L’approvvigionamento idrico nel Salento nel corso dei secoli


di Antonio Bruno

Tutti sono consapevoli che senza l’acqua non è possibile pensare alla vita. Gli insediamenti delle persone umane sono sempre avvenuti nei pressi dei corsi d’acqua che consentivano una semplicità di approvvigionamento.  Io vivo nel Salento leccese che è caratterizzato dall’assenza di corsi d’acqua superficiali. In questa terra il carsismo provoca la dissoluzione delle rocce calcaree, determina l’infiltrazione delle acque nel sottosuolo, più specificamente nel basamento carbonatico della penisola, dove si forma una potente falda, detta falda di fondo, sostenuta dalle acque marine di intrusione continentale e quindi l’acqua è nascosta nelle viscere della terra e sino al secolo scorso i miei antenati ne ignoravano anche l’esistenza.

Ecco che mi chiedo e vi chiedo come possa essersi sviluppata la civiltà in questa terra senz’acqua?

Nell’800 l’acqua dolce del Salento leccese era raccolta con cura, veniva conservata e usata con grande parsimonia. L’acqua necessaria in quel periodo era ottenuta per una metà dalle falde superficiali, attraverso lo scavo di pozzi, e per la restante parte dalla raccolta dell’acqua piovana nelle cisterne.
Ma vediamo di capire qual’era la cura che si aveva per l’acqua nel Salento leccese: si costruivano delle cisterne nel tufo e poi venivano ricoperte lasciando un apertura che permetteva la raccolta delle acque. Nella zona della “Grecìa salentina”, nei comuni di Martano, Soleto, Martignano, Calimera, Sternatia, Zollino, Corigliano d’Otranto, Melpignano e Castrignano, siccome risulta assente la falda superficiale, si raccoglieva l’acqua piovana in cisterne dette “pozzelle”.
Cosimo De Giorni nel 1872 così descrive le cisterne dette pozzelle: ” Se in un terreno costituito da strati relativamente permeabili, si pratica uno scavo e le pareti si circondano di muratura composta di pietre filtranti e il fondo si copre di argilla o bitume o altre sostanze impermeabili, allora le acque piovane si verranno a raccogliere e depositare negli strati inferiori e dureranno un tempo abbastanza lungo. Nel caso delle pozzelle lo strato permeabile è costituito dalla rozza muratura e dalle marne ferruginose, lo strato impermeabile è formato dalle argille. Ho voluto osservare da vicino codeste costruzioni in quelle pozzelle nelle quali l’acqua raggiungeva un livello relativamente inferiore. Le volte sono costituite di pietre informi di leccese bastardo e di calcare compatto disposte le une sulle altre senza cemento a mo’ delle pareti dei muri che delimitano e circondano i fondi rustici, e così dalla base fino alla bocca del pozzo”.

Nei territori vicini a Lecce si raccoglieva l’acqua dilavante sui tetti, avendo cura di non far confluire nella cisterna di raccolta le prime acque autunnali che ruscellando sui tetti polverosi dopo il periodo estivo divenivano cariche di polveri e altre sostanze che erano trasportate dall’acqua.
L’acqua piovana delle precipitazioni atmosferiche successive veniva invece accumulata nella cisterna. In alcuni casi l’acqua piovana che scendeva dai tetti veniva canalizzata in cataletti di zinco o di mattoni e convogliata nella cisterna principale. Questa cisterna era divisa trasversalmente dall’alto in basso da un muro a secco che, come noto, se lasciato senza intonaco,  è molto poroso. Questo muro a secco faceva da “filtro” perché l’acqua passando attraverso questo muro dalla cisterna principale a quella secondaria più piccola risultava filtrata e da qui poi veniva attinta per essere utilizzata. Sistema ingegnoso e assolutamente in linea con i sistemi di filtraggio delle acque utilizzati oggi.

La quantità d’acqua nella cisterna, oltre a dipendere dalle precipitazioni atmosferiche stagionali, era funzionale alla superficie dei tetti e alla loro rifinitura. Infatti è intuitivo che una più ampia superficie di tetti era in grado di raccogliere più acqua piovana. Il limite di allora era rappresentato da case piccole e soprattutto coperte in malo modo da mattoni e legno, se non addirittura di paglia e fango. I tetti così ricavati non erano sufficientemente impermeabili e quindi con una scarsa efficienza nella raccolta dell’acqua piovana.
In alcuni casi si raccoglieva l’acqua piovana canalizzandola dalle aie, che però presentavano una grande dispersione e soprattutto non garantivano l’igiene necessaria.
Vi era l’abitudine di disinfettare l’acqua mettendo nelle cisterne calce viva. Nel caso della raccolta dalle aie, essendo l’acqua carica di materiale organico, produceva cattivi odori che i contadini dell’800 mitigavano immergendo nelle cisterne piante odorose come ad esempio la menta, il timo ed il rosmarino. E’ del tutto evidente che l’acqua raccolta dalle aie era inutilizzabile per scopi potabili ed era invece disponibile per l’irrigazione delle piante.

Nel Salento leccese nel periodo del ‘600 e ‘700 vi fu un grande insediamento di conventi dei più disparati ordini religiosi che spensero la sete delle popolazioni più povere di allora. Come dici? La spiritualità e le preghiere furono la causa dell’approvvigionamento di acqua? No! I conventi avevano grandi superfici di tetti che captavano le piogge e che riempivano di acqua le cisterne dei conventi. Tale quantità era più che sufficiente per i religiosi che donavano l’esubero ai poveri contadini, che così spensero la loro sete.
Con l’avvento della rivoluzione francese e con l’abolizione degli ordini religiosi alle popolazioni del Salento leccese venne a mancare l’acqua dei conventi e la sete aumentò. Le opere di bonifica arrivarono molto più tardi e quindi l’assenza dell’acqua determinò la povertà di queste terre che vivevano di agricoltura.

Oggi con un gesto semplice, ruotando una manopola o alzando una leva, dal rubinetto viene fuori l’acqua, pura, incontaminata e potabile. E’ importante che tutti siamo consapevoli che questo semplice gesto è il frutto degli sforzi e dell’ingegno delle donne e degli uomini del Salento leccese che oggi ha acqua in abbondanza. Ma insieme a questa consapevolezza vi è un pericolo che è rappresentato dall’utilizzo smodato della risorsa che potrebbe esaurirsi. Ma questa è un’altra storia che presto vi narrerò.

 

Bibliografia
P. Papadia – P. Sansò: Le pozzelle del Salento leccese
Mario De Lucia – Franco Antonio Mastrolia: Società e risorse produttive in Terra d’Otranto durante il XIX secolo.

 

 

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Un commento a L’approvvigionamento idrico nel Salento nel corso dei secoli

  1. Molti autori, anche partendo dallo studio della toponomastica locale, propendono per la fondazione dei centri salentini in prossimità di falde freatiche. Sono “trattenimenti” abbastanza superficiali favoriti dalla presenza nel terreno di depositi argillosi che sono notoriamente impermeabili. Come spiega l’autore dell’articolo, in presenza di sola roccia calcarenitica o calcarea, la possibilità di trattenere l’acqua piovana in superfie o negli strati immediatamente sottostanti è alquanto scarsa. Mentre dei panni di argille fini a pochi metri dal piano di campagna, consentono il trattenimento di acque a profondità emungibili. Gli autori citati, tra cui un vecchio saggio di Spano, riscontrano sempre (o quasi) nei centri salentini il toponino puzze, in tante varianti, e spesso indicano luoghi quasi sempre pubblici dove erano ricavati dei pozzi drenanti (a ‘llimmiccu) che consentivano il drenaggio della falda freatica e l’emungimento. Si ritiene che la dimensione dell’abitato insediato fosse proporzionale alla ricchezza della falda sottostante. Solo la costruzione dell’Acquedotto Pugliese seppe rompere questo equilibrio, per cui la stessa città di Lecce potè superare il vecchio e storico limite dei 25-30.00 abitanti.

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