Villa Scrasceta a Nardò, una pregevole testimonianza di architettura tardo-barocca e di dimora signorile

di Fabio Fiorito e Maria Vittoria Mastrangelo

Lo Scrasceta in una foto di circa vent’anni fa

Di villa Scrasceta[1] a Nardò diversi testi hanno già ampiamente trattato.

E’ di fatto un monumento  tutelato dalla Soprintendenza di Puglia e soggetto a vincolo con D.M. del 17/09/1981, ai sensi della Legge 1089/1939, “in quanto costituisce una pregevole testimonianza di architettura tardo-barocca e di dimora signorile legata all’attività agricola ed alle strutture socio-economiche dell’area salentina nei secoli XVIII – XIX”[2].

Al di là della doverosa imposizione del vincolo, la villa, oggi abbandonata, resta un esempio schietto di residenza settecentesca con caratteristiche e peculiarità davvero notevoli.

Il feudo detto Strageta è già nominato nei documenti tardo-medioevali[3]; vigneti in località Scrageta, sono riportati nel XVI secolo di proprietà della chiesa della Santa Croce (o del Salvatore, oggi profanata); altri risultavano di proprietà della chiesa di San Giorgio dei Greci (oggi distrutta) nel  1591; ed ancora nel 1637 sempre in località Scrageta risultava un oliveto di diciassette alberi proprietà della chiesa di santa Lucia[4].

Sulla base di tanti antichi documenti possiamo quindi asserire che la località Scrasceta sia sempre stata, così come del resto tramanda la tradizione locale, un’area molto fertile e ben coltivata.

La zona è infatti particolarmente favorevole alle colture, soprattutto vitivinicole: a pochi chilometri dal paese, in direzione ovest, attraversata da un’antichissima strada che collegava Gallipoli a Taranto, protetta dal vento di sud-ovest dall’altura di Porto Selvaggio, è da sempre coltivata prevalentemente a vigneto.

Come ben spiega Antonio Costantini, alla fine del Settecento, cessato oramai il pericolo delle incursioni saracene e divenuto di moda passare la stagione estiva nelle residenze rurali, la ricca aristocrazia salentina costruì diverse ville nelle tenute più fertili di campagna, inizialmente ben separate dall’abitazione dei coloni, con caratteristiche lussuose, evidenziabili da uno studio attento delle planimetrie; solo in seguito, all’inizio del XIX secolo, la villa si trasforma in “casino”, in cui la residenza del padrone viene realizzata al piano superiore dell’edificio, deputando l’uso di quello inferiore alle attività produttive ed abitative del contado. Unico punto d’incontro restava inequivocabilmente la cappella, quasi sempre presente, dove la domenica si celebrava la messa: “…in queste costruzioni già si avverte quel senso di distacco tra casa patronale e fabbricato della masseria, un distacco che è anche la conferma di quella mentalità che nel Mezzogiorno  d’Italia non è mai venuta meno e che ha determinato l’atavica contraddizione tra città e campagna”[5].

La villa prima dell’asportazione del balcone, in una foto di circa trent’anni fa (archivio privato M. Gaballo)

Così infatti si presenta villa Scrasceta: un ingresso elegante, sulla strada, ed il famoso viale incorniciato da una balaustra che sorregge “curiose statue in tufo di uomini a metà busto in atteggiamenti buffi: un portabandiera, suonatori di strumenti musicali: trombone chitarra mandolino, tamburo, clarinetto; altri con una botte sulle spalle, con un fucile a tracolla, con una fetta di melone in mano, con un uccello svolazzante nella mano elevata, con un bicchiere in una mano ed un orciolo nell’altro, con una ruota tra le mani e davanti al petto,  e in vari modi ancora”[6].

rilievo Fabio Fiorito

Al piano superiore, “l’elemento musicale era fortemente rafforzato dalla presenza sul prospetto principale di una loggia con balaustra-cantoria raffigurante sette piccoli putti (alternati tra musici e danzatori)”[7]. Il viale termina in un’esedra davanti all’ingresso dell’abitazione ed un elegante salone passante fa trasparire al di là la splendida trozza – il pozzo barocco su cui è riportata la data 1746 – ed poi ancora il giardino, di impianto perfettamente simmetrico e studiatissimo. In questo contesto, l’abitazione del colono, con le stalle e gli altri locali restano “nascosti” sulla sinistra dell’ingresso alla tenuta, rasenti la strada, mentre la cappella, costruita dai copertinesi Ignazio Vedesca e Angelo Preite nel 1778[8] e dedicata alla Beata Vergine Immacolata, è posta lateralmente, quasi un incidente sul lato destro dell’esedra punto di raccordo tra la villa ed il viale d’accesso.

rilievo Fabio Fiorito

Dai documenti conservati nell’archivio vescovile di Nardò sappiamo che una casa a volta con due palmenti per vendemmiare e vigne contigue “tutte poste in feudo imperiale in luogo detto Scrasceta”[9] fu venduta nel 1729 da Andrea Pesciulli al seminario vescovile. Con l’approvazione del vescovo  Francesco Carafa, nel 1748 l’economo del seminario vendette la tenuta a don Saverio Giaccari che la cedette l’anno successivo al barone Francesco Personè. La famiglia Personè ne conservò la proprietà fino al secondo decennio del XX secolo ma, mutate le mode e le condizioni storiche del territorio, ben presto la villa venne di fatto abbandonata: “Per molti proprietari terrieri la campagna continuava ad essere intesa soltanto come luogo di villeggiatura e non come fonte d’investimento”[10]. Il tempo e l’incuria fecero il resto: la chiesetta fu profanata, le buffe statue del viale e finanche la preziosa balaustra in leccese della sala al piano superiore, rubate.

Non sappiamo con esattezza quale degli eredi Personè trasformò il vecchio casino rurale nell’elegante villa giunta sino a noi. Probabilmente si trattò di Giuseppe, fratello di Francesco, morto nel 1786[11].

vista dal viale, prima dell’abbattimento dei “pupi”

Poiché nei documenti che attestano i passaggi di proprietà l’abitazione del colono, la cappella ed il giardino non vengono mai menzionati[12], possiamo affermare – anche in base ai numerosi reperti individuati – che i due palmenti venduti nel 1729 da Andrea Pesciulli coincidessero con parte dei locali adiacenti la strada; mentre l’abitazione voltata, menzionata nello stesso documento, sembra individuabile nella parte dei locali dell’attuale villa posti sul retro del lato est, che appaiono più antichi  del resto dell’edificio e asimmetrici rispetto all’impianto generale). Tale podere vineato, con abitazione rurale e due palmenti adiacenti la strada (il cui tracciato era anticamente leggermente diverso dall’attuale), pervenuto ai Personè venne ri-progettato: Giuseppe edificò la villa, inglobando l’antica abitazione,  e mascherandone la parte anteriore con la giustapposizione della cappella che sembra aggiunta in un secondo momento e magari inizialmente destinata a stalla o rimessa (come appare da alcune alterazioni o “ripensamenti” presenti sul prospetto) affidandone la realizzazione ai copertinesi Preite e Verdesca[13].

L’incisione sulla trozza del giardino posteriore reca la data del 1746, indicando come dall’agosto di quell’anno essa emanò regolarmente acqua (probabilmente si scavò più in profondità). L’ipotesi di De Pascalis[14] , che attribuisce al pozzo un’importanza simbolica oltre che strategica, resta peraltro suggestiva e plausibile in un’epoca in cui ancora per poco l’aristocrazia poteva permettersi di ricreare strabilianti giochi d’acqua nei propri giardini.

il pozzo retrostante

Appare peraltro verosimile che Personè, appurata lì la presenza di acqua sorgiva abbia deciso di realizzare la sua “villa di delizie” in quel punto, erigendola proprio attorno al pozzo che ne diveniva così il fulcro: il raffinato disegno mistilineo dell’elegante ingresso sulla strada[15], il viale, l’ampia esedra, il salone passante e le logge decorate con stucchi ed affreschi diventavano la lussuosa cornice della splendida trozza barocca; similmente alle spalle si apriva il proscenio del giardino, con il cancello in ferro battuto perfettamente in asse[16], chiuso a suggellarne le delizie; e poi, nascosti ancora dietro, le fantasiose rampe, il pergolato rettilineo e le edicole simmetriche a cadenzarne il percorso. Uno schema planimetrico, lucido ed essenziale, ma squisitamente leggero ed elegante, che può soltanto essere scaturito da un unico puntiglioso ed organico progetto. Niente viene lasciato al caso. Anche la cappella, che sembrerebbe estranea alla primitiva stesura del progetto, viene poi ad inserirsi armoniosamente, mentre è possibile che la balaustra laterale, delimitante il piazzale ed il viale di accesso con le statue dei bizzarri musicanti, sia di qualche decennio più tarda.

particolare del prospetto

Sicuramente incompiuta sul lato ovest, l’impianto generale di villa Scrasceta appare simile a quello della vicina villa Taverna, datata da un epigrafe su prospetto nord al 1780: sono analoghi i portali barocchi al piano terra e le logge al piano superiore su entrambi i prospetti contrapposti nord e sud, con i saloni passanti alla “veneziana”; diversa invece la destinazione d’uso del piano terra che, mentre allo Scrasceta è già un elegante abitazione decorata con stucchi, affreschi ed forse anticamente anche con specchi, alla Taverna appare deputata ad un uso più pratico, con annessa l’abitazione del fattore e le stalle, restando qui l’ingresso alla villa signorile risolto da un ampio scalone che sale al piano superiore occupando parte del lato ovest dell’edificio.

Totalmente diverso è infine l’impianto del giardino,  che alla Taverna viene lasciato spontaneo (a parte l’orto concluso sul lato est) venendo impreziosito soltanto dalla splendida e famosissima recinzione barocca che a nord delimita la tenuta.

Villa Scrasceta è quindi nel Salento uno dei rari esempi settecenteschi di villa rurale con annesso un giardino di delizie espressamente progettato: oggi non siamo in grado di dire cosa vi fosse coltivato; per analogia, possiamo supporre si trattasse di agrumi, mentre il pergolato poteva venire ombreggiato da un vitigno. Tutto intorno alla tenuta si estendevano vigneti presumibilmente a perdita d’occhio; e forse le eleganti loggette del primo piano furono progettate per goderne la vista e nel contempo controllarne dall’alto i lavori di conduzione. Ma poi l’abitudine di trasferirsi a fine estate dalla residenza al mare a quella in campagna, proprio al momento della vendemmia, passò di moda – forse anche per gli eventi sconvolgenti che unificarono l’Italia. Villa Scrasceta, come molte altre in tutto il Meridione, venne trascurata, nessuno ne curò il completamento e fu infine completamente abbandonata. Così l’acquistò Pantaleo Fonte, in epoca fascista. Così è ancora oggi, silenziosa in mezzo ai vitigni scampati alle promesse della Comunità Europea, ed in attesa di un ripristino che ne racconti gli antichi splendori.

BIBLIOGRAFIA

M. Cazzato, Oltre la porta, 1997

M. Cazzato, a cura di, Paesaggi e sistemi di ville nel Salento, Lavello 2006

A. Costantini, Guida alle ville del Salento, Galatina 1993

A. Costantini, Le masserie del Salento, Lavello 1994

M. Gaballo, Nardò Sacra, Galatina 1999

B. Vetere, Città e Monastero, Galatina 1986


[1]     Il termine deriva probabilmente dall’antico nome di una locale pianta selvatica.

[2]     Relazione della Soprintendenza per i BB. AA. AA. AA. SS. della Puglia al Ministero per i BB. CC., in E. Mazzarella, a cura di M. Gaballo, Nardò Sacra, Galatina 1999, 397 nota.

[3]     Nell’inventario dei beni appartenenti al monastero di Santa Chiara in Nardò, redatto su richiesta della regina Maria D’Enghien dalla badessa Dyambra de Persona nella prima metà del XV secolo si legge”… orti due di vigne deserte in feudo Strageta”; in vedi B. Vetere, Città e Monastero, Galatina 1986, 140

[4]     E. Mazzarella, op. cit., 82, 131, 137

[5]     A. Costantini, Le masserie del Salento, Lavello 1994, 293-297

[6]     E. Mazzarella, op. cit., 399

[7]     G. De Pascalis, Dai trattati alle tipologie del villino rurale: modelli e simbolismi dell’abitare nel paesaggio neretino, in Paesaggi e sistemi di ville nel Salento, a cura di M. Cazzato, Lavello 2006. Rubata anni fa, ad oggi non si hanno notizie della balaustra del loggiato, di cui restano solo alcune fotografie.

[8]     M. Cazzato, Oltre la porta, 1997, 19

[9]     P. Giuri, Dimore extraurbane a Nardò: le Cenate fra barocco ed eclettismo, in M. Cazzato, op. cit., 2006, 190

[10]    A. Costantini, op. cit., 291

[11]    In tal caso la Scrasceta risulterebbe edificata contemporaneamente alla vicina villa Taverna, altro splendido esempio di lussuosa abitazione rurale per la villeggiatura.

[12]    P. Giuri, op. cit., 192

[13]    “Sotto questo aspetto la “casina”, così come la “villa”, denota un certo distacco dalle attività agrofondiarie e dall’ambiente rurale […]con soluzioni planimetriche differenti dal tipo “casino”, in quanto generalmente l’abitazione del contadino è disposta in modo da non “disturbare” la privacy della casa patronale. In questo caso l’abitazione del proprietario, risolta, di norma, al solo piano terra e appena rialzata dal piano di campagna, espone il prospetto verso la strada principale e nasconde completamente la più modesta dimora del colono. Spesso la “casina” è una realizzazione di epoca successiva rispetto alla casa del contadino , anche se si appoggia a questa per ragioni di opportunità.” A. Costantini, Guida alle ville del Salento, Galatina 1993, 30

[14]    G. De Pascalis,  op. cit., 180

[15]    U. Gelli, Portali pozzi e cisterne: esperienze di rilievo architettonico, in M. Cazzato,op. cit., 276

[16]    “L’elegante sagoma mistilinea del portale d’ingresso, fa da ouverture al portale del giardino chiuso, il cui recinto è a sua volta impreziosito da alcune edicole.” S. Politano, Portali e recinti di ville nelle campagne salentine, in M. Cazzato, op. cit., 270

pubblicato su Spicilegia Sallentina n°7.

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Un commento a Villa Scrasceta a Nardò, una pregevole testimonianza di architettura tardo-barocca e di dimora signorile

  1. Vorrei sbagliarmi, ma a quanto ne so, la legge 1089 del 1939, nota pure come legge Bottai, è stata abrogata nel 1999, sostanzialmente cambia poco, in quanto questa importantissima e lungimirante legge, è stata sempre mirabilmente ignorata, ma la cosa mi sembra gravissima lo stesso, sapete se è stata sostituita da leggi analoghe???

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