Marion

di Dora Elia

John Everett Millais (1829-1896), Vísperas de Agnus

Filo di rossetto sì, filo di rossetto no?

Marion si guarda allo specchio e non sa decidere se colorare di rosso le labbra oppure no.

L’immagine riflessa trasmette tutta la gioia che le gonfia il cuore per l’incontro ormai imminente.

È da due giorni che si prepara per Juan, finalmente lo rivedrà e non sta più nella pelle, il tempo che la divide da lui le sembra troppo lungo e inutile.

I preparativi sono iniziati ieri: piega ai capelli, ceretta alle gambe, smalto alle unghie dei piedi e delle lunghe mani che Juan, tante volte, le ha detto esser le più belle del mondo, le uniche le cui carezze lo fanno impazzire.

È buffo come una donna prepari ogni minimo dettaglio per l’amato, quasi fosse la prima volta, come se dovesse stupire,conquistare chi già pende dalla sua bocca.

Costa fatica, ad una donna, prepararsi all’amore, anche quando è solo una ragazza come Marion.

Capello in ordine, ma non troppo per non sembrare apparecchiato per l’occasione, pelle liscia e profumata, ma di crema alla vaniglia, non di alcool di profumo da boutique, vestito semplice e morbido al tatto, biancheria intima piccante, magari solo lo slip: a diciannove anni i seni non hanno bisogno di supporto!

E poi il copione delle frasi da non dire, dei gesti da non fare da imparare a memoria.

Un lavoro, incontrare il proprio uomo, soprattutto quando non è più un ragazzino e il suo mondo è difficile da capire per chi ha ancora l’argento vivo addosso.

Marion vive ogni volta l’ansia dell’attesa e della preparazione, vuole essere bellissima per Juan.

I suoi diciannove anni le vanno stretti, lei col corpo di bambina e il fare da donna, legata con tutta l’anima al cuore di quell’uomo di quasi quarant’anni che sembra un ragazzino quando va al mare con lei con i suoi boxer rossi a fiori bianchi, dal sapore hawaiano.

La differenza d’età non la spaventa, è un dettaglio.

Sa che Juan è l’altra metà della mela, malgrado i primi capelli bianchi ad imperlargli le tempie e il completo scuro, con cravatta Regimental, sfoggiato nel suo Suv nero quando va in tribunale.

Lo conosce da un anno, ma è come se facesse parte della sua vita da sempre, come se il suo profilo fosse quello dei disegni all’asilo e il solo a volere accanto, al risveglio, nel suo futuro da grande.

Quando sono insieme il resto del mondo perde consistenza, nulla ha più valore, tranne i loro corpi stretti sul piumone giallo, nella penombra complice dell’amore.

È diventato il suo tutto, la molla per svegliarsi al mattino e andare al lavoro- fa la barista per pagarsi gli studi in lettere all’università- il dolce peso del troppo pensarlo la sera che la spinge ad andare a letto e magari a sognarlo, abbracciato a lei.

Marion respira perché Juan esiste e il cuore le batte all’impazzata quando lui la chiama tesoro mio e se la stringe al petto.

Marion con i suoi capelli al vento, nelle notti solitarie al mare, con la luna a farle compagnia.

Marion che cammina a testa alta tra la gente, difendendo il suo segreto.

Marion, così complicata nella sua semplicità, che ha imparato troppo presto che l’amore non è la bella favola che ci raccontano i libri, ma è, a volte, distacco, sacrificio, sapersi dare senza pretendere nulla in cambio, aggrapparsi all’attimo senza sperare nell’eterno.

Lo dice anche Verdone, l’amore è eterno finché dura, se lo ripete Marion a denti stretti ogni volta che teme che Juan la voglia lasciare ma, in fondo in fondo, non ci crede, spera che quello sia l’uomo della sua vita: ha pur sempre diciannove anni e ha il diritto d’illudersi, malgrado sappia quanto sia amaro il gusto della delusione se le cose non vanno come speriamo.

Lo pensa anche oggi, mentre fa gli ultimi ritocchi- alla fine un po’ di rossetto lo ha messo, per risaltare la prima abbronzatura presa durante le sue passeggiate in campagna- prima di salire nel suo Pandino verde e andare da lui, nella sua casa al mare: l’amore è eterno finché dura…

Indossa i sandali colorati sotto la minigonna in jeans e la maglia blu che le ricade abbondante sui fianchi, scollata appena sull’attaccatura del seno.

Infila il suo orecchino in osso portafortuna, l’altro lo ha perso nell’auto di Juan la sera del loro primo incontro e non lo ha più ritrovato, per un po’ ha persino pensato che lui lo abbia tenuto per avere un souvenir della loro storia, ma non ha mai avuto il coraggio di chiedergli se è davvero così e il romanticismo si è trasformato nella più comune concezione che i sedili delle auto inghiottano i particolari dell’amore- orecchini, mollette, bottoni- per restituirli nei momenti meno opportuni, magari alle mogli ingenue che non sospettano nemmeno lontanamente l’esistenza di un’amante e che hanno bisogno di un capello estraneo sul tappetino o di un fermaglio non loro incastrato nella giuntura del sedile per cadere dalle nuvole.

Il rossetto fucsia sul colletto della camicia bianca messa alla riunione della sera prima o la voce affannata e appagata del marito a pesca con gli amici non bastavano!

Sorridendo a questi pensieri e augurandosi di non essere mai una donna così sciocca da non capire quando il suo uomo non la ama più, prende dal frigo la bottiglia di Muller Thurgau che ha comprato il giorno prima dalla migliore enoteca di Lecce- venti euro perché sei tu, Marion, e perché penso serva a festeggiare un’occasione importante, le ha detto Mauro il commesso innamorato di lei e geloso, senza conoscerlo, dell’uomo che avrebbe bevuto quel vino con lei- e i due flute comprati al Nine T Nine a soli novantanove centesimi, ripone tutto in una shopper in stoffa che finisce sul sedile posteriore della Panda e sale in auto contenta, con la voglia di lui ad accarezzarle il corpo e l’anima.

Prende la litoranea per raggiungerlo, è un po’ in anticipo e la strada le ritarderà il viaggio quanto basta per arrivare puntuale all’appuntamento.

Dal finestrino aperto respira il profumo della salsedine e si fa baciare dal vento, fresco, che taglia netto l’aria calda del giugno di Puglia.

I Mentedirado nello stereo con la loro Big Bang, la sua canzone preferita, a farle compagnia mentre si lascia Otranto alle spalle e Santa Cesarea sembra sempre meno lontana.

Ancora un quarto d’ora e sarà da Juan.

È bella Marion mentre guida verso il suo amore, leggera e lieve come una piuma, profonda nell’eco delle sue emozioni che rimbombano fragorose dentro e fuori di lei e sono troppo grandi per l’abitacolo del Pandino e forse ancor di più per le mani di un uomo.

Su Le lacrime che non t’aspetti squilla il telefonino: è Juan!

Lei accenna un euforico pronto.

Vorrebbe dirgli: “Fiuru sto per arrivare, un quarto d’ora e sono da te! Non vedo l’ora di coprirti di baci e di raccontarti cosa mi è successo ieri!”, ma non ce la fa perché Juan la interrompe e le dice, asettico: “Spero non sia già in auto, Marion! Mi ha telefonato due minuti fa mia moglie per dirmi che sta per rincasare. Mi spiace, ma per oggi non possiamo vederci.”

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