Da Plinio agli Autori contemporanei. Tutto sul prezzemolo

di Armando Polito

immagine tratta da http://it.wikipedia.org/wiki/File:Parsley_bush.jpg

nome scientifico: Petroselinum crispum (Mill.) A. W. Hill

famiglia: Apiaceae

nome italiano: prezzemolo

nome dialettale neretino: pitrusìnu

 

Etimologie: Petroselìnum è il nome latino della nostra pianta, dal greco petrosèlinon, composto da petra=pietra e sèlinon=sedano: sedano che cresce tra le pietre;  crispum significa ricciuto (con riferimento alla forma delle foglie); Apiaceae è forma aggettivale da àpium=sedano; prezzemolo è fatto derivare da un latino *petrosèmolu(m), inteso come deformazione del citato petroselìnum1; pitrusìnu si direbbe da quest’ultimo attraverso la trafila *pitruselìnu> *pitruslìnu>pitrusìnu; tuttavia, siccome per la sincope di –l– non trovo altri riscontri, è più probabile che sia diminutivo di pietroso (*pietrosìno>*petrosinopitrusìnu), come la voce di basso uso petrosèllo che è dal latino medioevale petrosìllu(m).

Plinio (I° secolo d. C.): “Di altro genere alcuni chiamano prezzemolo quello nato tra i sassi, particolarmente indicato contro gli ascessi con l’aggiunta di due cucchiai del suo succo in un bicchiere di succo di marrobio, il tutto in tre bicchieri di acqua calda. Alcuni vi hanno aggiunto il buselino che differisce dal coltivato per la brevità dello stelo e per il colore rosso della radice, ma ha lo stesso effetto. Dicono che bevuto o applicato come cataplasmo è efficace contro i serpenti”2;

“Ai dolori del fegato (giova) il fegato secco del lupo con vino mielato; il fegato secco dell’asino con due parti di prezzemolo, tre noci, pesto col miele e mangiato”3; ”Il castoreo [sedativo tratto dal castoro] col seme del dauco e del prezzemolo quanto se ne può prendere con tre dita, con quattro bicchieri di vino mielato caldo (risolve) le occlusioni intestinali e la flatulenza”4.

Apicio (I° secolo d. C.) nel De re coquinaria inserisce il prezzemolo, naturalmente come erba aromatica, in un numero tanto sconfinato di ricette che, più per brevità che per non far torto a nessuna, non ne riporto nemmeno una.

Columella (I° secolo d. C.): “L’erba scura5 che alcuni dei greci chiamano prezzemolo, parecchi smirneo, deve essere piantata per seme in un terreno zappato, soprattutto nelle vicinanze di un muro a secco, poiché preferisce l’ombra e sta bene in qualsiasi posto; quando lo hai piantato per la prima volta se non lo togli tutto dalle radici ma lasci che le altre piante producano il seme rimane nel tempo e richiede solo una moderata sarchiatura. Si pianta dai Vulcanali6 fino al primo giorno di settembre, ma anche nel mese di gennaio”7.

Isidoro di Siviglia (VI°-VII° secolo d. C.): “Del genere del sedano solo il prezzemolo, l’ipposelino e l’oleoselino. Il prezzemolo è chiamato così perché è simile al sedano e nasce tra le pietre e sui monti scoscesi. Potremmo chiamarlo sedano della pietra. Infatti il sedano in greco si chiama selinon. Ma il più rinomato e considerato è il macedonico, dal gusto soave e dall’odore aromatico. L’ipposelino8 si chiama così poiché è duro e aspro, l’oreoselino9 perché ha la foglia più delicata e il gambo tenero”10.

Passo agli autori greci.

Dioscoride (I° secolo d. C.) questa volta si dilunga molto più di Plinio:”Il sedano montano, che alcuni chiamano prezzemolo selvatico, gli Egizi anoni) ha lo stelo alto nove pollici, che sorge singolo da una gracile radice. Lo circondano rametti e testoline simili alla cicuta, ma molto più sottili, col seme allungato, aspro, sottile, profumato, simile al cumino. Nasce in luoghi rocciosi e montuosi. Il frutto e la radice hanno il potere di stimolare la diuresi se bevuti nel vino e favoriscono pure i mestrui. Entra come componente nella preparazione di antidoti e di medicine diuretiche e riscaldanti. Bisogna non farsi ingannare credendo che sia l’oreoselino che cresce sulle rupi: infatti altra cosa è il prezzemolo. Il sedano che chiami prezzemolo cresce in Macedonia in luoghi scoscesi. Ha il seme simile all’ammos, ma più profumato, acre e molto aromatico. Stimola la diuresi e i mestrui, giova contro i gonfiori dello stomaco e dell’intestino e contro il mal di pancia ed è efficace nei dolori del fianco, dei reni e della vescica assunto come bevanda. Viene messo anche nelle medicine che stimolano la diuresi. L’ipposelino alcuni lo chiamano grielo, altri agrioselino, altri ancora smirnio, i Romani cavolo scuro, sebbene altra cosa sia lo smirnio del quale stiamo per parlare. È più grande e più bianco del sedano coltivato, il gambo è concavo, lungo, tenero e filamentoso, le foglie sono più larghe, tendenti al purpureo, sulle quali c’è la chioma come di libanotide [rosmarino], piena di fiori che formano corimbi prima di sfiorire. Il seme è nero, oblungo, solido, acre ed aromatico, la radice altrettanto profumata, bianca, gustosa, grassa al punto giusto. Nasce in luoghi ombrosi e presso le paludi. Si mangia come una verdura, come il sedano. Infatti anche la radice cruda o cotta è commestibile da sola e viene preparata pure coi pesci. Cruda viene condita con acqua salata. Il seme bevuto con vino mielato ha la forza di stimolare i mestrui e bevuto o applicato come cataplasmo riscalda gli assiderati e aiuta la diuresi. La radice ha lo stesso effetto. Lo smirnio che in Cilicia chiamano prezzemolo nasce abbondante sul monte Amano. Ha il gambo del sedano e molti rami, le foglie sono più larghe, quelle che si piegano a terra un po’ lucide, robuste, di odore gradevole con una certa asprezza e con proprietà curative, giallastre. Reca in cima un ombrellino simile all’aneto; il seme è rotondo, simile al cavolo, nero, acre, col sapore di mirra, cosicché si possono sostituire vicendevolmente. La radice è acre, profumata, molle, succosa, aspra al gusto, la corteccia è nera all’esterno, all’interno pallida o quasi bianca. Nasce in luoghi rupestri, colli aridi e angoli incolti. Hanno proprietà la radice, il fusto e le foglie e pure il seme genera calore. Le foglie condite con acqua salata vengono consumate come verdura e bloccano la diarrea. La radice bevuta giova contro il morso dei serpenti, mitiga la tosse e le difficoltà di respirazione e favorisce la diuresi; applicata fa rientrare i gonfiori recenti, le infiammazioni e le rigidità e fa cicatrizzare le ferite; bollita e applicata procura l’aborto. Il suo seme giova alle malattie dei reni, della milza e della vescica, favorosce il ciclo mestruale e l’espulsione della secondina. Viene opportunamente somministrata col vino contro i dolori dell’anca e mitiga la flatulenza, stimola pure la sudorazione e il rutto. In modo particolare viene data da bere contro l’idropisia e le febbri ricorrenti”11.

Galeno (II°-III° secolo d. C.) a quanto detto da Dioscoride aggiunge: “Dunque di quei rimedi che alcuni sogliono consigliare contro le malattie artritiche e che hanno senz’altro efficacia, tu fa uso pure quando curerai l’obesità. Questi sono certamente il seme della ruta, soprattutto quella selvatica con gli stessi corimbi e l’aristolochia rotonda e meno il centaurio e la genziana e il polio, inoltre tra quelli che favoriscono la diuresi i più potenti, come il prezzemolo”12.

Se nella produzione scientifica il prezzemolo trova, come abbiamo visto, ampia ospitalità fin dai tempi antichi, bisogna attendere più di un millennio per vederlo celebrato, quasi sempre in compagnia di altre erbe, in quella letteraria:

Domenico di Giovanni, aliasil Burchiello (XV° secolo): “La volpe e ‘l lupo e l’asin sì pregiato,/fecero insieme lega e compagnia,/e navicando per mercatanzia,/el mar si fu con lor molto crucciato./Disse la volpe: – Quest’è per gran peccato –:/allora il lupo: – Deh, confessianci ‘n pria,/e colui, in cui si truova più follia,/subitamente in mar sarà gittato –./Dice la volpe: – L’ ho morto alcun pollo –,/e ‘l lupo fu a seguitare accorto:/– Ed io mi son di pecora satollo –./E l’asin dice: – L’ ho roso nell’orto/del prezzemolo assai, sanza alcun crollo,/e quando posso con esso mi conforto –./– E tu debbi esser morto: –/disse la volpe, come rea e falsa– tu hai mangià con che si fa la salsa –“13.

Pietro Aretino (XVI° secolo): “Dove il monte si sedea, era uno orticello al quale i rosai facevano muricciuolo, che avea la porticella di verghe di salci intrecciate con la sua chiave di legno: e in tutto un dì non so si saria nel suo seno trovato un sassolino, sì bene lo tenea mondo il romito. I quadretti dello orto, diviso da alcune belle viette, erano pieni di varie erbe: qua lattuche crespe e sode, là pimpinelle fresche e tenere; alcuni erano di aglietti che il compasso non ne potria né levare né porre; altri dei più bei cavoli del mondo; la nepitella, la menta, lo aneto, la magiorana e il prezzemolo aveano anche loro il luogo suo nel giardinetto, in mezzo del quale facea ombra un mandrolo di quelle grandi sanza pelo. E per alcuni viottoli correva acqua chiara che usciva di una vena fra pietruzze vive dal piede del monte, che zampillava fuora tra le erbette…”…”E saziateci di una cenetta di mille frascherie, di fegati, ventricchi, colli e piedi di polli, con prezzemolo e pepe in insalata, e quasi un cappone freddo, ulive, mele rose, col raviggiuolo e cotognato per acconciarsi lo stomaco, e confetti per farci buon fiato, si mandò…”14; “E venendosene senza essi a casa del fornaio, entrato in una di quelle rabbie che entrano ne la testa di coloro che son rimasti in asso bontà de l’asso, colta a la fegatella la cagion del petorsello15 (o “prezzemolo” che lo chiamino le savie sibille), la ruppe tutta col bastone, e poi con una precissione di pugni la sospinse giù per la scala.”16

Giovan Battista Basile (XVI° secolo): Era na vota na femmena prena chiammata Pascadozia, la quale, affacciatose a na fenestra che sboccava a no giardino de n’orca, vedde no bello quatro de petrosino, de lo quale le venne tanto golio che se senteva ashievolire: tanto che, non potenno resistere, abistato quanno scette l’orca, ne cogliette na vrancata. Ma, tornata l’orca a la casa e volenno fare la sauza, s’addonaie ca ‘nc’era menata la fauce e disse: -Me se pozza scatenare lo cuollo si ‘nce ‘matto sto maneco d’ancino e non ne lo faccio pentire, azzò se ‘mpara ogne uno a magnare a lo tagliero suio e no scocchiariare pe le pigniate d’autre-. Ma continovanno la povera prena a rescendere all’uorto, ‘nce fu na matina ‘mattuta da l’orca, la quale, tutta arraggiata e ‘nfelata, le disse: -Aggiotence ‘ncappata, latra mariola! e che ne paghe lo pesone de sto uorto, che viene co tanta poca descrezzione a zeppoliare l’erve meie? affé, ca non te mannarraggio a Romma pe penetenzia!-. Pascadozia negrecata commenzaie a scusarese, decenno ca no pe cannarizia o lopa c’avesse ‘n cuorpo l’aveva cecato lo diascance a fare st’arrore, ma ped essere prena e dubetava che la facce de la criatura non nascesse semmenata de petrosine; anze deveva averele grazia che no l’avesse mannato quarche agliarulo. -Parole vo’ la zita!- respose l’orca, -non me ‘nce pische co sse chiacchiare! tu hai scomputo lo staglio de la vita si non prommiette de dareme la criatura che farrai, o mascolo o femmena che se sia-. La negra Pascadozia, pe scappare lo pericolo dove se trovava, ne ioraie co na mano ‘ncoppa all’autra e cossì l’orca la lassaie scapola. Ma, venuto lo tiempo de partorire, fece na figliola cossì bella, ch’era na gioia, che pe avere na bella cimma de petrosino ‘m pietto la chiammaie Petrosinella… venne l’ora appontata e lo prencepe se consignaie a la torre, dove, fatto calare a sisco le trezze de Petrosinella e afferratose a doi mano, disse: «Aisa!»; e tirato ‘ncoppa, schiaffatose pe lo fenestriello drinto la cammara, se fece no pasto de chillo petrosino de la sauza d’Ammore e — ‘nante che lo Sole ‘mezzasse li cavalle suoie a sautare pe lo chirchio de lo Zodiaco — se ne calaie pe la medesema scala d’oro a fare li fatte suoie.”17;  “…sfacciato, petrosino d’ogne sauza18,che vo’ mettere sale a quanto vede, che vo’ dare de naso a quanto sente…”19

Nicolò Franco (XVI° secolo): “E talché dentro non prosuma alcuno/di rubbargli la menta, e ‘l petrosino,/a quanti ne verranno nel giardino/vorrà cercar le braghe, ad uno ad uno.”20

Tommaso Campanella (XVI°-XVII° secolo: “Usano assai l’odori: la mattina, quando si levano, si pettinano e lavano con acqua fresca tutti; poi masticano maiorana o petroselino  o menta, e se la frecano nelle mani, e li vecchi usano incenso…”21

Vincenzo Monti (XVIII° secolo): “Ho messo il capo fuori della finestra, ed ho salutato il sole che scappa dal Colosseo22, e va scacciando la nebbia che gli manda incontro quest’orto, come un incenso. E sembra veramente tale, perché è tutta impregnata dell’odore di prezzemolo, di salvia e d’insalatina, che sono la ricchezza di quest’orto, confusi con una gran moltitudine di broccoli e di carciofi, che crescono colla benedizione del sole e di S. Francesco, e sono il primo fondamento della enorme vegetazione di questi frati…”23

Passando alla contemporaneità segnalo Il prezzemolo e la bicicletta, uno dei racconti del volume Ogni notte un sogno di Giuseppe D’Ambrosio Angelillo, Piccola casa editrice Acquaviva, 2010, interamente consultabile (il racconto in questione è a pag. 112; avverto, comunque, che ognuno è l’unico responsabile della propria curiosità…) all’indirizzo

http://books.google.it/books?id=Cw6Y5m6fOZ8C&pg=PA112&dq=prezzemolo&hl=it&ei=anD7TefeHsrHsgalmf19&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=5&ved=0CEgQ6AEwBA#v=onepage&q=prezzemolo&f=false

Chiudo con Non urlare che mi rovini il prezzemolo! (secondo me una virgola dopo urlare non sarebbe stata inopportuna…), lapidaria raccomandazione che fa parte e dà il titolo ad un libro del comico veneto Vasco Mirandola, pubblicato nel 1990 a Pordenone da Edizioni Studio Tesi. Troppo breve o troppo poco per citarlo? Ormai l’ho fatto. Alla prossima!

_______

1 In Giovanni Michele Savonarola (XV° secolo), Libro della natura et virtù delle cose che nutriscono et delle cose non naturali, (cito dall’edizione uscita a Venezia per i tipi di Domenico e Giovanni Battista Guerra, nel 1576) a  pag. 53 leggo: “Il petroselino è apio…Il petrosemolo empiastrato sopra le pustule e la rogna e la morfea…Il petrosemolo ha forza d’aprir le oppilationi…”. Credo che questo petrosemolo sia l’intermediario tra petroselìnum e prezzemolo e, senza scomodare il latino ricostruito *petrosèmolum, io metterei piuttosto in campo un incrocio con seme, del quale la seconda parte (-sèmolo) sarebbe una sorta di diminutivo; il che sarebbe stato propiziato dal fatto che l’originario significato etimologico di petroselìnum, cioè sedano che cresce tra i sassi, facilmente poteva slittare a significare pianta il cui piccolo seme predilige terreni sassosi.

D’altra parte, la presunta deformazione di petroselìnu(m) in *petrosèmolu(m) è di difficile spiegazione non solo per i mutamenti vocalici ma soprattutto per l’arretramento dell’accento. Molto più lineare mi pare, invece, partendo da petrosèmolo la seguente trafila: petrosèmolo>*pretosèmolo (metatesi a distanza)>*pretsèmolo (sincope di –o– atona)>*pretzèmolo> (passaggio –s->-z-)>prezzèmolo (assimilazione tz>-zz-).

2 Naturalis historia, XX, 47: Alio genere petroselinum quidam appellant in saxis natum, praecipuum ad vomicas, cochlearibus binis succi additis in cyathum marrubii succi atque ita aquae calidae tribus cyathis. Addidere quidam buselinum differens brevitate caulis a sativo et radicis colore rufo, eiusdem effectus. Praevalere contra serpentes potu et linitu.

3 Op. cit., XXVIII, 55: Iocineris dolores lupi iecur aridum ex mulso, asini iecur aridum cum petroselini partibus duabus ac nucibus tribus, ex melle tritum et in ibo sumptum.

4 Op. cit., XXXII, 31: Ileos et inflationes castorea cum dauci semine et petroselini, quantum ternis digitis sumatur, ex mulsi calidi cyathis quatuor.

5 Ater può significare anche velenoso (probabile riferimento alla tossicità dell’erba se assunta in dosi elevate e, comunque, velenosa per alcuni animali, che, infatti, la evitano.

6 I Vulcanali, feste in onore di Vulcano, si celebravano ogni anno il 23 agosto.

7 De re rustica, XI, 36: Atrum holus, quod Graecorum quidam vocant petroselinon, nonnulli smyrnaion, pastinato loco semine debet conseri, maxime iuxta maceriam, quoniam et umbra gaudet et qualicumque convalescit loco; idque cum semel severis, si non totum radicitus tollas, sed alternos frutices in semen submittas, aevo manet parvamque sarritionis exigit culturam. Seritur a Vulcanalibus usque in Kalendas Septembres, sed etiam mense Ianuario.  

8 Dal greco ippos=cavallo e sèlinon=sedano (sedano per cavalli).

9 Dal greco oreosèlinon, composto da oros=monte e sèlinon=sedano. 

10 Etymologiae, XVI, 11, 1-3: Eius generis sunt petroselinum, hipposelinon et oreoselinon. Petroselinum vocatum quod sit  similis apio et nascatur in petris montibusque praeruptis. Quod nos petrapium dicere possumus; selinon enim Graece apium dicitur. Sed est summum ac probabile Macedonicum, gustu suave et odore aromatico. Hipposelinon dictum quod sit durum et austerum. Oleoselinon quod mollius folio et caule tenerum.

11 De materia medica, III, 6972.  

12 De simplicium medicamentorum temperamentis ac facultatibus, X, 994.

13 Sonetti inediti, XIX

13 Sonetti inediti, XIX

14 Ragionamento, La seconda giornata del capriccio aretino nel quale la nanna narra alla Antonia la vita delle maritate.

15 Trovato un futile pretesto; molto probabilmente l’espressione trae origine dalla caratteristica dell’ampio uso, tanto da diventare banale, del prezzemolo; dunque, in un certo senso, parallela al detto prezzemolo di ogni minestra (in dialetto neretino pitrusìnu ti ogni mminèscia), passato ad indicare il ficcanaso.  Petorsello è per metatesi da un precedente petrosello, che è, come s’è detto, dal latino medioevale petrosìllu(m).

16 Dialogo, Seconda giornata.

17 Lo cunto de li cunti, Petrosinella,trattenemiento primmo de la iornata seconna.

18 Alla lettera: prezzemolo di ogni salsa; corrisponde alla similitudine corrente prezzemolo di ogni minestra.

19 Lo compare, Trattenemiento decemo de la iornata seconna.

20  Priapea, 113, 5-8.

21  La città del sole.

22 Il Monti non ebbe mai appartamento con vista Colosseo, tanto meno a lui intestato senza che ne fosse al corrente… Qui egli si trova in ritiro nel convento degli Zoccolanti che sorgeva, appunto, nei pressi del celebre monumento.

23 Epistolario, lettera a Clementina Fantini-Ferretti del 1785.

Condividi su...

Un commento a Da Plinio agli Autori contemporanei. Tutto sul prezzemolo

Lascia un commento

La Fondazione Terra d'Otranto, senza fini di lucro, si è costituita il 4 aprile 2011, ottenendo il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Puglia - con relativa iscrizione al Registro delle Persone Giuridiche, al n° 330 - in data 15 marzo 2012 ai sensi dell'art. 4 del DPR 10 febbraio 2000, n° 361.

C.F. 91024610759
Conto corrente postale 1003008339
IBAN: IT30G0760116000001003008339

Webdesigner: Andrea Greco

www.fondazioneterradotranto.it è un sito web con aggiornamenti periodici, non a scopo di lucro, non rientrante nella categoria di Prodotto Editoriale secondo la Legge n.62 del 7 marzo 2001. Tutti i contenuti appartengono ai relativi proprietari. Qualora voleste richiedere la rimozione di un contenuto a voi appartenente siete pregati di contattarci: fondazionetdo@gmail.com.

Dati personali raccolti per le seguenti finalità ed utilizzando i seguenti servizi:
Gestione contatti e invio di messaggi
MailChimp
Dati Personali: cognome, email e nome
Interazione con social network e piattaforme esterne
Pulsante Mi Piace e widget sociali di Facebook
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Servizi di piattaforma e hosting
WordPress.com
Dati Personali: varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio
Statistica
Wordpress Stat
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Informazioni di contatto
Titolare del Trattamento dei Dati
Marcello Gaballo
Indirizzo email del Titolare: marcellogaballo@gmail.com

error: Contenuto protetto!