Romanzo “brigante”

 
(da wikipedia)

1861-2011 – 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, Brigantaggio e secessionismo (3.)

di Maurizio Nocera

Se «si vuole comprendere veramente il “brigantaggio”, è proprio nel “quotidiano” dei contadini del Sud che bisogna scavare, immergendosi nell’atmosfera dei tempi, dei luoghi e dell’umanità che li percorse: bisogna – in altri termini – tentare un approccio al fenomeno che non sia preconcetto e partigiano, ma storico e antropologico»

La “miseria” del Mezzogiorno era “inspiegabile” storicamente per le masse popolari del Nord; esse non capivano che l’unità non era avvenuta su una base di uguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Mezzogiorno nel rapporto territoriale di citta-campagna, cioè che il Nord concretamente era una “piovra” che si arricchiva alle spese del Sud e che il [suo] incremento economico-industriale era in rapporto diretto con l’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura meridionale»

Romanzo “brigante”

di Maurizio Nocera

Ancora un appunto su un altro importante riferimento storico. Spesso i borbonici, quando parlano o scrivono di brigantaggio, richiamano una frase che Antonio Gramsci avrebbe scritto sul suo settimanale torinese «L’Ordine Nuovo» del 1920. È strano che costoro che citano Gramsci non diano mai le giuste indicazioni bibliografiche. Non riprendo qui la frase gramsciana di cui costoro si servono per richiamare il giudizio sullo Stato unitario, perché significherebbe per me, ancora una volta, falsificare la verità storica. Antonio Gramsci, in qualità di segretario generale del Partito comunista d’Italia, ha scritto tutt’altre frasi.

La supremazia del Nord

Conosco bene gli scritti di Gramsci su quel suo settimanale. Egli scrisse solo due editoriali di carattere, diciamo così, istituzionale: “Lo Stato italiano” (cfr. «L’Ordine Nuovo», 7 febbraio 1920, p. 282; e “Stato e libertà” (cfr. «L’Ordine Nuovo», 10 luglio 1920, p. 65). In questi articoli Gramsci denuncia le mostruose disparità economiche tra Nord e Sud, senza fare alcun accenno al brigantaggio, ma solo alle masse contadine meridionali costrette dai governi della Destra, primo fra tutti quello di Cavour, a prendere la via dell’emigrazione. E poi, vi sembra possibile l’esistenza di tali affermazioni sul brigantaggio di Gramsci e storici come Franco Molfese o Aldo De Jaco o Giuseppe Calasso che non ne conoscessero l’esistenza? È impossibile. Vero è invece che Gramsci ha scritto sì della formazione del nuovo Stato unitario, ma più compiutamente l’ha fatto nei “Quaderni dal carcere” (Einaudi, Torino 1975), dove afferma: «Che l’unificazione della penisola dovesse costare sacrifizi a una parte della popolazione per le necessità inderogabili di un grande Stato moderno è da ammettere; però occorre esaminare se tali sacrifizi sono stati distribuiti equamente e in che misura potevano essere risparmiati e se sono stati applicati in una direzione giusta» (cfr. vol. III, p. 1992).

Altro punto importante della riflessione di Gramsci è quando scrive: «Un altro elemento per saggiare la portata reale della politica unitaria ossessionata di Crispi è il complesso di sentimenti creatosi nel Settentrione per riguardo al Mezzogiorno.

La “miseria” del Mezzogiorno era “inspiegabile” storicamente per le masse popolari del Nord; esse non capivano che l’unità non era avvenuta su una base di uguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Mezzogiorno nel rapporto territoriale di citta-campagna, cioè che il Nord concretamente era una “piovra” che si arricchiva alle spese del Sud e che il [suo] incremento economico-industriale era in rapporto diretto con l’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura meridionale» (cfr. Op. cit., pp. 2021-2022).

Fu guerra guerreggiata

Alla luce di queste considerazioni, mi pare evidente che il brigantaggio non può che essere definito come un fenomeno di una guerra guerreggiata tra due opposte tendenze di un’opposta visione politica. Da una parte, gli eserciti sabaudi del Nord, armati fino ai denti, che scesero al Sud sull’onda di un movimento unitario nazionale, in un primo momento guidato da Garibaldi, Mazzini e Cattaneo i quali, però, ad un certo punto dello scontro in atto e, a causa anche delle mene di alcune grandi potenze europee, compreso lo Stato pontificio, furono opportunisticamente messi da parte, lasciando così la direzione della costruzione del nuovo Stato nelle sole mani di Cavour. È così è accaduto che casa Savoia s’impadronì subdolamente del nuovo Stato e lanciò contro chi ad esso si oppose il proprio esercito di macellai. Da qui nasce la carneficina del brigantaggio e con esso quella del popolo meridionale che, nonostante i progressi in alcuni ambiti, per ciò che concerne le disparità Nord-Sud, continua tuttora. D’altra parte, il popolo meridionale fu lasciato in balia della sorte dai Borbone i quali, davanti allo sfacelo economico-politico dell’ultimo periodo del loro regno, pensarono bene di darsela subito a gambe levate, preoccupati soltanto di salvare la propria pelle. A contrastare il sabaudo esercito dei macellai non ci fu più nessuno, per cui il movimento di riscatto contadino, passato alla storia come brigantaggio, fu strumentalizzato da non pochi militari allo sbando degli scompaginati eserciti della stessa casa regnante spodestata.

Oggi ci si chiede se ci furono errori nella nascita dell’Italia unita? Certo che ci furono, e fra i tanti, quelli compiuti dagli eccessi degli eserciti di casa Savoia, che si comportarono come qualsiasi altro esercito colonialista con efferatezze sulla popolazione civile, crudeltà di ogni tipo e stragi documentate ormai da molti studi e ricerche storiche. La storia di Fenestrelle è vera, ma di Guantanamo come Fenestrelle, oggi è pieno il mondo, tristi e disumani risultati delle aggressioni imperial-colonialiste.

Storia e “letteratura romantica”

Dopo avere però affermato ciò, non mando al macello la mia coscienza e tento di discernere quanto accadde nel periodo di cui ci stiamo occupando. E la prima cosa che mi viene in mente è la pagina risorgimentale, quella cioè che portò all’Unità d’Italia, per me una delle pagine più belle del popolo italiano che, sotto la bandiera rossa di Giuseppe Garibaldi, riuscì a riscattare, sia pure in un primo momento solo a livello d’identità nazionale, le genti del Sud.

Certo c’è tanta letteratura romantica intorno ai fatti che videro gli eserciti sabaudi occupare e violentare le popolazioni civili del Meridione. Ed è certo che non sarò io a dire al mio amico Mauro Marino che il suo ricordo della bella e coraggiosa brigantessa Michelina Di Cesare (cfr. “La brigante Michelina”, in «il Paese nuovo», 18 ottobre 2009), non ci debba far riflettere sul disprezzo della vita dei militari di casa Savoia che agirono contro ogni convenzione militare ed umana.

Come pure non sarò io a dire al mio amico Aldo D’Antico, che il suo racconto “Memoria di un brigante” (cfr. «il Paese nuovo», 25 ottobre 2009), non sia un’interessante biografia del contadino Rosario Leonardo Parata di Parabita (1831-1865), passato alla storia come il brigante “Sturno”, estremo difensore, qui nel Salento, della bianca bandiera di casa Borbone.

E ancora, non sarò io a contraddire l’amico Valentino Romano quando, nel suo ultimo libero, “Nacquero contadini, morirono briganti” (Capone editore, Cavallino 2010), scrive che se «si vuole comprendere veramente il “brigantaggio”, è proprio nel “quotidiano” dei contadini del Sud che bisogna scavare, immergendosi nell’atmosfera dei tempi, dei luoghi e dell’umanità che li percorse: bisogna – in altri termini – tentare un approccio al fenomeno che non sia preconcetto e partigiano, ma storico e antropologico» (p. 7).

E non mi permetto neanche di contraddire Valentino Romano, che riconosco come studioso e ricercatore attento, ma sento la necessità di rilevare che egli, la parola brigantaggio me la mette sempre tra virgolette, quasi a significare non corrispondente a verità, come pure, quando egli chiede di spogliarci dell’orpello ideologico di risorgimentalisti, per quanto mi riguarda, io questo lo faccio già; tuttavia, con ciò, non mi si deve chiedere di revisionare anche l’idea della storia che io mi sono fatto, intenzione questa che mi pare di cogliere dalla lettura della sua introduzione al volume di Alessandro Dumas, “Cento anni di brigantaggio” (Capone editore, Cavallino 2009), nella quale, secondo lui, gli storici unitari sarebbero stati sempre e comunque cariatidi di regime, «salariati» per costruire una sola verità storica, quella che faceva comodo ai vinti.

Francamente non mi pare che questo si possa dire di storici come Franco Molfese, Aldo De Jaco, Giuseppe Calassso, Tommaso Pedio, Tommaso e Vittore Fiore, dello stesso Leonardo Sacco, che essendo lucano quella storia la conosce bene. Francamente, dico che se io oggi dovessi per un attimo rivedere il mio pensiero su quanto ha scritto lo storico Franco Molfese, col quale ho avuto la fortuna di lavorare per non poco tempo, ciò significherebbe per me dare un calcio a quella storia che qui, nel Salento, nell’antica Terra d’Otranto, ha visto da una parte i briganti, con tutte le specificità di cui abbiamo detto, e dall’altra i rivoluzionari repubblicani, quelli del 1799, che parteciparono eroicamente alla Repubblica Partenopea e quelli del 1848-1860, che fecero l’Italia unita. (3. continua)

per gentile concessione de Il Paese nuovo.

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2 Commenti a Romanzo “brigante”

  1. Ora do sfogo a sentimenti un po troppo rudi! Facciamola finita con questa ridicola prospettiva di federalismo (imposto come al solito da gente del Nord Italia) discriminatorio, rimettiamo i cippi dal Tronto al Garigliano, così ognuno sarà libero di fare la propria stada in autonomia, e senza stare a recriminare sui vicini parassiti e fannulloni.

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