di Giorgio Cretì
Quella volta Ippaziantonio aveva puntato abbastanza in alto: alla figlia del segretario comunale di Depressa, e, naturalmente, per avere la vita più facile e darsi un’immagine di persona per bene, si era fidanzato in casa.
Nell’occasione si era spacciato per impiegato comunale. Aveva potuto farlo perché era di carnagione chiara e nessuno, che non lo conoscesse bene, l’avrebbe creduto un contadino che zappava dalla mattina alla sera. In più, in quel periodo era stato malato e l’aspetto di colui che sta esposto tutto il giorno ai raggi del sole e alle intemperie non l’aveva proprio.
Innocente Sucamèle, con il quale poi divenne compare, allora aveva la fidanzata a Tricase e lì andava in motocicletta la sera e quando era festa. Anche Ippaziantonio andava con lui e si faceva lasciare a Depressa, dove, al ritorno, Innocente passava a prenderlo e tornavano a casa assieme.
Avenne che (c’era sempre qualche avvenimento a guastare le cose), avvenne che in quell’anno si faceva il censimento della popolazione ed il Segretario di Depressa pensò bene di farsi dare una mano dal futuro genero, visto che era già addentro alle pratiche amministrative del suo Comune. E glielo chiese aspettandosi entusiasmo ed una risposta affermativa subito. Ma Ippaziantonio, che pure all’istante fu colto alla sprovvista, lungi dal farsi prendere in castagna, rispose che l’avrebbe fatto molto volentieri, dopo aver chiesto il permesso al suo Segretario, naturalmente.
Quando, però, quella sera Innocente passò a prenderlo per tornare a casa assieme, gli raccontò in quale situazione si era cacciato e perciò, prima di rischiare di essere malmenato di santa ragione, aveva deciso di rompere con Depressa senza preavviso.
Infatti cambiò feudo e a casa di quella fidanzata non si fece più vedere.
Solo che la sua improvvisa scomparsa non venne accettata di buon grado ed il Segretario Comunale di Depressa assunse le dovute informazioni sul conto di Ippaziantonio, rivolgendosi non all’autorità politico-amministrativa, ma a quella religiosa. E siccome, allora, l’arciprete aveva ampi poteri sulla gestione della morale pubblica e sull’educazione civile dei suoi parrocchiani, i nodi vennero subito al pettine.
Ormai Ippaziantonio aveva recuperato completamente la sua salute ed era tornato ad andare in campagna tutti i giorni. Ed un bel giorno, proprio mentre attraversava la piazza della chiesa con la sua zappa in spalla, si vide fermare dall’arciprete che gli intimò di seguirlo in sagrestia. Non stava andando in municipio a scrivere, andava a zappare come aveva sempre fatto in vita sua, da quando aveva avuto quattordici anni, e della faccenda dell’impiego pubblico se n’era proprio dimenticato.
Comunque, un po’ si insospettì, perché l’arciprete non chiamava la gente senza avere un motivo, e si ricordò di quando andava a dottrina e degli schiaffoni che facevano ronzare le orecchie. Ricordò anche che l’arciprete usava arrotolare i capelli dei ragazzi con la sua bacchetta di cannadindia fino a far male, oppure strattonare le orecchie in maniera piuttosto energica.
Lo seguì, comunque, con una ben celata tranquillità, ma stando sul chi vive. “Che cosa comandi, nunn’arciprete(1)”, chiese candidamente.
“Vieni”, gli disse l’arciprete con tono fermo, entrando e chiudendo il cancello di ferro che c’era allora. “Dove stai andando?”, gli chiese.
“In campagna, nunn’arciprete”, rispose Ippaziantonio, ancora padrone del suo sistema nervoso.
“E che cosa vai a fare in campagna? Perché, in Comune non ci vai più?”.
“Come in Comune?”, finse di non capire Ippaziantonio mentre fra sé sospirava tenendo d’occhio il cancello; “che cosa devo fare io in Comune?”.
“Perché, non eri impiegato in Comune?”.
“Non sono mai stato impiegato in Comune”, Ippaziantonio disse, cercando di andar dietro al gioco del suo parroco.
“Ah, no?” disse l’arciprete decidendo di porre termine alla commedia e passando immediatamente a vie di fatto.
Prima che questi avesse il tempo di sottrarsi alla presa, afferrò con le sue grosse mani entrambe le orecchie di Ippaziantonio e si diede a strattonargliele con forza. Allora le punizioni corporali erano ancora legali.
Il poveretto cercò di andargli dietro il più possibile, alzandosi anche in punta di piedi, per attenuare in qualche modo il male, mentre pensava che sarebbe andato via di lì proprio senza orecchie. Continuò a ripetere ahi, ahi, finché il parroco non mollò la presa e gli assestò due sonori scarafùni, manrovesci, uno su una guancia ed uno sull’altra.
Poi lo investì con una gragnuola di parole, che invero facevano meno male, e gli fece una energica reprimenda, ammonendolo che non doveva andare in giro a raccontare fandonie, ma che doveva sempre dire la verità alla gente e non spacciarsi per ciò che non era.
Intanto Ippaziantonio si era avvicinato al cancello.
“E mo’“, disse, come per intendere che la cosa era fatta e non si poteva cambiare.
Fu un attimo. Mise mano al chiavistello, aprì il cancello e scappò via di corsa con la sua zappa.
E per molto tempo non andò in chiesa nemmeno la domenica.
(1) Nunnu, nunna era l’appellativo per il padrino (o la madrina) di battesimo o di cresima. Al parroco spettava sempre il nunnu dai giovani ed il compare dagli adulti.
(“il Rosone” – Anno IX n. 5, 1986)
Cunti ca te cuntavine o ca sintivi da i cuntacunti.
…e noi siamo profondamente grati a Giorgio per proporceli, salvandoli dall’oblìo. Sono pagine che tutti i salentini devono conoscere. Ma ci sarà ancora un altro pezzo, per completare la trilogia
nella foto è raffigurato il municipio di Ortelle. Depressa, esendo frazione da tempo di Tricase non ha un vero municipio ma una piccola delegazione.
Difatti Giorgio Cretì ha segnalato sin da questa mattina l’errore nella didascalia, che per motivi di tempo non abbiamo provveduto a rettificare. Lo facciamo subito. Grazie Angelo
Insomma, questo Ippaziantonio era un pozzo senza fondo d’inventiva e sfrontatezza quasi infantile! Mi fa pensare alle pellicole storiche di Alberto Sordi, mi riempie di divertimento la sua capacità di arrivare in sesta marcia nei guai, di slittare un po’ per uscire fuori dal pantano e di essere spinto in retromarcia dalla benevolenza di un Dio Padre (…padre davvero!) buono e comprensivo. Si respira la semplicità della gente del Salento anche nella creatività rocambolesca di ragazzi desiderosi di lasciare per un po’ da parte la zappa per bere tutto d’un sorso la vita!
[…] http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2011/12/15/la-fidanzata-di-depressa/ […]