Il caporale biondo della Manifattura Tabacchi

di Rocco Boccadamo

Al mio paese, poco più di duemila anime, sino alla metà del secolo scorso esistevano ben tre opifici per la lavorazione delle foglie di tabacco già fatte essiccare sotto i raggi del sole, in dialetto “magazzini”, dove, in determinati periodi stagionali, trovavano occupazione alcune centinaia di donne.

Ciò, giacché le piantagioni dalle strette e lunghe foglie di color verde costituivano, per antica tradizione, una delle principali colture e fonti di risorse della zona.

L’ingresso d’ogni magazzino era presidiato dal “caporale”, l’unica figura maschile presente, avente il compito di vigilare che le operaie, all’uscita, non si portassero appresso, per destinarli ai familiari fumatori, quantitativi ancorché piccoli di quelle foglie, da ritirarsi rigorosamente ed esclusivamente da parte dei Monopoli di Stato: non a caso, si parlava di contrabbando.

Fra i caporali in servizio intorno al 1950, c’era un giovane proveniente da un paese vicino, alto, capelli biondi, incarnato roseo; poverino, aveva solo un braccio, non so se mutilato di guerra o sul lavoro. La sua figura, forse anche per via della menomazione fisica, colpiva particolarmente l’attenzione dell’autore di queste righe, allora ragazzo delle elementari. Nei decenni successivi, le vicende della mia esistenza hanno assunto un po’ i connotati di un “magazzino” ambulante, in giro per l’Italia, fino al traguardo della pensione e al ritorno nel Salento. Di conseguenza, per un lunghissimo periodo, non ho più avuto modo di rivedere il caporale, né di avere sue notizie.

Qualche giorno addietro, però, è avvenuto il miracolo: uscendo da un bar nella piazza di un paese vicino alla mia Marittima e prima di risalire in macchina, all’improvviso mi si è parata innanzi agli occhi, seduta in un angolo riparato, la figura di una persona anziana, con i capelli bianchi, roseo in volto e, soprattutto, con un unico braccio. In un baleno, mi sono trovato accanto all’uomo, quindi l’ho salutato con riguardo e interrogato opportunamente per esser certo della sua identità, ricevendone conferma.

Uno spontaneo e caldo sorriso, seguito dalla confidenza a bassa voce: “Ora, ho ottantanove anni”. Mi sono congedato con un ideale abbraccio augurandogli un’ancora lunga vita. Con un balzo dal 1950 al febbraio 2010, ho così vissuto un incontro carino e di genuina rivisitazione dei tempi andati.

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