di Marcello Gaballo
Da anni guardo e riguardo quel bel dipinto inserito in una graziosa edicola posta a margine della statale che da Nardò porta ad Avetrana.
Fu realizzata quando ancora le si passava accanto con la carrozza o standosene su una carretta. Si aveva tutto il tempo per farsi un segno di croce e magari sciorinare un’Ave Maria.
Il progresso ha sostituito i veicoli e le si passa a pochi metri di distanza senza neppure avere il tempo di guardarla.
Rallentare oggi nelle sue vicinanze significherebbe essere di intralcio a noi uomini in corsa su un bolide, magari favorendo tamponamenti o brusche frenate di chi ci sta dietro con l’auto ed è appena uscito come noi fuori dalla cinta urbana, pronto a premere sull’acceleratore. Volevo conservarne almeno una foto, visto che nel decennio la sua immagine sbiadiva giorno per giorno, e i putti che le fanno compagnia diventavano sempre più evanescenti, come è accaduto per quella bianca colomba dipinta nel sottarco, in corrispondenza del capo. Non c’è alcuna piazzola di sosta, se non a diverse centinaia di metri, e il parcheggio è impossibile. La fotografai all’alba, quando si presume che il traffico ancora non è intenso, piazzandomi sulla striscia che separa le due corsie, perché quella è la distanza ottimale per riprenderla.
Avvicinarsi ad essa, sempre che le sterpaglie del bordo della strada lo consentano, impedisce di riprenderla nella sua interezza, essendo la figura quasi a grandezza naturale e la cappellina che la ospita di oltre tre metri di altezza.
Rubate le immagini che da tempo cercavo le ho riguardate con calma, senza riuscire a dire se sia una Vergine Assunta o Immacolata, come mi suggerisce quell’estremità della mezzaluna che sembra essere posta sotto ai suoi piedi. Forse ho fretta anche nel titolarla…
Un bel lavoro, che presuppone maestria da parte dell’artista, per niente sprovveduto e ben capace di ritrarre Madonne. Ma non è questa figura una delle tante presenti in città, nelle chiese rurali, nelle cappelle private, non ritrovandola neppure sulle immaginette popolari che abbondano nei libri di preghiere quotidiane della nonna o della zia.
E’ un volto particolare, che mi orienta più ad una bella donna del mio paese che ad Una che veglia dall’alto. Quelle chiome fluenti e morbide sembrano copiate dal vero e quella posa gentile, sottolineata da bellissime mani e sapiente drappeggio del manto, le conferiscono una grazia che può avere solo Lei e una lei, magari amata dal pittore.
Un’analisi fugace richiama alla mia mente solo un caso similare esistente in città, la bella Assunta che domina al centro del coro nella cattedrale di Nardò, appena uscita dalla tomba scoperchiata su cui vegliano i fedeli apostoli e subito accolta in Cielo tra due schiere di angeli di bellissimo aspetto.
Maccari… che sia stato lui l’artefice della Vergine della nostra edicola? Fine 800. Restauri voluti dal vescovo Ricciardi. Il maestro senese Cesare, con uno stuolo di allievi, decoratori, tinteggiatori, rimette a nuovo la cattedrale neritina e realizza quel meraviglioso ciclo pittorico del coro che pochissimi conoscono e che potrebbe essere il vanto della città. Si, Cesare Maccari, che ha dipinto nel santuario di Loreto e nel palazzo del Senato, o più probabilmente uno dei suoi allievi, che, come il maestro, ebbero il coraggio di immettere del vero nella pittura religiosa. Lo fecero in Toscana, dove vivevano, e lo fecero a Nardò, in quegli anni di intenso lavoro che portò all’attuale duomo, liberato dagli orpelli settecenteschi sanfeliciani.
L’occasione di queste poche righe per lanciare un appello a salvare dal degrado questa importante testimonianza pittorica, che tanto risente della scuola toscana dopo il Settanta del secolo XIX.
Uno degli allievi del Maestro Cesare Maccari era un tal ragazzo, bellissimo, di nome Mariano Spedicato, nativo di Monteroni e trapiantato a Nardò per eseguire gli affreschi in chiesa, e poi anche il soffitto della storica libreria “Juvenilia”. A Nardò conobbe la sua futura sposa, donna Elvira Cavalera, da cui ebbe sette figli, nessuno dei quali più vivente. Ebbene, quell’allievo era mio nonno ed io ne sono orgogliosa. Purtroppo la sua vita fu breve, si spense all’età di ca trent’anni o poco più, nel 1919, probabilmente stroncato da qualche male terribile, probabilmente causato dai prodotti chimici che usava per il suo lavoro (ma all’epoca poco si conosceva del cancro!). Lasciò i suoi figli tutti in tenera età. Mio padre ci raccontava di avere un nitido ricordo del padre, il quale “sobbra allu cambirinu” ovvero stanza di lavoro, pestava e stemperava i colori e nella casa si sprigionava un odore forte di trementina.Era un uomo colto per quei tempi,sapeva leggere e scrivere correttamente (ma anche la nonna lo faceva), amava l’opera, la lettura. Mio padre fu chiamato Loris, il nome del personaggio maschile dell’opera “Fedora”, opera che mio nonno vide a teatro a Lecce, la sera prima che nascesse il mio genitore.Conserverò gelosamente questi ricordi, sperando di essere un poco di memoria storica per i miei nipoti.
Grazie per questo “acquerello” che ci hai voluto dare. Ti prego di scriverci una scheda su tuo nonno, magari da pubblicare su questo sito. Una foto? altri lavori da lui eseguiti? data di nascita e di morte, qualche scritto… abbiamo il dovere di tramandare queste notizie. Te ne sarei molto grato se lo facessi.
Cordialmente
Questa si che è una grande notizia, per me nuova ed interessante, anche perchè ho sempre saputo che lo Spedicato fosse un intonacatore e che preparava l’intonaco fresco sul quale Maccari ed i suoi collaboratori ci impregnavano i colori passati con i pennelli