Culàcchi te papa Cajàzzu

La contramizione

di Alfredo Romano
 

Se cunta a Galàtune ca ‘na fiata papa Cajàzzu spicciàu na matìna cu ddica na messa te suffràgiu e sse buscàu le mille lire ca ne spettàvanu. Cu lli sordi mpóscia, essìu te la chiesa cu ttorna ccasa, quandu, pe’ la strata, ne vinne cu schiatta te pišciàre. Ṭruàndusi a nnanzi lla villa comunale, cce ffice?: nna! trasìu, se aźàu la tonaca e sse mise ppišciàre contru a nn àrberu te la villa. Addhai ca se ddunàu ‘na cuardia te la Comune. Ca ne tisse: «Papa Cajàzzu, sei in contramizione: nu’ sse pote pišciàre intra llu sciardinu comunale. «Ah!, e quantu àggiu ppacàre?» tisse papa Cajàzzu. «Mille lire,» ne rispuse la cuardia. «Nna!, àggiu tittu messa pe’ llu cazzu!» tisse tuttu giratu te capu papa Cajàzzu.

TRADUZIONE
La contravvenzione

Si racconta a Galàtone che una volta papa[1] Galeazzo finì una mattina di celebrare una messa di suffragio e si buscò le mille lire che gli spettavano. Con i soldi in tasca, uscì di chiesa per tornarsene a casa, quando, per strada. gli venne un impellente bisogno di pisciare. Trovandosi nei pressi del giardino comunale, che fece?: entrò, s’alzò la tonaca e si mise a pisciare contro un albero del giardino. Lì che venne avvistato da una guardia comunale. Che gli disse: «Papa Galeazzo, sei in contravvenzione: è vietato pisciare nel giardino pubblico!» «Ah!, e quanto devo pagare?» disse papa Galeazzo. «Mille lire» rispose la guardia. «Na!, ho detto messa per il cazzo!» fece tutto girato di testa papa Galeazzo.

Da Lu Nanni Orcu, papa Cajazzu e altri cunti salentini di Alfredo Romano. Nardò, Besa Editrice, 2008.


[1] Nel Salento il nome del prete non è preceduto da don, ma da papa.

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21 Commenti a Culàcchi te papa Cajàzzu

  1. E venne l’ora della morte anche per la nunna ‘Ntunietta, che per decenni aveva esautorato papa Caliazzu con le sue storie di artrosi, reumatismi, dolori in ogni punto del corpo, figli ingrati e marito irriconoscente.
    Così concluse la cerimonia funebre il nostro prelato:
    Ha cessato di vivere Antonietta,
    donna pia,
    lei ha trovato la pace
    ed io la mia!

  2. Il vecchio massaro Pippi da che era diventato maggiorenne non aveva più preso la Comunione, tantomeno si era confessato.
    Un giorno la moglie, stanca ormai della vita eretica del marito, lo fronteggiò: “ti stai facendo sempre più vecchio e ancora non ti decidi ad accostarti ai Sacramenti. Se mai sia muori, mi farai vivere con lo scrupolo che non ti sei avvicinato a Gesù e dovrò saperti all’ Inferno a bruciare fra i dannati!”.
    E dopo quell’atto di coraggio ne seguirono altrettanti, ogni giorno, per settimane e mesi, fino a quando il marito, esausto, non decise di dar retta alla moglie.
    Prese informazioni sugli orari delle Confessioni, quindi su quello delle S. Messe, e si avviò una Domenica mattina ad assistere alla S. Messa e, finalmente, comunicarsi.
    Durante la celebrazione Papa Caliazzu fu colto da un irrefrenabile attacco di diarrea e dovette, suo malgrado, chiedere permesso agli astanti per sospendere la funzione. Così fece e si allontanò come un forsennato per obbedire repentinamente alle sue ribelli budella.
    Terminato, trascurò di compire l’ ultimo atto che tutti i comuni mortali fanno dopo essersi rilassati sul water. Rientrò dunque in chiesa e continuò la celebrazione da dove l’ aveva interrotta.
    Distribuì la Comunione e fra i primi, quasi fosse la prima volta, c’era il massaro, timido e ansioso proprio come i piccoli che per la prima volta ricevono Gesù.
    Tornato al suo posto il massaro avvertiva in bocca un non so che di disgustoso, quasi repellente, che continuava ad accentuarsi.
    Si rivolse allora alla vicina di banco, risaputa pizzoca, anche lei come tanti altri in raccoglimento:
    -commare, toglimi un dubbio!;
    -si, dimmi;
    -ma che sapore ha la particola che abbiamo preso?
    e quella, con aria di saputa,
    -ma non può avere sapore! è il Corpo di Cristo!
    e l’ altro
    -e sangu ti cusì, proprio a me doveva capitare la parte più sporca di Nostro Signore?

  3. In una fredda serata d’ inverno Papa Caliazzu e la sua fedele Porzia avevano alzato il gomito più del solito, dato che quel giorno era il compleanno del curato. Bicchiere dopo bicchiere, “alla salute mia” e “alla salute tua”, s’ erano scolati oltre due litri di vino che il fattore Pici regalava ogni anno in suffragio della bonanima di sua moglie.
    Pieni quanto basta, i due andarono a letto molto tardi.
    Durante la notte i dolori disturbarono in più occasioni l’abbraccio di Porzia con Morfeo e più si faceva fonda più aumentavano, tanto che Papa Caliazzu dovette più volte invocare San Martino perchè facesse sentire bene la sua serva:
    Santu Martinu ti Roma ‘inìa
    circò ricoveru a ‘na massaria:
    sotta acqua, sobbra sarmente,
    falli passare ‘sta togghia ti ‘entre!
    Ma San Martino non voleva saperne ed il curato fu costretto ad andare a chiamare il medico.
    Giunti in casa Porzia stava un pò meglio perchè era riuscita a vomitare. Il medico sbirciò il rigettato e lo trovò terribilmente alcolico: una pozza di vino bagnava il lastricato! Si rivolse allora al curato
    -Reverendo, e che facciamo? quanto vino le ha fatto bere?
    ed il prete
    -è stata una serata particolare e abbiamo mangiato e bevuto un pò!
    -Porzia si fa grandicella! deve bere latte, altrochè vino!
    -lo so dottore, ma non poteva certo accompagnare i due chili di cozze di mare che si è mangiato con il latte!

  4. *Ad oculos per istam sanctam unctionem*

    Chiamato Papa Galeazzo al letto di un moribondo per somministrare gli ultimi sacramenti, dopo aver recitato i due oremus ed aperto il rituale, intinse il pollice nell’olio santo e fece segno al sacrestano di rimuovere le coltri del letto.
    Il sacrestano, pratico di tali funzioni, domandò all’ Arciprete da quale parte dei sensi volesse cominciare la santa unzione.
    – Dalla prima indicazione, rispose Papa Galeazzo, ad culos per istam sanctam unctionem, e in ciò dire pose sotto gli occhi del sacrestano il rituale.
    L’assistente, sorpreso, pur non sapendo leggere, gli fece notare che la prima indicazione prescrive che si cominci dagli occhi.
    L’arciprete portò sotto il suo naso il rituale e si accorse che il tarlo aveva roso la vocale o per cui egli aveva letto ad culos, da dove aveva voluto incominciare la santa unzione.

    Fonte
    RIZZELLI RUGGERO, Gi aneddoti di papa Galeazzo, Capone Editore, 1993.

  5. *Amici dappertutto*

    Ricorrendo la festa di S.Michele, 29 settembre, e per quanto l’Arcangelo non fosse santo devoto del popolo di Lucugnano, pure l’arciprete volle che si accendessero candele dinanzi alla sua immagine che adornava uno degli altari laterali della chiesa maggiore.
    Mentre che il sacrestano finiva di accendere le candele capitò in chiesa Papa Galeazzo.
    – Che cosa avete fatto? Domandò l’Arciprete al sacrestano; le candele son troppe vicine, l’una all’altra; e rimuovendone una, egli stesso la collocò davanti alla figura del diavolo che era dipinta all’estremità del quadro.
    – Arciprete, osservò il sacrestano, ma voi, così, fate ardere la candela anche al diavolo?
    – Eh! Caro mio, rispose tosto Papa Galeazzo. Nessuno sa ove s’abbia e finire; bisogna farsi degli amici dappertutto!

    Fonte
    RIZZELLI RUGGERO, Gi aneddoti di papa Galeazzo, Capone Editore, 1993.

  6. *Le traduzioni di Papa Galeazzo*

    Papa Galeazzo insegnava latino in Alessano e il libro suo prediletto di testo erano le Bucoliche di Virgilio. Un giorno ebbe ad assegnare come compito la traduzione del canto pastorale: Titire tu patulae recubans sub tegmine fagi, che nessuno degli studenti seppe tradurre.
    – Bestie!!! Gridò Papa Galeazzo e tradusse: Titire si rifugiò sotto la pentola dei fagiuoli!!!.

  7. Dopo quello che la Redazione ha copiosamente aggiunto mi sta venendo la tentazione anzitutto di aggiornarmi su tutte le storie di questo personaggio tramandate, e poi, eventualmente, di dire la mia…

    • e noi attendiamo fiduciosi, caro Armando. Papa Caliazzu è la figura più amata dal popolo salentino e i suoi “cunti” o “culacchi” hanno allietato le serate dei nostri padri, quando ancora non c’era la televisione.
      Una tradizione orale trasmessa per secoli, in parte raccolta su libri editi fino a qualche decennio fa (mi sembra siano stati pubblicati finora tre libri).
      Sarebbe molto interessante raccogliere altri racconti, finchè vivranno i nostri anziani, riproponendoli ai più giovani che, forse, non ne conoscono neppure l’esistenza. Spigolature Salentine è ben lieta di accogliere ogni ulteriore arricchimento che vorrà giungere a tal proposito dal suo pubblico

  8. dal “Breviario di Papa Galeazzo” del 1912, riproposta nel 1979 da Congedo editore a cura di Michele Paone

    Papa Galeazzo prende possesso della parrocchia di Lucugnano il giorno della Pasqua

    Il bacio della pace

    Sospira il Capo e tutto il Vaticano che vogliono Galeazzo parrocchiano e papa Galeazzo festante si presentò al popolo di Lucugnano, nel dì della Santa Pasqua, per prendere possesso della parrocchia. Dalla Baronessa, Donna Ermenegilda Alfarano-Capece, feudataria del luogo, al più modesto cittadino nessuno dei lucugnanesi mancò d’intervenire alla funzione.
    Papa Galeazzo, cantata la messa, al Vangelo rivolse al popolo la sua prima omelia, nella quale prendendo argomento della festa che ricorreva e della sua presa di possesso nella parrocchia, raccomandò che si dovesse risorgere a vita novella: che, deponendo le ire ed i rancori, tutti dovessero amarsi come fratelli.
    Con così calde ed ispirate parole Galeazzo riuscì a commuovere i suoi filiani, tanto che li spinse ad abbracciarsi e baciarsi l’un l’altro. Imponente spettacolo…! Uomini e donne, vecchi e bambini, senza badare al sesso ed all’età tutti, tutti si abbracciarono e si scambiarono il bacio della pace.
    Quietatasi la scena, Don Galeazzo, che aveva notato come alla sola Baronessa nessuno si era accostato per abbracciarla e baciarla, riprese il discorso, per rimproverare la grave omissione ed incitare quei buoni vassalli a suggellare la pace anche con la illustre loro feudataria.
    Tutti trovarono giusto il rimprovero; ma chi si azzardava osar tanto!? Chi si poteva arrischiare di toccare un lembo solo della veste baronale!? Malgrado i ripetuti incitamenti, l’enorme differenza sociale tratteneva ciascuno e Papa Galeazzo, persuaso alfine della modestia dei suoi filiani, risolvendo il problema, sceso dall’altare: – Ho capito, disse, questo boccone aspetta a me!
    Il popolo gli fece largo, e l’Arciprete, in cappa magna, si portò presso la Baronessa, se la strinse al seno e le scoccò in fronte un sonoro bacio: Il bacio della pace!

  9. Le mani di Carlo V

    Una sera il Barone di Lucugnano mostrava alle persone che solevano tenergli compagnia un bellissimo ritratto di Carlo V che aveva ricevuto in dono dal sovrano.
    – Guardino, guardino, osservava il Barone, come è piena di modestia la persona dell’imperatore; egli ha le mani senza guanti!
    – Non usa portarli, rispose Don Galeazzo, perché tiene sempre le mani nelle saccoccie dei contribuenti!

    (dal “Breviario di Papa Galeazzo” del 1912, riproposta nel 1979 da Congedo editore a cura di Michele Paone)

  10. Oh, mia santa Liberata!

    La Marchesa di Alessano da più giorni era sofferente per i dolori del parto: il bambino si era presentato di lato e lo sgravo non poteva avvenire senza la seria compromissione della vita della signora.
    Per ordine del Marchese si teneva esposto il SS.mo in tutte le chiese del paese e il popolo si affluiva per impetrare le grazie in prò della illustre sofferente. Tal notizia giunse anche a Lucugnano e Don Galeazzo, che era molto amico della famiglia marchesale, volle portarsi in Alessano per unire le sue preghiere a quelle di quel popolo così devoto.
    Giunto Don Galeazzo al paese, ed avendo appreso per via il peggioramento della signora, senza altro, corse difilato al palazzo. Il suo arrivo fu tosto annunziato al Marchese, il quale, ricevendolo in sulla soglia della stanza coniugale, volle introdurre l’Arciprete, per confortare la Marchesa.
    – Don Galeazzo mio, esclamò la povera signora, nel vedere entrare l’Arciprete di Lucugnano, fatemi una efficace preghiera acche’ mi liberi da questo pericolo!
    A questa pietosa domanda della Marchesa Papa Galeazzo si commosse, ma nell’alzare gli occhi al cielo, e nello scorgere un bellissimo quadro di Santa Liberata, che pendeva da un muro, si animò di quel tale suo umoristico spirito e, con affettata compunzione, a mani giunte, si rivolse alla Santa:
    Oh, mia Santa Liberata,
    Fa che dolce sia l’uscita,
    Come dolce fu l’entrata,
    Oh, mia Santa Liberata!

    A questa scappata di Papa Galeazzo la Marchesa non seppe trattenere il riso, all’urto del quale le si aprirono i vasi, il bambino subì il moto naturale del rivolgimento e, prima ancora che la stessa signora si accorgesse, venne giù felicemente il marchesino.

    (dal “Breviario di Papa Galeazzo” del 1912, riproposta nel 1979 da Congedo editore a cura di Michele Paone)

  11. Si, chi ebbe tempo di pensare!?

    Un lunedì, Papa Galeazzo, a cavallo del suo famoso somaro, ed in compagnia di diversi amici, si recava al mercato di Alessano.
    Ad un punto della via, che correva montuosa, il somarello, facendo uno strano balzellotto, scivolò e nella caduta travolse sotto l’Arciprete che, pur non pensando a liberarsi dal peso dell’animale, uscì in imprecazioni contro la povera bestia.
    – Eh, compare, gli gridò uno della comitiva, a che te la pigli col somarello, quando poi non pensi ad invocare il nome di Dio perché venga in tuo soccorso?
    – Bravo, rispose l’Arciprete, uscendo da sotto la bestia, e chi aveva tempo di pensare a Dio?

    (dal “Breviario di Papa Galeazzo” del 1912, riproposta nel 1979 da Congedo editore a cura di Michele Paone)

  12. “Lu cutrubbu” di papa Galeazzo

    Piovevano presso la Curia Vescovile di Alessano continui ricorsi perché l’Arciprete di Lucugnano non accendeva la lampada presso l’altare del SS.mo Sacramento.
    Monsignore lo chiamò in residenza e lo redarguì severamente, facendogli notare quale sconvenienza era la sua.
    Don Galeazzo si discolpò assicurando il superiore che n’era stata cagione l’aver egli terminata la provvista dell’olio e che insino al nuovo raccolto non avrebbe potuto fare diversamente, salvo, supplicò, se Monsignore illustrissimo non lo avesse voluto soccorrere.
    – Anch’io, mio caro Don Galeazzo, rispose Monsignore, mi trovo scarso in olio: ho tanti impegni, tante lampade da alimentare; ma riconoscendo giuste le tue discolpe e conoscendo anche la povertà della tua chiesa, del poco che posseggo te ne fo parte: mandami una boccetta e provvedi per ora ai tuoi bisogni.
    – Grazie, Eccellenza, mille grazie, Eccellenza.
    – Prego, Arciprete mio, quando si può far del bene…
    E Don Galeazzo, sprofondandosi in ringraziamenti, baciato che ebbe l’anello pastorale, fece per andarsene.
    -Poco olio, Arciprete, poco te ne manderò, gridò ancora Monsignore a Don Galeazzo, ricordandosi che anche la sua provvista era stata fortemente decimata da altre somministrazioni.
    – Non dubiti, Eccellenza, si affrettò l’Arciprete a rassicurare il superiore, le manderò un piccolo cutrubba, tanto quanto potrà bastare a togliermi pel momento dal presente imbarazzo.

    In Lucugnano allora, come oggi, si fabbricavano bellissimi vasi d’argilla, per la conservazione del vino chiamati volgarmente vozze, e per depositarvi olio, chiamati orci: di questi orci però se ne fabbricavano di piccolissima mole, per gli usi domestici, da tener luogo alla bottiglia dell’acetiera, di forma speciale, col becco, da servire meglio agli usi della cucina, e si chiamavano cutrubbi: e, Papa Galeazzo, che via facendo aveva intanto studiato il modo di rifornire meglio la sua dispensa, giunto al paese, di ritorno da Alessano, ordinò espressamente ad un abile figulo un orcio della capienza di tre salme, ma dalle forme e del tutto identico ai piccoli cutrubbi.

    Come fu pronto il mastodontico cutrubbu lo fece collocare sopra di un traino o lo spedì ad Alessano, da Monsignore, con la seguente lettera:
    “Eccellenza
    Mando per rilevare quel poco di olio che con tanta bontà mi ha promesso e, mentre ancora una volta la ringrazio, non ho dimenticato la raccomandazione, mandando una boccetta, nu cuttrubbu, dove potrà far mettere quel poco d’olio che ha destinato per me.
    – le manderò un piccolo cutrubbu, tanto quanto potra’ bastare a togliermi pei momento dal presente imbarazzo.
    Bacio il S. Anello e mi raffermo Devotissimo servitore DOMENICO Arcip. GALEAZZO

    In quel momento che nell’atrio episcopale giunse il traino col cutrubbu di Papa Galeazzo, Monsignore, che era molto affaccendato, letta in fretta la lettera dette all’Economo le opportune disposizioni. L’Economo si provò a formulare qualche eccezione, ma il Vescovo, o che non comprese le proteste del suo dipendente, o che ritenne più che ingenua la lettera di Papa Galeazzo, non permise che si eccepisse intorno ai suoi ordini e, all’Economo, che tutto mortificato correva per eseguirli, gridò:
    – Empitela, empitela pure!

    La sera, Papa Galeazzo vuotò nella pila della sua dispensa ben tre salme di olio.
    Due giorni dopo, Monsignore, stando a tavola, ne] condire l’insalata, si accorse che l’olio dell’acetiera non era di quello stesso che fin quel giorno s’era usato nei condimenti e ne chiese conto all’Economo.
    – E vero, Eccellenza, rispose l’Economo, quest’olio è di un’altra pila, cominciatasi ad usare soltanto oggi.
    – Come? ripeté meravigliato Monsignore, s’è già dato fondo a quell’altra che appena da un mese s’era cominciata?!
    – Sì, Eccellenza! E se mi permette di obiettare, una seconda somministrazione, come quella che Vostra Eccellenza ha fatto a Papa Galeazzo, e anche a quest’altra pila presto si darà fondo!
    – Non comprendo! rispose il Vescovo alquanto accigliato. Una somministrazione come quella di Papa Galeazzo? Ma se a Papa Galeazzo non se n’è dato che una piccola boccetta??
    – Una boccetta, Eccellenza!? una boccetta! !!
    – Sì, una boccetta! Egli mi scriveva che mandava un piccolo cutrubbu!? – Cutrubbu, sì, Eccellenza, ma della capienza di tre salme
    – Tre salme!!! gridò inorridito Monsignore. Dio mio che cutrubbu!!

    (dal “Breviario di Papa Galeazzo” del 1912, riproposta nel 1979 da Congedo editore a cura di Michele Paone)

  13. “MO LA CACCIA…!”

    -Figliuoli! – tuonava un giorno Papa Galeazzo dal pergamo, recitando l’omelia domenicale. -Perché tanti peccati? Qual è mai la causa dell’ira celeste, che come nembo sinistro si addensa sul nostro capo? Tutto questo per un pezzettino di carne! Sì, per un pezzettino! Per un pezzettino di carne gli omicidi, le vane vendette, i tradimenti! Per un pezzettino di carne i peccati di falso, di lussuria; per tal pezzettino!…Volete vederlo? Sì, io ve lo mostrerò! Esso non ha osso e rompe l’osso; esso è lungo, sottile e pungente come un ago; è la parte più scostumata, più sozza del corpo umano! Volete constatare la verità? Io ve lo voglio mostrare! è il demonio in persona, figliuoli, eccolo, guardatelo!…-

    Un movimento convulso, intanto, aveva invaso l’uditorio, che aveva frainteso l’allusione dell’Arciprete; le donnicciuole, scandalizzate, si agitavano e, quando intesero che l’Arciprete insisteva di mostrare davvero il tanto famoso pezzettino di carne, chiudendo gli occhi per non vedere, inorridite, gridarono a coro: mo lo caccia!

    E Papa Galeazzo la cacciò col fatto, la lingua, fra lo stupore generale, conchiudendo come quel pezzettino di carne, sede della maldicenza era la causa di tutti i mali. All’uscita della chiesa, molti furono i commenti e le donne serbarono per gran tempo l’ostentato timore, immaginando chi sa quale cosa di grave avrebbero dovuto vedere dell’Arciprete!

    (dal “Breviario di Papa Galeazzo” del 1912, riproposta nel 1979 da Congedo editore a cura di Michele Paone)

  14. Le castime te li Caddhipulini

    Lu vescuvu de Caddhripuli ddumandàu a quiddhu de Alessanu se li putìa mprestare nu prete pe la chieseddha de fore pe la missa de la duminica. Bbunsignore li mandàu papa Caliazzu, ca dopu nu paru de dumìniche non ci scìu cchiùi percè la chesia era mutu luntana.
    Li furesi allora se lamentara e lu Vescuvu se chiamau l’arciprete cu saccia la ragione de ‘stu rifiutu.
    -Bbunsignore, no su sciutu cchiui pe quante castìgnite vaie dicennu ‘ddha gente mentre dicu missa, li disse papa Caliazzu.
    Allora li do Vèscuvi decìsera cu verìfcane ‘sta lamentela e, scusi scusi, ‘na duminica se mìsera de retu ‘llu confessionile. Papa Caliazzu, ca era capita la ‘ntifuna, scusu scusu, prima cu apra la chiesa, vacàu ‘na capasa de oiu bollente ‘ntra ll’acquasantiera. Quannu la gente ncignàu a trasire, a ogni muddhata de tìscite cuminciava ccastima a ogne manera. Li Vescovi tèsera ragione a papa Caliazzu e chiùsera la chiesia.

  15. su segnalazione del GruppoArcheologico Di Terra d’Otranto

    La sorella di Papa Galeazzo, una zitellona che pretendeva di fare la giovane a quarant’anni non finiva mai di ripetere averne soltanto venticinque. Un giorno si parlava di età, e la zitellona, per avvalorare il suo asserto, chiamò in prova… il giudizio del fratello. – Vero, vero – rispose papa Galeazzo – son quindici anni che mia sorella ve lo sta ripetendo!-

    (il breviario di papa Galeazzo – Rizzelli)

  16. Monsignore, invitato in Patù nel giorno che si festeggiava San Giovanni, aveva condotto seco l’Arciprete di Lucugnano per aver da esso assistenza nella funzione. Terminata la festa, nel far ritorno in Alessano, proprio all’uscita di Patù, Monsignore si accorse che in un giardino era a vendere bellissimi fioroni e, ghiotto come era dei fior di fico, fermata la carrozza, ne acquistò un panierino.
    Il panierino, per risparmiarlo agli urti ed ai traballi della carrozza, date le difficili condizioni della viabilità in quel tempo, fu collocato entro la carrozza, tra le gambe del Vescovo e di Papa Galeazzo, al quale ultimo pareva troppo lungo il tempo di aspettare l’arrivo in Alessano per gustarli.
    Quando fu che la carrozza ebbe attraversato Giuliano, ed imboccata la via per Montesardo, Monsignore, aperto il breviario, si pose a leggere. A Papa Galeazzo parve tempo di assaggiare un fiorone: e, piano piano, per non richiamare l’attenzione del superiore, rimosse da un lato le foglie che coprivano il panierino, imboccò un bel fiorone. Al Vescovo non era sfuggito l’atto dell’Arciprete e, per punirlo, levati gli occhi da sul breviario, domandò: “Arciprete, a chi appartiene questo oliveto?”. Papa Galeazzo, colto in fallo, per nascondere la sua intemperanza, sporse il capo dallo sportello, rigettò il boccone e, fingendo di spingere lo sguardo per distinguere la proprietà di che si desiderava conoscere il padrone, rispose: “Eccellenza, non lo so”. Passati brevi istanti e Papa Galeazzo, assicuratosi che Monsignore aveva ripreso la lettura del breviario, novellamente mise mano una seconda volta al panierino. Ma non ancora aveva cominciato a deliziarsi nella dolcezza di un altro squisito fiorone che Monsignore, fatto accorto, gli domandò: “Arciprete, di chi è questa Masseria?”.
    Papa Galeazzo, tra il borbottare e il rendere libera la bocca di cui il fiorone era caduto stavolta dallo sportello della carrozza e, un po’ stizzito, rispose di ignorarlo.
    Tale giocosità si ripetè sino a che i due giunsero ad Alessano, col paniere vuoto e col dispetto di Galeazzo per non aver potuto assaporare un fior di fico. Giunti in Alessano, per l’ora tarda, convenne a Papa Galeazzo di annotare in Episcopio e quando fu notte pensò di vendicarsi col superiore che gli aveva disturbata la mangiata dei fioroni. Infatti, mentre che Monsignore dormiva la cenerina, Papa Galeazzo si leva e bussa all’uscio della stanza dove dormiva il prelato. Monsignore si risveglia di soprassalto e domanda chi è che lo desta e che cosa si voglia da lui. “Sono io”, rispose l’Arciprete, “e chiedo scusa se vengo ora a soddisfare la sua curiosità: proprio ora mi è sovvenuto che quel fondo oliveto, sito all’uscita di Giuliano, di cui Vostra Eccellenza voleva sapere la pertinenza, è di proprietà dei conti Panzera”.
    “Grazie, grazie, Arciprete”, rispose Monsignore, voltandosi all’altra parte e mostrando maggiore interesse di dormire anziché di appagare la momentanea curiosità venutagli in viaggio. Papa Galeazzo, mogio mogio, tornò nella sua stanza e, scandagliato quando il Vescovo dormiva la grossa, si ripresentò di bel nuovo e bussato all’uscio:
    “Monsignore! Monsignore!”.
    “Chi è” gridò il Vescovo un’altra volta.
    “Sono io, Monsignore, vengo per dirle che quella masseria di cui mi richiese la pertinenza si appartiene al Capitolo di Salve”.
    “Al diavolo te e la masseria”, proruppe il Vescovo fortemente incollerito, “come potrò più riconciliare il sonno!?”.
    “Come?!”, rispose l’Arciprete, “alla maniera stessa di come io non potetti deliziarmi dei bellissimi fioroni!!”.

    Tratto da: PAONE M., Breviario di Papa Galeazzo, pp. 53-54, Galatina 2001, Congedo Editore.

  17. Ho appena aperto Spigolature e mai immaginavo di poter scatenare una caccia ai culacchi di papa Cajàzzu. Beh, fa piacere, ne ho altri in serbo. Sono tra quei lontani bambini fortunati (si fa per dire) che non avevano mai visto né posseduto un libro. In compenso, non mancavano le storie vissute, della guerra soprattutto, e i racconti della tradizione salentina, anche le storie di papa Cajàzzu. Erano narrazioni a viva voce dei nonni, dei genitori e di tanti altri che rallegravano le nostre serate: d’inverno vicino al focolare o intorno alla caddarina te focu, d’estate fuori casa mentre si godeva il fresco. Era teatro puro. E non mi pento di essere stato senza libri. Li avrei avuti i libri. E tanti.

  18. mio nonno di cutrofiano ha sempre desiderato un nipote prete. Ha concepito nove figli, poi ha avuto la fortuna di vedere venti nipoti, di cui quindici maschi, ma non è stato accontentato nel suo desiderio di vedere un prete in famiglia. Lui che di domenica, con la sua bicicletta da bersagliere, giacca e cravatta, si recava alla Messa del mattino. Queste storie mi ricordano mio nonno, la fierezzza del contadino.

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