A 530 anni dalla guerra di Otranto (1480/81-2011) (II parte)

 

1480/81-2011 – 530° Anniversario della guerra di Otranto

 

LA GUERRA DI OTRANTO DEL 1480

di Maurizio Nocera

… Ma vediamo ora la scansione temporale della cronologia essenziale della guerra di Otranto:

– il 28 luglio la flotta navale (130/150 navi), comandata dal navarca Achmet Pascià Keduk, sbarcò i suoi uomini (dalle 10 alle 15 mila unità) più 400/600 cavalli ai Laghi Alimini (8 Kma Nord di Otranto). In quel luogo costruirono il loro campo;

– il 9 agosto cominciò il primo assalto, respinto dagli otrantini;

– il 10 agosto il secondo assalto, anch’esso respinto;

– l’11 agosto il terzo, e fu quello che conquistò la città, subito dopo messa a sacco;

– il 18 agosto il Pascià Achmed inviò un ultimatum di arresa alle città di Lecce e di Brindisi, che resistettero. La flotta ottomana allora inseguì il suo obiettivo di espansione spingendosi sulle coste baresi e su quelle della Capitanata. Dalle popolazioni native fu organizzata una prima controffensiva degli eserciti e della flotta navale del re Ferrante d’Aragona, che:

– il 25 settembre fece giungere nelle acque del Canale d’Otranto la flotta napoletana;

– la prima settimana di ottobre gli Ottomani cominciano a ritirarsi dentro le mura di Otranto. Una parte dei militari vennero rinviati a Valona (Albania); in Otranto rimasero all’incirca 6.500 fanti e 500 cavalieri;

– il 7 febbraio 1481, presso Minervino di Lecce, avvenne uno scontro frontale tra i militari ottomani e un piccolo esercito organizzato da Giulio Acquaviva, conte di Conversano, luogotenente generale del duca di Calabria Alfonso d’Aragona. Com’è risaputo, l’Acquaviva rimase ucciso assieme ad altri suoi 700 soldati;

– in aprile, i militari ottomani presenti in Otranto vennero ridotti a circa 4.000. Il Pascià Achmed era andato via; le cronache dicono che era ritornato a Istanbul per chiedere rinforzi;

– il 2 maggio, al comando di Alfonso d’Aragona, l’esercito napoletano-aragonese si posizionò davanti a Otranto, molto probabilmente sull’altopiano, in quella zona che noi oggi individuiamo come la provinciale Otranto-Maglie. Le cronache dicono che l’esercito aragonese era formato da 15.000 uomini, di cui oltre 3.000 cavalieri mentre, dentro le mura di Otranto, erano rimasti all’incirca 2000 militari ottomani. È all’incirca in questi giorni che iniziò l’assalto da terra delle truppe napoletane-aragonesi;

– il 3 maggio morì il sultano Maometto II; è questo un evento importante, perché portò lo scompiglio in tutto il mondo ottomano, compreso quindi anche tra i militari di stanza in Otranto;

– il 21/25 luglio giunsero nel Canale d’Otranto altre flotte (la pontificia e la toscana) in appoggio agli assalti di terra dell’esercito di Alfonso d’Aragona, mentre da terra, in quegli stessi giorni, si aggiunsero ai militari assedianti 300 cavalieri e 400 fanti ungheresi;

– il 23 agosto, dopo ripetuti assalti, ci fu quello finale, che vide rintuzzato l’esercito aragonese, che subì la perdita di 100 morti e 300 feriti;

– il 3 settembre iniziarono le trattative con il presidio ottomano asserragliato in Otranto;

– il 10 settembre fu stipulato un armistizio di resa della città «con l’onore delle armi» e tuttavia a condizioni vantaggiose per gli ottomani.

Questa cronologia, sia pure essenziale, dice che dall’11 agosto 1480 al 10 settembre 1481, esattamente un anno e un mese, gli ottomani stettero dentro le mura della città. Finora gli studiosi hanno analizzato le stragi e le violenze che l’esercito straniero compì in Otranto, ma pochi sono stati quelli che si sono posti domande del tipo: «Cosa fecero gli ottomani, stando dentro le mura della città? E dopo la tremenda strage degli Ottocento, che tipo di rapporto s’instaurò fra gli abitanti e gli occupanti? Il vettovagliamento come fu organizzato?».

Furono queste le domande che si pose anche Salvatore Panareo nell’opuscolo sopra citato, precisando che, «malgrado gli sforzi per terra e per mare delle armi cristiane, bisognò tollerare la presenza degl’invasori» (p. 1).

Inoltre, egli spiega il motivo della sua indagine, e cioè cercare di conoscere quali furono i «tentativi di pace col Turco avvenuti durante la guerra e sulle trattative svoltesi alla fine per il ricupero della città» (p. 3). Egli ne cita una, questa: «Re Ferrante, allora in Foggia, che, malgrado qualche promessa e qualche sussidio, si vedeva isolato, si aggrappò allora a un disegno che più volte gli s’era affacciato alla mente, quello cioè di ottenere dal Turco pacificamente la restituzione di Otranto» (p. 6).

Furono diversi gli stratagemmi a cui il re napoletano ricorse, primo fra tutti quello di servirsi di un ambasciatore ferrarese che, sia pure con alterne vicende, riuscì ad incontrare, nell’aprile 1481, in Albania (Saseno e Valona), Achmet Pascià e parlargli anche se poi alla fine, tutto sommato, quella missione si rivelò vana. Questo accadeva prima dell’estate 1481. Dalla cronaca sappiamo che in agosto ci furono gli assalti dell’esercito di Alfonso d’Aragona per il ricupero della città, ma senza grandi risultati, che invece arrivarono dopo un altro incontro diplomatico, di cui re Ferrante si servì attraverso tal Dalmaschino, un turco «ritenuto prudentissimo e discreto e fornito anche del privilegio d’intendere e parlare la lingua italiana» (p. 12). Ci furono ancora altre trattative, alla fine però, scrive sempre Salvatore Panareo, ciò che fece precipitare la situazione a favore di Otranto, fu la morte del Sultano Maometto II. Scrive: «Gli assedianti, quantunque avessero i mezzi di resistere ancora qualche mese, pensarono allora a mantenere fedelmente i patti stabiliti e restituirono la città il 10 settembre» (p. 14).

Era settembre 1481, e gli ottomani avevano occupato Otranto appunto per 54 settimane. Oltre che tenere militarmente a sacco la città, oltre alle scorrerie fuori dalle mura per rubare e approvvigionarsi dei generi alimentari, cos’altro fecero al suo interno?

Al momento, gli studiosi non hanno approfondito tale punto, per cui non si conosce molto di quel che accadde durante quei 13 mesi dopo la presa della città. Qualcosa possiamo leggere in alcuni saggi di studiosi stranieri, anch’essi presenti al convegno di Otranto del 1980, le cui relazioni furono pubblicate nel 1986 dall’editore Congedo di Galatina in due tomi intitolati “Otranto 1480. Atti del Convegno internazionale di studio promosso in occasione del V Centenario della caduta di Otranto ad opera dei Turchi (Otranto, 19-23 maggio 1980)”, a cura di Cosimo Damiano Fonseca.

A parere di molti quello fu il convegno che segnò una svolta negli studi della guerra d’Otranto perché, per la prima volta, vi presero parte degli studiosi turchi, i proff. Sakiroglu e Nejat Diyarberkirli. Dei due, però, conosciamo solo il saggio del secondo.

Nel volume citato, c’è la “Premessa” di Vincenzo Bienna, Presidente della Cassa Rurale e Artigiana di Otranto; la “Presentazione” di Cosimo Damiano Fonseca, Rettore dell’Università degli Sudi della Basilicata; il “Saluto della Città” di Salvatore Miggiano, Sindaco di Otranto; la “Prolusione” di Francesco Gabrieli, Accademico dei Lincei. Seguono quindi le relazioni: la prima (letta in francese) è quella del prof. turco Nejat Diyarberkirli, “Les Turcs et l’Occident au XVème siècle”. In essa ci sono alcuni passaggi importanti che ci fanno comprendere da parte turca qual era la situazione politico-militare nel Canale d’Otranto. Ecco alcuni di quei passaggi, ovviamente sommariamente tradotti: «Nel 1479 finalmente, la pace fu segnata tra i Veneziani e gli Ottomani, ma lo stesso anno cominciò la campagna di Otranto da parte degli Ottomani. La causa di questa campagna, dopo le iniziative ottomane, sta nell’alleanza del re di Napoli, Ferdinando, con i Veneziani. In queste campagne marittime, Ferdinando dà un aiuto effettivo ai suoi alleati veneziani e albanesi che si uniscono alla sua flotta. Von Hammer afferma che la campagna di Otranto fu incoraggiata dai Veneziani. Nel 1479, l’ammiraglio ottomano Gédik Ahmet Pascià conquista con la sua flotta, nel mare Ionio, Cefalonia, Zacinto e Aimara. Il principe di queste isole, Leonardo, fugge a Napoli, dove si rifugia e passa sotto la protezione del re di Napoli./ L’estate successiva, incontriamo l’ammiraglio ottomano davanti alla costa della Puglia e il 25 luglio, egli arriva davanti a Otranto e l’assedia. La città cade l’11 agosto 1480, seguono le fortezze vicine ad Otranto. Nelle zone conquistate, egli lascia delle munizioni e degli approvvigionamenti. Gédik Ahmet Pascià chiede al suo sovrano l’invio immediato di truppe per poter continuare le sue conquiste, ma non solamente i rinforzi non arrivano, ma egli apprende la morte del Padishah [Maometto II) avvenuta il 3 maggio 1481./ Poco dopo, Bayezid II, temendo di vedere usurpato i suoi poteri e il suo trono da parte del fratello, principe Jem, chiama l’ammiraglio Gédik Ahmet Pascià a Istanbul alfine di approfittare della sua popolarità per consolidare il suo trono. Lasciando Otranto, l’ammiraglio Gédik Ahmet Pascià affida la flotta al comandante Hayrettin Pascià che sicuramente non era all’altezza. È per questo che il re di Napoli passa all’attacco e vince. Mentre che le flotte di Napoli e d’Aragona, composte di una quarantina di unità, occupano Otranto e le fortezze vicine, Bayezid II si trovava occupato a reprimere la ribellione sobillata dal fratello Jem» (v. Op. cit., pp. 22-23).

Dopo avere fatto una ricognizione storica sugli avvenimenti collaterali alla guerra di Otranto, Diyarberkirli presenta un percorso che vede «Gedik Ahmed Pascià, prima di mettersi alla testa di questa spedizione [quella di Otranto], conquistare le isole di Zacinto, Cefalonia e Aya-Mavra, appartenenti alla famiglia dei Tocco intervenendo così negli affari interni del regno di Napoli./ L’anno successivo; Gedik Ahmet Pascià, incaricato di conquistare l’Italia del Sud, vale a dire il regno di Napoli, lascia Valona [Albania] il 26 luglio 1480 con una forza di 18.000 uomini e 132 navi e arriva l’11 agosto sulle coste della Puglia impadronendosi di Otranto. Costringe poi il principe Alfonso, erede del regno di Napoli, a ritirarsi» (v. Op. cit., p. 24).

Sostanzialmente, la tesi di Diyarberkirki è che la presa di Otranto da parte degli Ottomani fu il risultato di uno scellerato scambio bellico tra alcuni stati italiani dell’epoca, quali il Vaticano, Venezia e Firenze. Ma oltre a ciò, lo studioso nulla aggiunge a quanto già sapevamo dell’occupazione della città.

Qualcosa in più riusciamo a sapere dalla relazione tenuta quello stesso giorno del convegno dal prof. Charles Verlinden, “La presence turque a Otranto (1480-1481) et l’esclavage”, dalla quale, dopo l’analisi sulla differenzazione della condizione dello schiavo e aver ricordato i fatti relativi all’assedio e all’occupazione della città, egli scrive che vi fu un gran numero di otrantini ridotti a schiavi e dispersi nell’impero turco. Il dato che a noi interessa è quello che una volta occupata Otranto, ripulite le strade dalle migliaia di militari e civili morti nella difesa (gli 800 martiri furono decollati sul colle della Minerva e lì lasciati a decomporsi), gli occupanti, agli ordini di Achmet Pascià, ridussero allo stato di schiavitù i cittadini scampati alla morte. Secondo lo studioso francese in Otranto, all’epoca della tragica guerra: «la popolazione […] non doveva superare le 5.000 – al massimo – 6.000 persone. In effetti, Nicola Sadolet, ambasciatore d’Ercole d’Este a Napoli, informò, attraverso il segretario del re di Napoli, […] che il 16 agosto 1480, Otranto contava 1.000 fuochi e poteva contenere 1.500 uomini armati. Lo stesso Sadolet, dieci giorni più tardi, annota “hanno mandato ala Valona, in una nave più de 500 anime cristiane”. Un altro informatore, Montecatino, parla, il 24, di “dove etiam li haveno conducte mille anime”. Ammettendo che egli ordinò due invii di prigionieri, ridotti in schiavitù, a Valona e all’interno dello Stato turco e soprattutto verso la sua capitale, complessivamente si arriva a un totale di 1.500 schiavi. Questa sembra una cifra abbastanza credibile, tenendo conto che a essa vanno aggiunti gli 800 decapitati e gli uomini uccisi durante i combattimenti e massacrati immediatamente dopo l’ingresso dei Turchi, si arriva sicuramente ad un totale situato tra 2.500 e 3.000 “anime”. […] D’altra parte, una località di 1.000 fuochi probabilmente si avvicina di più ad una popolazione di 5.000 piuttosto che di 6.000 anime, come dimostra la maggioranza dei dati sui fuochi conosciuti dalla demografia storica, questo sta a dire che i Turchi deportarono ugualmente un certo numero di giovani uomini e donne – sicuramente quelli meglio dotati fisicamente» (v. Op. cit., pp. 148-149).

Secondo me, cogliendo le intuizioni e le domande che si pose a suo tempo Salvatore Panareo nell’opuscolo citato in incipit, questi sono i dati nuovi che emergono dagli studi fatti finora, e cioè che quasi l’intera popolazione di Otranto del 1480/81 fu estirpata dalla propria città: chi massacrato sotto i colpi delle sciabole ritorte degli giannizzeri; chi invece ridotto alla stato di schiavo e trasferito prima a Valona (Albania) e dintorni e chi, infine, disperso nel vasto impero ottomano.

Molto probabilmente, all’indomani della partenza degli occupanti, nella città di Otranto non rimase che qualche abitante più la moltitudine dei militari aragonesi. Questo finale non ci conforta affatto, perché ci fa intuire che molto probabilmente, dopo il 1480/81 e il Sacco imposto alla città dagli ottomani, la ricostruzione dei fuochi abitativi di Otranto avvenne sulla base di un sostrato demografico di nuovo ed inedito impianto, sicuramente importato da altre zone limitrofe alla stessa Terra d’Otranto oppure addirittura provenienti da altre regioni del regno di Napoli.

per gentile concessione dell’Autore e di Paesenuovo

la prima parte in:

http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2011/08/09/a-530-anni-dalla-guerra-di-otranto-148081-2011-i-parte/

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