Dal tempio di Atena al santuario di Santa Maria di Leuca

 
Apertura della Grotta Porcinara (Punta Ristola presso Santa Maria di Leuca). Ph M. Cavalera

 

DAL TEMPIO DI ATENA AL SANTUARIO DI SANTA MARIA DI LEUCA. FONTI STORICHE E DATI ARCHEOLOGICI SUL PIÚ ANTICO LUOGO DI CULTO DEL CAPO IAPIGIO

 

di Marco Cavalera

La maggior parte delle guide turistiche del Salento, quelle che puntualmente – all’inizio di ogni stagione estiva – fanno la loro comparsa sugli scaffali delle edicole, sulle bancarelle dei mercatini e nelle rinomate, lussuose, colte librerie della Terra D’Otranto, riportano la notizia che il Santuario di Santa Maria de Finibus Terrae – sul Promontorio di Punta Meliso (ad est di Leuca) – è stato edificato su un preesistente tempio dedicato a Minerva.

Si tratta di una tradizione storica che affonda le sue origini ai tempi del poeta Virgilio il quale, nel Terzo Libro dell’Eneide (vv. 835-842), localizzava lo sbarco di Enea presso un “[…] porto che si curva in arco contro il mare d’oriente, due promontori schiumano sotto l’urto delle onde e il porto vi sta nascosto; gli scogli come torri proiettano due braccia che sembrano muraglie; il tempio è lassù in alto, ben lontano dal mare […]”, senza tuttavia fare alcun riferimento al Promontorio di Leuca.

Alcuni secoli dopo il geografo greco Strabone scrive: “[…] dicono che i Salentini siano coloni dei Cretesi; presso di loro si trova il Santuario di Atena, che un tempo era noto per la sua ricchezza, e lo scoglioso promontorio che chiamano Capo Iapigio, il quale si protende per lungo tratto sul mare in direzione dell’Oriente invernale, volgendosi poi in direzione del Lacinio […]” (Geografia, VI 3, 5-6). Anche da questa fonte non si può stabilire l’effettiva localizzazione del tempio pagano sul promontorio ad est di Leuca.

La tradizione dei scrittori latini e greci è stata ripresa da uno storico locale vissuto tra il XV e il XVI secolo, Antonio De Ferrariis detto il Galateo, che, nella sua opera De situ Japygie – pubblicata postuma nel 1558 – identifica il Promontorio Iapigio con la sede di un antico culto pagano, praticato con grande devozione[1].

Un secolo e mezzo dopo Luigi Tasselli, nel libro Antichità di Leuca (1693), scrive: “[…] In Leuca vi era, come tante volte si è detto, il Tempio della Dea Minerva, la quale con le buone qualità, e virtù, che le fingevano i Gentili, era ombra delle vere preeminenze della Gran Madre di Dio; or essendo uso degli Apostoli pratticato da’ loro successori, tolte via quelle ombre del Gentilesimo (Paganesimo), far subito adorare da’ convertiti Christiani verità, che potevano essere ombregiate da quelle antiche loro osservanze, acciò invogliati vie più dalla facilità, delle loro osservanze antiche, potessero impiegare quelle in buoni usi, appigliarsi à riverire quello in fatti doveva essere adorato secondo Dio: adunque per tutte le suddette ragioni i Discepoli di San Pietro, morta la Beata Vergine, e tolto via il falso simulacro di Minerva, subito eressero la sua Chiesa con l’imagine di Maria per esser adorata da’ Leuchesi in quella Città, protestando, che tutto quello fingevano di Minerva i Gentili era con verità in Maria, degna di esser honorata da tutti […]”.

L’immagine del presunto tempio di Minerva a Leuca è riprodotta su una tela del pittore Pietro De Simone, che raffigura l’Apostolo San Pietro nell’atto di elevare la Croce di Cristo sul luogo in cui ora sorge il Santuario di Finibus Terrae, considerato il suo primo approdo in Occidente. In occasione di quell’evento, datato al 43 d.C., il tempio pagano venne trasformato in luogo di culto cristiano: l’Apostolo, infatti, avrebbe collocato un’immagine di Cristo e celebrata la prima messa. Il tempio, quindi, sarebbe stato dedicato inizialmente al Salvatore e, in un secondo momento, a Maria[2].

Santa Maria di Leuca. Promontorio Punta Meliso. Ph N. Febbraro.

Sull’esistenza del tempio pagano e sul leggendario passaggio dell’Apostolo Pietro si è poi sviluppata una fervida tradizione storica, che si tramanda ancora oggi nei libretti a carattere turistico-religioso.

In realtà, come scrive Andrea Chiuri nel libro “Pellegrini a Leuca. 2000 anni di storia”, non esistono documenti archeologici che attestano la reale presenza del santuario dedicato ad Atena sulla Punta Meliso, la cui localizzazione “è quindi una notizia falsa, che tuttavia ha permesso di creare un collegamento tra antico e moderno in grado di conferire a Leuca un ruolo primario come base dell’evangelizzazione, accrescendo enormemente il suo prestigio[3].

Gli scavi archeologici, svoltisi sulla Punta Meliso di Leuca negli anni ’70 del secolo scorso, hanno permesso di scoprire un insediamento fortificato, che si è sviluppato dalla prima età del Bronzo all’età del Ferro, ma non evidenze relative a luoghi di culto.

Alla luce di queste indagini archeologiche, quindi, occorre individuare il promontorio della penisola salentina, chiamato in causa dalle fonti antiche, su cui si trovava il tempio di Atena.

Recenti scavi archeologici, effettuati sulla sommità del promontorio di Castro e condotti da Francesco D’Andria, hanno portato alla luce interessanti reperti, tra cui una metopa decorata da un triglifo, attribuibile ad un tempio che sorgeva, probabilmente, sull’acropoli della cittadella messapica. Nel 2008, nella stessa area di scavo, è stata casualmente rinvenuta una statuetta bronzea raffigurante Atena Iliaca con l’elmo frigio, che ha consentito di identificare il tempio con quello dedicato ad Atena.

Il tempio attribuibile al culto di Atena, per concludere, sorgeva sul promontorio di Castro e non su quello di Punta Meliso, nei pressi di Leuca.

Se – da un lato – l’Archeologia ha smentito le fonti storiche, relativamente alla presenza di un luogo di culto pagano sulla Punta Meliso, la stessa disciplina ha permesso di localizzare un santuario costiero nei pressi di una cavità naturale, localmente conosciuta come Grotta Porcinara, che si apre sul versante orientale di Punta Ristola, ossia il promontorio che cinge ad ovest la baia di Leuca. Si tratta di un’area cultuale che ha rivestito un ruolo di primissimo piano nell’ambito delle manifestazioni cultuali messapiche e dei rapporti commerciali con il mondo ellenico.

La divinità venerata era Zis[4], rappresentata con la folgore, alla quale si rivolgevano i naviganti in cerca di protezione per la loro attività: il dio infatti, secondo gli indigeni, era in grado di dominare le forze atmosferiche e di rendere propizia la navigazione.

I fedeli giungevano presso l’area antistante la grotta-santuario direttamente dal mare, attraverso scalinate e terrazzi tagliati nella roccia.

Nelle prime fasi di frequentazione del luogo di culto (fine VIII secolo a.C.) venne impiantato un deposito votivo, in uso fino alla metà del VI secolo a.C., che conservava al suo interno resti di sacrifici.

In piena età arcaica le attività di culto sembrano spostarsi all’interno della Grotta Porcinara. Sulle sue pareti sono state individuate ben 27 tabelle, con iscrizioni in greco e in latino, in cui compaiono dediche, ringraziamenti, richieste di protezione e di fortuna rivolte alla divinità.

Il santuario – quindi – localizzato lungo l’importante rotta che dall’Oriente portava verso la Magna Grecia, era un punto di riferimento per coloro che praticavano attività legate al mare, la cui buona riuscita era sottoposta alla benevolenza degli dei[5].

Il santuario costiero è stato frequentato sino alla fine del II sec. d.C., periodo in cui il culto cristiano inizia gradualmente a sostituire quello pagano, conservando però lo stesso significato religioso: nella concezione pagana, Giove (Iuppiter) salvava i naviganti dai naufragi e dal mare in tempesta; nella devozione cristiana, Gesù Cristo – il Salvatore – salva gli uomini dal peccato.

 

Bibliografia:

Aa.Vv., Salento. Architetture antiche e siti archeologici, a cura di A. Pranzo, Lecce, 2008, pp. 222-224.

Aa.Vv., Leuca, Galatina, 1978, pp. 177-221.

Auriemma R., Salentum a salo. Forma maris antiqui, (Vol. I), Galatina, 2004, pp. 289-291.

Cavalera M., Antica Messapia. Popoli e luoghi del Salento meridionale nel I millennio a.C., Modugno (Ba), 2010, pp. 46-47.

Chiuri A., Pellegrini a Leuca. 2000 anni di storia, Tricase, 2000.

D’Andria F., Cavallino. Un centro indigeno del Salento, 2002, pp. 1-10.

D’Andria F., Lombardo M., I Greci in Terra d’Otranto, Martina Franca (Ta), 1999, pp. 30-33.

Sarcinella E., La via dei Pellegrini. L’antico Cammino leucadense riproposto nel III millennio da Speleo Trekking Salento, Lecce, 2000, pp. 106-107.

Zacchino V., Antonio Galateo De Ferrariis. Lecce e Terra D’Otranto. La più antica guida del Salento, Galatina, 2004, p. 66.


[1] Zacchino 2004, p. 66.

[2] Chiuri 2000,  p. 17.

[3] Chiuri 2000, p. 15.

[4] Zis è il teonimo messapico che corrisponde al greco Zeus. Il nome, nelle iscrizioni, è associato all’aggettivo Batas (saettante).

[5] Cavalera 2010, pp. 46-47.

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4 Commenti a Dal tempio di Atena al santuario di Santa Maria di Leuca

  1. Opera da citare e leggere:
    http://www.micello.it/wordpress/?p=3064 (Castrum Minerva – Francesco d’Andria)
    Virgilio è un instancabile viaggiatore, non a caso muore a Brindisi durante un viaggio in Grecia. La conoscenza diretta dei luoghi lo aiuta tantissimo a creare le “locations” del suo poema più noto. Così come racconta la Grecia del suo tempo, o la colonia romana di Butrinto (sempre però riprendendo o imponendo una leggenda più antica, per cui Butrinto la dice fondata da troiani, e i salentini un popolo di origine cretese da cui guardarsi), così racconta i luoghi dello sbarco in Italia. E la leggenda vuole che Castro e Lecce siano considerate città cretesi; nella mappa di Soleto, Castro ha addirittura il nome di Lictius Idomeneo famoso e tragico re cretese (LIK).
    Anche la rotta di Enea è quella molte volte fatta da Virgilio in persona, la più sicura e praticata. In pratica, risalire sempre la costa greca e albanese abbastanza a nord, fino a Butrinto, e poi solo allora lanciarsi nella traversata. Solo così, in presenza di tramontana, si era sicuri di non mancare la costa salentina e finire in pieno Mediterraneo. Virgilio, poi, descrive il doppiaggio del Capo di Leuca, le erculee fortficazioni di Taranto, e via via per posti che conosce benissimo per essersi fermato personalmente nei suoi viaggi.
    Credo che, in questa chiave, vada cercato un posto che avesse un tempio già famoso prima della dominazione romana e ancora presente al tempo di Virgilio. Queste due condizioni si ritrovano, secondo Francesco D’Andria, solo sul promontorio di Castro. Non solo, i messapi non costruivano templi (dorici) e la conferma del culto di Atena in Castro con la scoperta di architetture doriche ha lasciato all’inizio perplessi in molti. Ma tutto il materiale ritrovato sta portando a pensare Castro, già forse cretese di origini, come un avamposto della potentissima Taranto sull’Adriatico.

    • Gentilissimo Angelo,
      concordo pienamente con quanto hai scritto nel commento di replica e, in particolare, riguardo alla conoscenza diretta del territorio che ha permesso a Virgilio di scrivere, in modo così dettagliato, la rotta di Enea.
      Il celebre passo di Virgilio, del terzo libro dell’Eneide, ha indotto molti storici locali, a partire dal ‘500, a voler individuare a tutti i costi, e con molte forzature, la “location” dello sbarco di Enea in una baia della costa adriatica salentina, caratterizzata dalla presenza di un tempio dedicato ad Atena. A tal proposito si è scritto di: Porto Badisco, Leuca, Portus Veneris (Tricase Porto), ecc. Ma i dati archeologici – emersi a seguito delle indagini, condotte sapientemente da F. D’Andria e, di recente, pubblicate nel volume Castrum Minervae – portano a ritenere il promontorio di Castro come la sede dello sbarco di Enea, raccontato da Virgilio (o meglio ancora del luogo scelto da Virgilio come sede dello sbarco dell’eroe troiano).
      Tuttavia, la motivazione che ha indotto il sottoscritto a scrivere questo breve articolo non è quella di avvalorare la presenza del tempio di Atena a Castro (credo ormai fuori discussione), ma di mettere in dubbio l’esistenza del suddetto tempio sul promontorio di Punta Ristola, a Leuca, anch’esso oggetto di intensive campagne di scavo archeologico, che hanno permesso di rinvenire un villaggio dell’età dei Metalli, ma nessuna traccia di luoghi di culto di età classica.
      Ma, nonostante ormai siano trascorsi trent’anni dall’edizione del libro “Leuca”, curato da archeologi del calibro di Pagliara, D’Andria, Adamesteanu, Cremonesi, Giardino, ecc., ancora oggi, nel 2010, si pubblicano guide turistiche (ma anche libri di storia locale), in cui si colloca il tempio di Minerva su Punta Ristola, perpetuando la superata tradizione storica risalente al XVI secolo, omettendo – o meglio ignorando – le importantissime acquisizioni scientifiche e l’accurato lavoro di professionisti – gli archeologi – che tra mille difficoltà e diffidenze contribuiscono ogni giorno a dare “voce” al nostro illustre passato.

  2. Errata corrige: i versi del III libro dell’Eneide cui si fa riferimento sono i versi 533-536. Grazie

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