Nella magia del Salento: il viaggio di ricerca di Brizio Montinaro nelle tradizioni arcaiche di Terra d’Otranto

Brizio Montinaro e Massimo Ranieri

Una breve e insufficiente premessa

Sono tante, troppe e spesso immotivate le presentazioni che iniziano con una formula retorica e stereotipa del tipo: «è difficile raccontare, per gli svariati interessi e i tanti meriti, una personalità come…». Non avremmo mai voluto, pertanto, ricorrere a questo logoro topos della scrittura, eppure stavolta vi siamo davvero costretti. È infatti impossibile qui evitare un simile incipit, come francamente impossibile è tratteggiare adeguatamente la personalità di Brizio Montinaro in poche righe che siano, anche minimamente, sufficienti a cogliere la ricchezza che si riflette nei suoi contributi in campi e contesti così diversi, così fortemente eterogenei, al punto che – come si legge nel suo sito web – non sono stati pochi quelli che, prendendo un comprensibile abbaglio, hanno spesso creduto all’esistenza di più omonimi a cui attribuire le tante attività del medesimo individuo. Attore impegnato di cinema e televisione a livello internazionale, artista, uomo di teatro e di spettacolo in tutte le sue forme oltre che scrittore, etnografo ed antropologo raffinatissimo, tutto ciò è contemporaneamente e brillantemente questo salentino. Rinunciando allora, in coerenza, ad aggiungere altro a quanto ogni Spigolatore interessato non possa scoprire direttamente e liberamente dal suo ricco ed esaustivo sito personale  – www.briziomontinaro.it -, in questa sede ci limiteremo soltanto ad indicare, d’ulteriore, un unico tratto umano che abbiamo personalmente riscontrato in Montinaro e che teniamo dunque a testimoniare: la sua completa e generosa disponibilità, qualità alla quale dobbiamo la condivisione senza indugi dei suoi sforzi e delle sue affascinanti – quanto metodologicamente impeccabili – ricerche antropologiche in Terra d’Otranto a beneficio di tutti gli Spigolatori.
Proprio per invitare e approcciare questi ultimi a tali studi – di sicuro interesse per loro-, proponiamo di seguito un pezzo introduttivo al lavoro di ricerca più che quarantennale di Montinaro, un brano originariamente pubblicato su “Quotidiano” dallo studioso Ennio Bonea e qui riportato su gentile concessione del nostro nuovo, prezioso, compagno di spigolature, al quale offriamo così – a modo nostro – il più cordiale e sincero benvenuto.

Pier Paolo Tarsi


Dal tarantismo ai lamenti funebri della Grecìa (morolòja) fino al libro “San Paolo dei Serpenti

di Ennio Bonea

Il “viaggio di ricerca” di Brizio Montinaro, sulla realtà arcaica del Salento immutato per secoli e che oggi sta scomparendo, quello contadino, è iniziato negli anni Sessanta-Settanta da Calimera, suo paese natale, per toccare l’area della cosiddetta “Grecìa Salentina”, comprendente i paesi dove si parlava il dialetto indigeno, detto “grico”, una volta undici poi ridottisi a nove quindi a sette ed attualmente, con rari dialettofoni sopravvissuti alla cancellazione per disuso ma con studiosi ed associazioni che ne curano il ricordo e la storia, a due: Calimera e Martano.
Montinaro ha seguito la sua pulsione di curiosità ed ha registrato su block-notes quanto andava scoprendo di usi, costumi, tradizioni non più praticati o in via di abbandono e su nastri magnetici la riproduzione dei canti d’amore e di dolore sia in “grico” che in salentino antico. Le generazioni dei decenni più recenti li ignorano e rifiutano di impararli per un inconscio e malinteso riscatto sociale, ad essi preferendo il country di Bob Dylan, il rock di Pino Daniele e il rap di Jovanotti.
La raccolta dei dati e delle registrazioni, fatta per puro diletto, è diventata ragione di studio, e la “curiosità” folklorica, sulla strada aperta da Ernesto De Martino, è servita per dismettere i vestiti del dilettante ed indossare quelli dell’etnologo. Montinaro raccolse i suoi lavori dispersi in Salento povero (Longo ed., Ravenna, 1976, pp. 126).
La repertazione, sul campo, dei canti ripresi dalle voci dei superstiti vecchi contadini “gricofoni” e la loro trascrizione con relativa analisi, ha prodotto poi le pagine di Canti di pianto e d’amore dall’antico Salento (Bompiani, Milano, 1994, pp. 222), libro compreso nella collana “Nuova Corona” diretta da Maria Corti, la storica della lingua che sin dagli anni Cinquanta aveva indagato sul “grico”, ponendosi, lei milanese con venature salentine, in sintonia scientifica con gli ottocenteschi D. Comparetti, G. Morosi, V. D. Palumbo e i novecenteschi ahinoi scomparsi, C. Battisti, O. Parlangeli, G. Rohlfs.
Questo volume raccoglie i lamenti funebri (Morolòja), il “modo di piangere controllato” per “facilitare l’allontanamento del morto”, “per onorare la memoria”, “per impedire il ritorno”, espressi dalle préfiche (in latino répute) che venivano in genere dal vicinato (in greco ghetonìa), e potevano anche significare il conflitto tra il morto e Caronte al momento del trasbordo, che si chiamava Charopàlema, volume antologico, perchè i sessantanove canti riuniti: di pianto, 42, dei quali ventotto in “grico” e quattordici in dialetto salentino; e d’amore, 27, dei quali quattordici in “grico” tradotti in lingua e tredici in dialetto salentino non tradotti, con note esplicative in calce, sono tratti da testi di M. Cassoni, G. Morosi, D. Tondi, Maria Corti, Irene M. Malecore, G. Aprile, D. Romano, ma trentasei, sono stati raccolti direttamente da Brizio Montinaro che si è avvalso, specie per i “lamenti”, “dell’aiuto di Luigi Chiriatti”.
Il dilettantismo è superato dal desiderio di approfondire particolari argomenti incontrati nel corso dell’esame di argomenti generali, come ad esempio il “tarantismo”, punto da cui mosse E. De Martino per la terra del rimorso, che analizzò <<la festa dei Ss. Pietro e Paolo (29 giugno), quando cioè i tarantati affluiscono dai vari paesi del Salento alla cappella della guarigione ottenuta durante la cura domiciliare>>.
Montinaro, nel 1974 era tornato a Galatina per controllare se essa fosse deserta di “tarantati”, come aveva previsto De Martino nel 1959 e aveva rilevato statisticamente che, salvo una lieve flessione, S. Paolo era ancora considerato lo “psicanalista” dei tarantati. Si è dato perciò allo studio della presenza etnologica del serpente e nella sua valenza etologica nella superstizione di particolare popolazione in particolari territori, proponendo agli studiosi specialisti ed ai cultori delle credenze religiose, l’ultimo prodotto della sua ricerca non più dilettantesca.
San Paolo dei serpenti, Analisi di una tradizione (Sellerio ed., Palermo, 1996, pp. 144), inserito come 88° volume della prestigiosa collana “La diagonale”, con l’avallo di Alfonso M. Di Nola che conclude l’ampia prefazione, giudicando il lavoro di Montinaro <<un contributo non approssimato, serio e fondamentale per le analisi delle dialettiche di taumaturgie di santità che in Francia e in Italia da molte parti si vanno tentando>>.
Dal racconto di S. Luca in Atti degli Apostoli, di S. Paolo morso da una vipera senza essere avvelenato mentre si trovava a Malta, nasce il culto per il santo che diventa il vincitore di Satana, figurato nella vipera, e il protettore di coloro che siano morsi da serpenti o dalla taranta, anche attraverso l’acqua di alcuni pozzi sacri al santo. Questo culto, da Malta si estese in tutta la parte meridionale d’Italia, specie in Sicilia, in Calabria, in Puglia dove è particolarmente radicato a Galatina e anche a Copertino, come ha dimostrato Giulietta Livraghi Verdesca Zain in Tre Santi e una campagna (Laterza, 1995).
La tradizione paolina, col passare del tempo ha ampliato l’area del suo patronato, da quello dei serpenti e delle tarante, alla siccità alle febbri maligne, alla dissenteria, oltre che assegnare una patina di cristianizzazione alle pratiche magiche antiofidiche e a quelle coreutico-musicali del tarantismo, oltre che alla sacralità paganeggiante dell’acqua e della terra con qualità medicinali. C’è infine, un espresso desiderio di conciliare la cultura popolare-folklorica con quella ecclesiastica-dotta.
Il libro di Montinaro, di dotta ricerca e vasta bibliografia, mi ha richiamato alla mente una lontana lettura ginnasiale: Il Voyage autour de ma chambre, nel quale Xavier de Maistre descriveva i quarantadue giorni di arresti militari assegnatigli nel 1794. A parte l’immaginazione che lo fece uscir fuori dalla sua prigione, egli descriveva con precisione scientifica tutto l’aspetto della stanza, fino alla longitudine e alla latitudine. La Grecìa Salentina, mi è parsa la “stanza” di Montinaro, il quale è andato via via in profondità nel ricercare le ragioni storico culturali delle tradizioni e credenze, abbandonando la descrizione in orizzontale di quelle ormai affidate alla storia del folklore


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