Li maccarruni pišciati / Racconti salentini

Il racconto è tratto da “Lu Nanni Orcu, papa Cajazzu e altri cunti salentini” di Alfredo Romano. Nardò, Besa, 2008.

di Alfredo Romano

C’era ‘na fiata ‘nu frate ca scia ‘lla limòsina, e šciu ba ttuzza a ‘nna casa addhune ne aprìu na vagnone nu’ ttantu giustata te capu. Ca tisse a llu frate: «Spetta, ca vau pìju ‘na cosa.» E šciu ba nne pìja lu tiestu cu ‘nnu picca te maccarruni ca èranu rimasti te la sera prima. Ddhu frate, ca tenìa fame mo’, se zziccàu lu tiestu cu lla cucchiara e sse menàu sse li mangia. Ma topu lu primu nghiuttu, tuccàu lli lassa li maccarruni, ca gh’èranu tutti nnacituti. Addhai ca la vagnone ne tisse: «None, ca te li poti mangiare, sai? Tantu nui l’imu mbarcare ca l’hanu pišciati li surgi.»
«Ah sì?» tisse lu frate «E nna!» E nne rumpìu lu tiestu an capu. La vagnone mo’ zziccàu cchiangire. E ffacìa: «Povera mmie! povera mmie! Ca m’hai ruttu lu tiestu a ddhu cacava sìrama te notte. Povera mmie! povera mmie! Ca m’hai rut­tu lu tiestu a ddhu cacava sìrama te notte.» Sentendu te cusine, a llu frate addhu nu’ nne restàu ca cu zzacca ddha vagnone e ccu tte la binchia bona bona te mazzate.

Il frate e la bambina. Illustrazione di Maria Berto.

TRADUZIONE IN ITALIANO

I maccheroni pisciati

C’era una volta un frate che girava per la questua e andò a bussare alla porta di una casa dove gli aprì una bambina che non ci stava tanto con la testa. Che disse al frate: «Aspetta, che vado a prenderti una cosa.» E tornò con un tegame di coccio con dentro un po’ di maccheroni avanzati della sera prima. Il frate, che era affamato, agguantò cucchia­io e tegame e si buttò a mangiare i maccheroni. Ma, dopo il primo boccone, dovette lasciar perdere per via che erano tutti inaciditi. Qui che la bambina disse al frate: «Guarda che te li puoi mangiare i maccheroni, tanto noi li buttiamo perché i sorci ci hanno pisciato sopra.»
«Ah, è così?» esclamò il frate «E ttié!» E le ruppe il tegame di coccio in testa. La bambina mo’ si mise a piangere. E faceva: «Povera me! povera me! Che m’hai rotto il tegame dove mio padre cacava di notte. Povera me! povera me! Che mi hai rotto il tegame dove mio padre cacava di notte.»
Ascoltando la tal cosa, al frate non restò che afferrare la bambina e riempirla buona buona di mazzate.

FINE

P.S. Un saluto e un grazie a Marcello Gaballo che in questi anni ha dato tanto alla cultura salentina attraverso il blog. Che dire: mi dispiace che il blog finisca, ma mia madre buonanina mi diceva sempre che lu Signore te chiute ‘na porta e tte apre n’addha. L’altra porta sarà la Fondazione di Terra d’Otranto? Me lo auguro di tutto cuore.

Un saluto e un grazie anche a tutti gli spigolatori e lettori che in questi anni mi hanno seguito sul blog. Da questa mia esperienza è nato anche un libro, Piccoli Seminaristi crescono. E non è poco.

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