Lecce. Il lampione in via Idomeneo, ultimo testimone di volontà di progresso di fine Ottocento

 

Lecce, via Idomeneo in una foto degli anni Sessanta del Novecento (foto Giampaolo Buscicchio)

di Giovanni Greco

 

Nell’epoca in cui il governo centrale propone la diminuzione dell’illuminazione pubblica, a causa di questa crisi economica incombente, poco conta se da una viuzza del centro storico di Lecce è sparita la base in ghisa di un vecchio lampione. Era nello slargo antistante alla chiesa della Nova, quello da qualche tempo occluso da una cancellata e in questo periodo cantierizzato a causa delle “Opere urgenti di consolidamento statico e bonifica umidità 1° stralcio” commissionate dalla Confraternita del SS. Sacramento e Gesù Flagellato (così come da cartello esposto). Si spera che sia stata asportata per essere restaurata in previsione della riapertura a breve della chiesa.

Ma perché tanta attenzione? In fondo era solo un lampione; con decorazioni in ghisa e stemma della città di Lecce, del 1873. Perché ci “illuminava” sulla voglia di progresso “a dimensione umana”, che si prefigurava nel trentennio di fine ‘800 leccese. E questa attuale “presa della città” e la scomparsa di questi piccoli monumenti all’ingegno, smemorizzano tristemente la storia della stessa città.

Nel 1998 in www.belsalento.com ho pubblicato alcuni stralci della mia tesi di laurea proprio su l’archeologia industriale e la tramvia leccese. In particolare sull’illuminazione a gas nelle vie leccesi (http://www.belsalento.com/ARCHEOLOGIA%20INDUSTRIALE%20NEL%20SALENTO%20-%20ILLUMINAZIONE%20A%20LECCE%20A%20GAS%20DI%20PETROLIO%20NEL%201873.htm).

Certo le memorie del passato, sono appunto memorie. Ma vanno anche conservate quando queste servono a ricordarci quanto sia stata potente la volontà di una comunità del passato, nel cercare soluzioni per il suo futuro. In questo caso quel palo in ghisa era una di quelle memorie che servivano per recuperare la forza di volontà della cittadinanza leccese di fine Ottocento, che è stata capace di voler cavalcare le onde del progresso al pari di altre metropoli europee, tant’è vero che i sindaci del tempo vedevano determinanti, ad esempio, un congiungimento con il mare e relativa bonifica verso la marina di San Cataldo; e per realizzare il tutto fu costruita una tranvia elettrica (che vinse anche una medaglia d’oro per essere la più lunga dell’epoca – 1888, tre vagoni in tutto, 12 metri di lunghezza totale).

“La nuova illuminazione venne considerata dai nostri concittadini come un indice di civiltà e di progresso; e la nostra Atene pugliese non volle esser da meno delle altre sue consorelle italiane. La parola progresso applicata alle altre del secolo dei lumi correva allora sulle bocche di tutti ed era ripetuta sino alla noia sui giornali leccesi di quel tempo” (Cosimo De Giorgi, Numero Unico per le Feste Inaugurali del giugno 1898, Tipografia Editrice Salentina, fratelli Spacciante, 1898).

Particolare del lampione di via Idomeneo con lo stemma di Lecce (foto Giovanni Greco)
Furono anni dettati da menti sveglie, che volevano una “sana” illuminazione cittadina; in quel periodo affascinante, l’ingegno degli INTRAPRENDITORI aveva un libero sfogo e nei locali di ritrovo dei cittadini leccesi del 1870, si discutevano le stesse appassionate visioni del futuro al pari dei salotti contemporanei milanesi o parigini … e in quel periodo, nella illuminazione pubblica di Lecce, si passava dall’uso dell’olio che era luce fioca, puzzava e faceva fumo, all’illuminazione a gas e poi a gas di petrolio e poi elettrica, migliorando quindi la qualità della luce emessa.

Fra ottobre e novembre 1873, i Municipi di Copertino, Torchiarolo, Alezio, Trepuzzi, Castellaneta, Taviano, Brindisi, Massafra oltre ad alcuni privati, chiesero la cessione, a prezzo di estimo, dei vecchi fanali a petrolio. Lecce effettuò una vendita pubblica nel maggio del 1873, e un’altra l’anno seguente (come da manifesto conservato presso l’Archivio Storico Comunale di Lecce). I lavori dell’impianto del nuovo sistema di illuminazione a gas di petrolio – appaltato dal Comune di Lecce, sindaco Carlo D’Arpe, all’industriale belga Cassian Bon, fondatore delle acciaierie di Terni – iniziarono nel febbraio del 1873 e si conclusero nel marzo del 1874, trasformando la fisionomia della città. L’illuminazione a gas di petrolio giungeva nelle vie per mezzo di solidi bracci in ghisa, inchiodati ai muri dei palazzi (con tubatura connessa), o con colonnine come nella foto.

L’impianto a gas funzionò sino al 1898, quando durante l’amministrazione del sindaco Giuseppe Pellegrino, subentrò l’illuminazione elettrica.

Sino a poco tempo fa, di questo genere di strutture (400 fanali distribuiti nelle piazze e nelle vie principali), permaneva in situ quella colonnina finemente decorata in ghisa, databile, al 1873, che si trovava di fronte la chiesa S. Maria della Nova in via Idomeneo (erano due per la verità, ma una è già sparita da qualche anno). In essa, era rappresentato lo stemma della città, così come era previsto all’art. 13 del capitolato datato 1872. Quel lampione aveva la caratteristica di avere lo stemma stampato al contrario: in quanto la lupa guarda sempre a Ovest mentre in questi lampioni in ghisa era rivolta a Est. Le figure araldiche, infatti, seguono questo andamento perché sullo scudo erano ritratte in maniera tale da affrontare l’avversario nella stessa direzione del guerriero che lo imbracciava. Per questo l’allora amministrazione ne bloccò immediatamente la fornitura.

Di questo mondo, restava quel palo, ultima rappresentanza di quella volontà di tecnologia e “progresso”, appunto. E ci dispiace che lo abbiano smantellato!!! … E invece bisogna dare un apprezzamento storico sulle opere industriali che hanno contribuito a fare grande la comunità locale del sud Italia. Cosa ne penserebbe l’amministrazione Pellegrino del 1898!

 

 

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2 Commenti a Lecce. Il lampione in via Idomeneo, ultimo testimone di volontà di progresso di fine Ottocento

  1. Magnifico e approfondito ricordo delle radici che speravano di fare di noi un popolo illuminato! Di ghisa o di legno, le radici sono infatti sempre parte vitale dei nostri passaggi storici. Giovanni Greco ha fatto una tesi di laurea nel 1998 sull’archeologia industriale e la tramvia leccese e si sente la sua passione nel raccontare e renderci partecipi di informazioni e dettagli tanto interessanti quanto romantici. E’ infatti sentimento puro tornare indietro a rivivere le strade della nostra città attraverso la luce fioca delle lampade a petrolio per poi usufruire di quella a gas fino alla modernità civile della luce elettrica. Evoluzione, ingegno, avanguardia. Peccato che oggi viviamo nell’epoca dei lampioni feriti dai sassi, di una base istoriata di ghisa trafugata(restauro?) o di un lampione storico gemello misteriosamente scomparso da anni: sarà forse ricomparso magicamente nel giardino di qualcuno? Non si capisce che non prestare la giusta cura agli oggetti che hanno segnato il nostro cammino evolutivo, siano essi abbracciati dall’archeologia classica, siano invece simboli di quella industriale, è segno di disprezzo verso noi stessi e verso la nostra intelligenza sociale e culturale. Denuncio, a partire da me, una diffusa ignoranza su argomenti importanti come quello che tu oggi ci hai illustrato, Giovanni, ma confido negli organi d’informazione come la Fondazione Terra d’Otranto, che oggi ci hanno strappato l’alibi del non sapere per regalarci la consapevolezza di una realtà su cui poter agire.
    C’è ancora bisogno di brancolare nel buio? Accendiamo un’idea e facciamo in modo che il futuro non si fermi al 1898!

  2. Non a caso siamo al buio! Senza esasperare le già obsolete polemiche contro la politica in genere ed in particolare. Noto con disappunto, oltre ogni polemica che non mi interessa, che le nostre giunte comunali mancano di conoscenza storica del territorio. per carità, giusto è ammodernare e rendere utile il territorio, ma poco opportuno mi appare l’occultare beni minori sotto l’egida del non catalogato. La cosa impressionante è che anche il cittadino comune, salvo rare eccezioni, non si occupa più di quanto è scomparso, rassegnandosi o semplicemente rimuovendo mnemonicamente i piccoli indizi storici. Parrebbe opportuno istituire una commissione di esperti, anche volontari, che coinvolgano il cittadino nella tutela del suo quartiere (qualche caso c’è ma è necessario diffonderlo). Benvenga il lavoro degli enti predisposti, ma questi sono occupati in compiti più arditi e non per dolo si appriva di quel tessuto cognitivo di contrada. Chi vive il territorio più di qualche volta ha conservato nella memoria e nella cura alcune tracce minori della storia locale. Un lampione, una fontana, un elemento architettonico non interessa se non è catalogato. E’ così che pian piano scompare l’arte minore che ha connotato la nostra piccola storia quotidiana. E’ così che si può rimanere al buio!

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