Viaggio a Presicce, città degli ipogei

Piazza Villani

testi e foto di Gianluca Ciullo

I luoghi del cuore sono sempre cari ed appaiono agli occhi di chi li percorre belli e a volte unici, ma obiettivamente il piccolo borgo di Presicce è un prezioso scrigno di architettura gentile come il Basso Salento che lo ospita. Un concentrato di edilizia religiosa, nobile, gentilizia e “a corte” che è difficile riscontrare comunemente in un’estensione di territorio così modesta.

Nulla è casuale, la sua storia l’ha reso possibile.

Palazzo ducale Paternò è stato da sempre la residenza dei feudatari che si succedettero. Dell’antica  torre di difesa è rimasto solo un richiamo nella merlatura neoguelfa che il duca Pasquale Paternò fece apporre sull’ormai residenza gentilizia agli inizi del novecento. Era il 1630 quando la principessa Maria Cyto Moles lo modificò secondo l’attuale fisionomia, arricchendolo di un meraviglioso giardino pensile e della cappella dell’Annunziata.

il giardino pensile del palazzo

I Cyto non godevano di particolari privilegi, spesso oppressivi per la popolazione locale come accadeva nel resto del Mezzogiorno feudale. Liberi erano i mulini, i forni e i frantoi appartenenti ai privati. Ancora libera era l’elezione del sindaco senza il consenso del feudatario così come quella del parroco. Tale assenza di privilegi consentì di creare condizioni particolarmente favorevoli tra ceto popolare e borghese, dediti pertanto, non solo al lavoro dei campi ma anche e soprattutto all’artigianato ed all’arte.

Piazza Villani con la colonna su cui è posta la statua di S. Andrea

Questo consentì di attrarre l’interesse economico di molti nobili, baroni, e ricchi possidenti che immigrarono fornendo al paese giureconsulti, medici, notai e letterati. I Giuranna di origine veneta, i Pepe fiorentini, i Cara foggiani, gli Alfarano baroni di Lucugnano, i Balsamo baroni di Corigliano e poi ancora i Villani, i Cara, i Grezio, gli Adamo, i Cesi, i Seracca, gli Alberti.

Fu così che nell’arco di due secoli si susseguirono edificazioni di grande pregio, residenze gentilizie lontane dallo sfarzo barocco leccese, ma comunque in grado di esprimere eleganza sulle quinte stradali e al tempo stesso custodire splendidi corti e giardini che ancora oggi conservano intatta l’intimità di un tempo e alcune testimonianze di importanza rilevante come due torri difensive cinquecentesche.  Ma la famiglia che ha dato più lustro è stata quella dei marchesi Arditi di Castelvetere. Si trasferirono a Presicce ma vissero in stretta simbiosi con la città di Napoli, dove, il capostipite del ramo presiccese della famiglia, Michele Arditi, giureconsulto, archeologo, scienziato, musicista, fondò il Museo Archeologico. Successivamente Giacomo Arditi  fu autore della celebre “Corografia Fisica e Storica della Provincia di Terra d’Otranto”, minuziosa opera che censisce arte, cultura e caratteri sociali ed antropologici di tutti i centri della Terra d’Otranto di metà Ottocento. Fu anche il fautore della trasformazione di Leuca da importante luogo esclusivamente di culto a elegante località balneare di vacanza, al cui noto carattere spiccatamente eclettico contribuì in modo determinante il nipote, architetto Carlo Michele Arditi, progettando numerose ville per la borghesia salentina. L’intero paese è ancor oggi segnato dall’operato di questa importante famiglia in modo a volte esaltante come nel neogotico Castello Arditi oppure nel gioiellino barocco della cappella di famiglia, nota come “Cappella di San Luigi degli Arditi”, il cui ingresso fronteggia quello del palazzo originario del seicento.

prospetto della cappella di San Luigi

Presicce non è solo espressione di trascorso benessere ma, percorrendo le sue strade del centro antico, si può godere di una quiete di altri tempi. Un luogo in cui ancora, soprattutto gli anziani amano riposarsi sull’uscio delle loro sobrie case contadine, per strada, e sempre allo stesso modo coltivare rapporti di buon vicinato durante le lunghe serate estive. E’ un modo di vivere proprio di quest’ultima generazione di anziani e destinata a scomparire con loro.

La chiesa matrice è intitolata al protettore Sant’Andrea Apostolo. Sull’antistante piazzetta Villani si erge la statua del santo in cima a una colonna con fine basamento e balaustra con agli angoli quattro figure femminili che rappresentano le virtù cardinali. Il santo volge lo sguardo non alla chiesa, di cui è titolare, ma alla sequenza dei palazzi nobiliari disposti lungo via Michele Arditi. Riedificata al termine del settecento in uno stile “barocco discreto” custodisce opere dei massimi esponenti della pittura settecentesca di Terra d’Otranto come il Tiso, il Coppola e la Lillo. Della chiesa preesistente si conserva il pregevole campanile cinquecentesco.

Altre sono le testimonianze significative di edifici religiosi come la Chiesa del Carmine con il suo sfarzoso altare barocco, il pavimento maiolicato policromo ed il coro settecentesco realizzato dal maestro Pirti, ed ancora la Chiesa di S. Maria degli Angeli con l’annesso convento seicentesco dei Padri Riformati, nel cui complesso si possono ammirare interessanti affreschi ed un altare ligneo di maestosa e pregevole fattura. Il complesso è nell’originario sito della contrada Pozzomauro, una di quelle dalla quale ha avuto origine l’attuale borgo. A testimoniarlo è la cappella rurale “Madonna “de lu ritu” con annesso ipogeo, uno dei tanti siti rupestri di culto dell’area, attorno ai quali si insediarono le comunità basiliane. Tale fenomeno ha avuto un’evoluzione storica anche nel centro cittadino in modo sorprendente al punto da far riconoscere oggi a Presicce il nome di “Città degli ipogei”. Nel seicento i frantoi ipogei, detti trappeti, scavati lungo i principali assi viari, in corrispondenza dei palazzi erano ben 23, 17 padronali e 6 baronali,. Oggi molti di questi sono stati recuperati e sono visitabili. Costituiscono insieme al Museo della Civiltà Contadina, ospitato nel Palazzo Ducale Paternò, un’importante testimonianza di vita e di strumenti di lavoro del passato. Quel passato che rese, alla fine del seicento, Presicce la città più ricca del Capo di Leuca grazie alla produzione di olio che veniva commercializzato in tutta Europa partendo dal porto di Gallipoli. L’evoluzione tecnologica per la produzione dell’olio richiedeva spazi più ampi di lavorazione. I trappeti esistenti purtroppo non potevano essere modificati perché scavati nel tufo calcareo e incastrati l’un l’altro. Tale motivo decretò nell’Ottocento la fine di un’importante epoca economica legata a tale produzione, che dovette fare i conti anche con i notevoli cambiamenti sociali.

Ancora oggi Presicce, accerchiata in estate da località balneari che pullulano di turisti, e che si riversano numerosi in occasione dell’ormai annosa apertura dei cortili dei palazzi storici, conserva una sua identità forte e quieta con le sue strade assolate e silenziose, con i suoi pini ad ombrello, quasi sorrentini, che svettano su una distesa infinita di ulivi secolari argentati dal vento che delimitano le serre dalla vallata in cui si adagia la cittadina.

Oltre i pendii delle serre una campagna lussureggiante tracciata da una infinità di muretti a secco e pajare, oggi memori solitarie del duro lavoro di un tempo e poi, ancora una volta loro, i possidenti che a breve distanza ripropongono le loro residenze estive di campagna, anch’esse sobrie ma sempre dichiaratamente gentili.

I presiccesi sono detti “Mascarani”, appellativo attribuito quando nel 1605 durante i festeggiamenti del Carnevale fu ammazzato il principe Carlo Bartilotti mentre era affacciato alla finestra del suo palazzo. La leggenda vuole che l’efferato delitto fu compiuto per liberarsi del feudatario che si avvaleva dello ius primae noctis, probabilmente si trattò invece di un complotto per liberarsi dell’unico feudatario tiranno che la città ricordi.

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7 Commenti a Viaggio a Presicce, città degli ipogei

  1. un paio di precisazioni, visto che mi occupo del settore e di Presicce stesso:

    l’avvenimento riportato in finale d’articolo risale al 1655 e non al 1605;
    il nipote di Giacomo Arditi fu l’architetto Carlo Luigi e non Carlo Michele;
    i frantoi di Presicce sono sì 23, ma è un numero che meriterebbe qualche studio in più, dato che secondo fonti catastali, alcuni sono andati persi e altri probabilmente non sono mai stati ritrovati; ma secondo l’Archivio di Stato di Lecce, il numero è cresciuto nel tempo da fine ‘600 a inizio ‘800, mentre i dati che voi riportate sono purtroppo quelli forniti un cinquantennio fa dal Sigliuzzo, utili a loro modo, ma ormai sorpassati, viste le ultime ricerche.

    Un buon articolo nel complesso!

  2. bell’articolo, che sintetizza nel modo migliore le bellezze di Presicce.
    E’ un paese da visitare…rimarrete affascinati.

  3. Sono stato a Presicce quest’anno, in occasione di una mia vacanza nel Salento (in effetti è la terza volta che torno nel “tallone d’Italia” dal 2006), alloggiavo a Salve e nel corso di 2 serate (il 5 e il 17 Agosto) ho visitato la cittadina, i suoi frantoi e i suoi palazzi rimanendone affascinato, anzi conquistato, sia per la bellezza e l’eleganza della cittadina che per l’ospitale cordialità dei suoi abitanti, cosa peraltro riscontrata in tutto il Salento. Consiglio vivamente una visita a Presicce e ad altre cittadine limitrofe: Acquarica, Specchia, Alessano.

  4. Meravigliosa terra d’origine lontana dagli occhi ma non dal cuore. Forse presto riuscirò ad esaudire il desiderio di conoscere e, chissà..! forse anche vivere là dove padre, nonni e bisnonni hanno vissuto. In ogni caso, grazie a voi per il ricco racconto e le belle immagini.

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