da cui ùstio/ustiònis=ustione) e nulla giustificherebbe  un ipotetico passaggio *ustìca>urtìca; si tratterebbe, insomma di una vecchia1 paretimologia (etimologia popolare) periodicamente rimessa in campo senza alcun fondamento scientifico.

irdìcula suppone un latino  *urtìcula, diminutivo del precedente urtìca, con normalissimi passaggi u->i– (probabilmente non è da escludersi pure l’incrocio con verde) e –t->-d-. Lo stesso nome designa pure l’ortica marina; irdìcula è ben distinto da irsìcula che è il nome di un fungo e che è diminutivo del latino tardo bursa=borsa (per evidentissima analogia di forme), dal greco byrsa=pelle conciata. Per cantarìnula, Urens e Urticàceae vedi il post La cantarìnula del 9 dicembre 2010, di cui questo è integrazione (https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/10/29/lortica-tanti-nomi-dialettali-per-una-pianta-che-brucia/).

Talvolta capita di incontrare persone a prima vista poco simpatiche, scostanti, per non dire sgradevoli e di scoprire, dopo averne approfondito la conoscenza, che dietro quella scorza di rozzezza si nascondeva un tesoro di umanità. Capita pure a uomini e donne di incontrare qualche esemplare dell’altro sesso (o, con i tempi che corrono, dello stesso…) e di restare lì per lì attratti, anzi fulminati dal suo sex-appeal, salvo ricredersi non appena il presunto campione di bellezza comincia ad aprir bocca (e non certo per una dentatura non impeccabile…) e, al contrario, scoprire il fascino sottile di chi, pur non essendo esteticamente in regola, ha tanti pregi da far dimenticare l’unico difetto (se di difetto si tratta…). Se dovessi indicare una pianta che immeritatamente evoca nei suoi confronti un iniziale atteggiamento negativo da parte dell’uomo, senza esitare farei il nome dell’ortica. Il suo aspetto è, tutto sommato, insignificante ma sono i tricomi (peli) delle foglie e del fusto che, contenendo una sostanza irritante, ne rendono antipatico un incontro ravvicinato. Poi, come si sa, la voce si sparge e la reputazione è rovinata per sempre, tanto che urticante diventa sinonimo, più usato, di irritante, e orticaria indica una patologia nella cui eziologia entrano svariate sostanze, in qualche caso, addirittura, di difficile identificazione. Né la pianta può rallegrarsi di essere stata assunta a simbolo di sentimento spiacevole addirittura da Dante (Divina commedia, Purgatorio, XXXI, 85):  Di penter sì mi punse ivi l’ortica, tanto meno sentendosi usata in nessi come ci crescono le ortiche (in riferimento ad un terreno incolto) e gettare la tonaca alle ortiche (spretarsi).

Eppure, improvvisamente il cervello si illumina e diventiamo più tolleranti nei confronti di quest’erba solo a leggere su un flacone shampoo alle ortiche. Ormai di fronte ai componenti più strani che si leggono sulle etichette non battiamo ciglio e compriamo sulla fiducia. Nel caso del nostro shampoo, però, non si tratta di una fiducia mal riposta, sempre che nel flacone ci sia veramente una parte di estratto di ortica…

Ho cominciato a parlare delle proprietà della nostra erba partendo, in senso letterale, dalla nostra testa. Sarà meglio, però, cambiare rotta e cominciare, come al solito, dalla testa di altri, ma in senso metaforico.  Di Plinio si disse nel primo post2, ma l’uso dell’ortica in tempi antichi trova conferma, oltre che nella letteratura scientifica, anche in quella propriamente detta: Catullo (I° secolo a. C.): “Qui mi sconquassarono il raffreddore e la tosse insistente finché non mi rifugiai nel tuo [del podere] seno e mi curai a lungo col riposo e con l’ortica”3. In Giovenale (I°-II° secolo d. C.) compare come sinonimo di evento nefasto: “Da dove, o Gradivo [Marte], questa ortica toccò i tuoi nipoti?”4 e di libidine “…eccitazione del desiderio che langue e pungenti ortiche del ricco…”5.

Petronio (I° secolo d. C.), dal canto suo, sembra anticipare Donatien-Alphons-François de Sade: “Enotea tira fuori un fallo di cuoio e dopo averlo cosparso di olio, pepe in polvere e seme pesto di ortica comincia ad inserirmelo pian piano nel didietro. Subito dopo la crudelissima vecchia mi spalma quell’intruglio sui genitali, mescola succo di nasturzio con abrotano e dopo avermi lavato i genitali con questa miscela prende un fascio di ortiche verdi e comincia a darmi lente frustate dall’ombelico in giù”6.

Tornando ad immagini più usuali, le proprietà medicinali dell’ortica trovano ospitalità anche tra i precetti della Scuola medica salernitana (XII-XIII secolo), che, comunque, nulla aggiunge a quanto detto dai precedenti autori: ”[L’ortica] procura il sonno agli inquieti, elimina pure il vomito e il suo ripetersi, il suo seme con miele cura i sofferenti di coliche. Cura anche la tosse cronica se è bevuto spesso. Elimina il raffreddore, il gonfiore del ventre e giova a tutte le malattie articolari.” 7

Nulla hanno aggiunto (d’altra parte sarebbe stato veramente difficile, anche se non manca qualche criminale che, magari, pretende di guarire con l’ortica anche il cancro, entrando in concorrenza con chi in tempi recenti ha preteso di farlo col bicarbonato… ) neppure gli studi fitoterapici moderni, sicché, per riassumere, la nostra erba è utile per depurare il sangue e la pelle, contro emorragie (emottisi, epistassi, metrorragie), anemia, astenia, diabete, emorroidi, reumatismi, artrite, gotta, disturbi dell’apparato intestinale, per facilitare la diuresi, per aumentare la secrezione della bile e favorire la funzionalità epatica, per aumentare la secrezione lattea, contro il mal di denti e l’afta, contro la calcolosi renale, contro la forfora e la caduta dei capelli, contro l’acne.

Anche in cucina l’ortica si prende la sua brava rivincita nella preparazione di minestroni, zuppe e frittate, anche se pare che la sua morte più gloriosa sia nella preparazione del risotto (solo il comune amico Massimo Vaglio potrà confermarlo o meno).

Non è finita: secca è ottima per l’alimentazione del bestiame, avendo un valore nutritivo superiore a quello del fieno e stimolando, a quanto pare, il sistema immunitario (altro che farina animale…), oltre che in grado di aumentare, come già s’è detto per la donna, la secrezione lattea; piantata con altre specie officinali ne accresce il contenuto di olii essenziali;  è un ottimo fertilizzante e tiene lontani gli afidi.  Fino alla metà almeno del XIX° secolo, infine, se ne ricavava una fibra tessile rozza ma resistente8.

Mi sono accorto che questa integrazione, come il post principale,  rischia di essere un po’ troppo seriosa. La chiuderò, perciò, con un graffito pompeiano; sento il dovere, però, di mettere in guardia il lettore più sensibile (o puritano?) avvertendolo che poi, se continua a leggere, non deve mostrarsi scandalizzato per un gioco di parole, di quasi duemila anni fa, appena appena volgare (roba, comunque, come si diceva una volta, da educande se raffrontata con certa altra spudoratamente presentata in tv e sovente spacciata per arte…).

C.I.L.9, 8899

Questo graffito fu rinvenuto al n. 4 dell’insula 5 della regio 3 sul muro di un edificio sepolcrale. Si tratta di due distici elegiaci, dei quali seguono la trascrizione e la traduzione (trascuro, per questa volta, la scansione metrica):

HOSPES ADHUC TUMULI NI MEIAS OSSA PREC[ANTUR]

NAM SI VIS (H)UIC GRATIOR ESSE CACA

URTICAE MONUMENTA VIDES DISCEDE CACATOR

NON EST HIC TUTUM CULU(M) APERIRE TIBI

O PASSANTE, LE OSSA DEL TUMULU CHIEDONO ANCHE CHE TU NON VI FACCIA SOPRA LA PIPÌ.10

PERCIÒ, SE VUOI FARE COSA PIÙ GRADITA, CACA.

TU STAI VEDENDO IL SEPOLCRO DI ORTICA11:

QUI PER TE NON È SICURO APRIRE IL CULO!

Insomma, l’ortica fu (e forse lo è ancora oggi…)  in grado di ripristinare, col suo energico intervento,  perfino il rispetto dei morti!

_______

1 Antonius Nebrissensis, Dictionarium redivivum, Escribano, Madrid, 1778,  pag. 835, alla voce Urtica: Etiam Urtica genus piscis marini inde nomen habens, quod tactu uredinem excitet, quemadmodum eiusdem nominis herba (L’ortica è anche un genere di pesce marino che prende il nome dal fatto che al tatto procura bruciore, come l’erba che ha lo stesso nome). L’urèdinem del testo è il caso accusativo di urèdo che è dal tema di ùrere (ur-)+il suffisso –edo; se il tema di urèdo fosse stato ured– avremmo potuto ipotizzare la seguente trafila: *urèdica (ured+il suffisso aggettivale –ica)>*urdìca (sincope della sillaba tonica, fenomeno di per sé raro)>urtìca (passaggio –d->-t-), ma il problema è che il tema di urèdo non è ured– ma uredin-. D’altra parte, ad avvalorare l’ipotesi della paretimologia, vengono in soccorso le varianti dialettali salentine ardìca (Alessano e Spongano e Otranto) dove è evidente l’incrocio tra i latini urtìca e ardère=ardere (stesso concetto di ùrere). Ancora più inaccettabile, poi appare la proposta a suo tempo formulata da Francesco Ambrosi, Flora del Tirolo meridionale, Sicca, Padova, 1857, pag. 146: Il nome Urtica deriva dal latino urere (bruciare), e da tactus (tatto), riportandosi al bruciore che produce la pianta toccandola.

2 Nel mondo greco l’ortica era chiamata knide (da knizo=grattare, infiammare, tormentare) o akalèfe (probabilmente parola composta la cui prima parte è da ravvisarsi nell’antica radice ak- indicante cosa che punge).  Vale la pena di riportare solo le testimonianze poetiche. Per la prima:  Teocrito (III° secolo a. C.), Idilli, 7, 110: “Che tu possa grattarti con le unghie tutto il corpo e possa dormire nell’ortica…” e Nicandro (probabilmente II° secolo a. C.), Antidoti, 201-202: “E dopo aver tritato finemente semi di pepe e di ortica, distribuiscili…”. Per la seconda: Aristofane (V°-IV° secolo a. C.), Vespe, 884: “…che tolga l’ortica alla sua ira…”.

3 Carmina, XLIV, 15: XLIV, 13-15 Hic me gravedo frigida et frequens tussis/quassavit usquedum in tuum sinum fugi/et me recuravi otioque at urtica.

4 Saturae, II, 127-128: Unde/haec tetigit, Gradive, tuos urtica nepotes?

5 op. cit., XI, 165-166: inritamentum Veneris languentis et acres/divitis urticae…

6 Satyricon, 138: Profert Oenothea scorteum fascinum, quod ut oleo et minuto pipere atque urticae trito circumdedit semine, paulatim coepit inserere ano meo; hoc crudelissima anus spargit subinde humore femina mea, nasturcii succum cum abrotono miscet perfusisque inguinibus meis viridie urticae fascem comprehendit omniaque infra umbilicum coepit lenta manu caedere.

7 Regimen sanitatis, LXV: Aegris dat somnum, vomitum quoque tollit et usum/illius semen colicis cum melle medetur./Et tussim veterem curat, si saepe bibatur./Frigus pulmonis pellit, ventrisque tumorem,/omnibus et morbis subvenit articulorum.

8 Pietro Monti, Vocabolario dei dialetti della città e diocesi di Como, Società tipografica de’ classici italiani, Milano, 1845, pag. 166, alla voce  Ortichetta: Tela grossolana e brunastra di lino simile alla tela, che si fece talvolta della scorza filata delle ortiche; Francesco Ambrosi, op. cit. in nota 1: I fusti macerati danno un tiglio [fibra] chìè analogo negli usi a quallo della canapa e del lino.

9 Per i non addetti ai lavori: è l’acronimo di Corpus Inscriptionum Latinarum, la più ampia raccolta di iscrizioni latine.

10 L’abitudine degli antichi (?), nonostante, allora come ora,  la legge non lo permettesse, di soddisfare per strada i loro impellenti bisogni è attestata da altri graffiti  e da avvisi ufficiali presenti all’angolo delle strade. Come potevano sottrarsi a questo vizietto i cimiteri che, di regola, erano siti fuori porta? Sull’argomento vedi il post La mondezza a Pompei in http://www.vesuvioweb.com/new/IMG/pdf/La_mondezza_a_Pompei.pdf

11  Il nome, non è, come si potrebbe pensare, inventato per l’occasione come deterrente per l’eventuale maleducato: una Maria Urtica è attestata a Roma (CIL VI, 22200), un Publius Urtica ad Aquino (CIL X, 5536), una Attia Urtica ad Assisi (CIL XI, 5455), e, fuori d’Italia, una Auruncia Urtica in Gallia narbonese (CIL XII, 4598) e Aurelia Urtica in Tripolitania (AE 2003, 1922); attestato, ove non bastasse, anche il diminutivo  Livia Urticula a Roma (CIL VI, 29562). Tutto ciò, naturalmente, rende ancor più pregnante il gioco di parola e più sottile l’ironia cui contribuisce anche la forma poetica del testo che, oltretutto, è la parodia dell’epitaffio posto sul cippo di Giulia Fericula e del marito Evaristo a Roma (CIL VI, 2357): HOSPES AD UNC TUMULUM NI MEIAS OSSA PRECANTUR/TECTA HOMINIS SET SI GRATUS HOMO ES MISCE BIBI DA MI (O passante, le ossa sepolte di un uomo chiedono che tu non orini presso questo tumulo. Se sei un uomo di buoni sentimenti versa (del vino), bevine e offrimene!).

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2 Commenti a Ancora sulle ortiche…

  1. Al nome dialettale neretino dell’ortica, vorrei aggiungere il nome in grico: Chinìta. E Chinìta era il nome di un giornale satirico a Calimera, del dopoguerra.Se non ricordo male era pubblicato nei giorni della festa di san Brizio, protettore di Calimera. A quei tempi ero un bambino e quindi non so bene, ma so che in qualche modo Luigi Aprile , mio padre, entrasse nella redazione del giornale.Grazie per i vostri scritti che leggo da lontano molto volentieri. Valerio

    • La ringrazio per “chinita” (altre varianti “chinida” e “cunida”), anzitutto perché è la prova, ove ce ne fosse bisogno, della potenza della parola, in grado di evocare quando meno te lo aspetti notizie di interesse comune (il giornale satirico) e sentimenti personali (suo padre); e poi perché mi dà l’occasione di integrare la nota 2 dicendo che la voce e le varianti che ho citato sono la continuazione del greco classico “κvίδη” (cnide) che, a sua volta, è dalla radice κvιδ- (cnid-) del verbo “κvίζω” (cnizo)=grattare, provocare, infiammare, a sua volta (e siamo arrivati all’osso …) connesso con “κνάω” (cnao)=grattuggiare. Un saluto da Nardò.

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