La fidanzata di Depressa

Il Municipio di Ortelle (ph Antonio Chiarello)

di Giorgio Cretì

Quella volta Ippaziantonio aveva puntato abbastanza in al­to: alla figlia del segretario co­munale di Depressa, e, natural­mente, per avere la vita più faci­le e darsi un’immagine di perso­na per bene, si era fidanzato in casa.

Nell’occasione si era spac­ciato per impiegato comunale. Aveva potuto farlo perché era di carnagione chiara e nessuno, che non lo conoscesse bene, l’avreb­be creduto un contadino che zap­pava dalla mattina alla sera. In più, in quel periodo era stato ma­lato e l’aspetto di colui che sta esposto tutto il giorno ai raggi del sole e alle intemperie non l’aveva proprio.

Innocente Sucamèle, con il quale poi divenne compare, allo­ra aveva la fidanzata a Tricase e lì andava in motocicletta la sera e quando era festa. Anche Ippa­ziantonio andava con lui e si faceva lasciare a Depressa, dove, al ritorno, Innocente passava a pren­derlo e tornavano a casa assieme.

Avenne che (c’era sempre qualche avve­nimento a guastare le cose), avvenne che in quell’anno si faceva il censimento della po­polazione ed il Segretario di Depressa pensò bene di farsi dare una mano dal futuro gene­ro, visto che era già addentro alle pratiche amministrative del suo Comune. E glielo chiese aspettandosi entusiasmo ed una rispo­sta affermativa subito. Ma Ippaziantonio, che pure all’istante fu colto alla sprovvista, lungi dal farsi prendere in castagna, rispose che l’avrebbe fatto molto volentieri, dopo aver chiesto il permesso al suo Segretario, naturalmente.

Quando, però, quella sera Innocente passò a prenderlo per tornare a casa assieme, gli raccontò in quale situazione si era cacciato e perciò, prima di rischiare di essere malme­nato di santa ragione, aveva deciso di rompe­re con Depressa senza preavviso.

Infatti cambiò feudo e a casa di quella fi­danzata non si fece più vedere.

Solo che la sua improvvisa scomparsa non venne accettata di buon grado ed il Se­gretario Comunale di Depressa assunse le dovute informazioni sul conto di Ippazianto­nio, rivolgendosi non all’autorità politico-amministrativa, ma a quella religiosa. E sic­come, allora, l’arciprete aveva ampi poteri sulla gestione della morale pubblica e sull’educazione civile dei suoi parrocchiani, i nodi vennero subito al pettine.

Ormai Ippaziantonio aveva recuperato completamente la sua salute ed era tornato ad andare in campagna tutti i giorni. Ed un bel giorno, proprio mentre attraversava la piazza della chiesa con la sua zappa in spalla, si vide fermare dall’arciprete che gli intimò di seguirlo in sagrestia. Non stava andando in municipio a scrivere, andava a zappare co­me aveva sempre fatto in vita sua, da quando aveva avuto quattordici anni, e della faccen­da dell’impiego pubblico se n’era proprio di­menticato.

1945. In primo piano il protagonista del racconto

Comunque, un po’ si insospettì, perché l’arciprete non chiamava la gente senza ave­re un motivo, e si ricordò di quando andava a dottrina e degli schiaffoni che facevano ron­zare le orecchie. Ricordò anche che l’arcipre­te usava arrotolare i capelli dei ragazzi con la sua bacchetta di cannadindia fino a far male, oppure strattonare le orecchie in ma­niera piuttosto energica.

Lo seguì, comunque, con una ben celata tranquillità, ma stando sul chi vive. “Che cosa comandi, nunn’arciprete(1)”, chiese candidamente.

“Vieni”, gli disse l’arciprete con tono fermo, entrando e chiudendo il can­cello di ferro che c’era allora. “Dove stai andando?”, gli chiese.

“In campagna, nunn’arciprete”, rispose Ippaziantonio, ancora padrone del suo sistema nervoso.

“E che cosa vai a fare in campagna? Perché, in Comune non ci vai più?”.

“Come in Comune?”, finse di non capire Ippaziantonio mentre fra sé sospirava tenendo d’occhio il cancello; “che cosa devo fare io in Comune?”.

“Perché, non eri impiegato in Comune?”.

“Non sono mai stato impiegato in Comune”, Ippaziantonio disse, cercando di andar die­tro al gioco del suo parroco.

“Ah, no?” disse l’arciprete deci­dendo di porre termine alla com­media e passando immediata­mente a vie di fatto.

Prima che questi avesse il tempo di sottrarsi alla presa, af­ferrò con le sue grosse mani en­trambe le orecchie di Ippazianto­nio e si diede a strattonargliele con forza. Allora le punizioni corporali erano ancora legali.

Il poveretto cercò di andar­gli dietro il più possibile, alzan­dosi anche in punta di piedi, per attenuare in qualche modo il ma­le, mentre pensava che sarebbe andato via di lì proprio senza orecchie. Continuò a ripetere ahi, ahi, finché il parroco non mollò la presa e gli assestò due sonori scarafùni, manrovesci, uno su una guancia ed uno sull’altra.

Poi lo investì con una gragnuola di parole, che invero face­vano meno male, e gli fece una energica reprimenda, ammonen­dolo che non doveva andare in gi­ro a raccontare fandonie, ma che doveva sempre dire la verità alla gente e non spacciarsi per ciò che non era.

Intanto Ippaziantonio si era avvicinato al cancello.

“E mo’“, disse, come per intendere che la co­sa era fatta e non si poteva cambiare.

Fu un attimo. Mise mano al chiavistello, aprì il cancello e scappò via di corsa con la sua zappa.

E per molto tempo non andò in chiesa nemmeno la domenica.

(1) Nunnu, nunna era l’appellativo per il padrino (o la madrina) di battesimo o di cresima. Al parro­co spettava sempre il nunnu dai giovani ed il compare dagli adulti.

(“il Rosone” – Anno IX n. 5, 1986)

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6 Commenti a La fidanzata di Depressa

    • …e noi siamo profondamente grati a Giorgio per proporceli, salvandoli dall’oblìo. Sono pagine che tutti i salentini devono conoscere. Ma ci sarà ancora un altro pezzo, per completare la trilogia

    • Difatti Giorgio Cretì ha segnalato sin da questa mattina l’errore nella didascalia, che per motivi di tempo non abbiamo provveduto a rettificare. Lo facciamo subito. Grazie Angelo

  1. Insomma, questo Ippaziantonio era un pozzo senza fondo d’inventiva e sfrontatezza quasi infantile! Mi fa pensare alle pellicole storiche di Alberto Sordi, mi riempie di divertimento la sua capacità di arrivare in sesta marcia nei guai, di slittare un po’ per uscire fuori dal pantano e di essere spinto in retromarcia dalla benevolenza di un Dio Padre (…padre davvero!) buono e comprensivo. Si respira la semplicità della gente del Salento anche nella creatività rocambolesca di ragazzi desiderosi di lasciare per un po’ da parte la zappa per bere tutto d’un sorso la vita!

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