Il solito dubbio di trascrizione per un fonema salentino

La d cacuminale retroflessa

di Armando Polito

La d cacuminale retroflessa: quattro chiacchiere tra il serio e il faceto.

La riproduzione grafica di un fonema presente in una parola dialettale è un problema antico ed ancora attuale e di soluzione difficilissima. Se infatti si usassero i simboli dell’alfabeto fonetico internazionale i fonemi recherebbero dei simboli diacritici che trasformerebbero il testo, agli occhi del comune lettore, in una sorta di quadro astratto di complicata lettura che costituirebbe un’ottima premessa per garantire o, forse, per consolidare un triste nostro record, quello, appunto, della ridotta pratica  della lettura.

Siccome, poi, gli inconvenienti non vengono mai da soli, per il dialetto salentino del territorio leccese1 c’è un problema particolare all’interno del generale: la trascrizione del digramma dd cacuminale invertito. Questo suono, che nell’alfabeto fonetico internazionale è indicato con l’aggiunta di un puntino sotto la d, nasce sempre da un originario digramma ll; per esempio, dal latino illu(m) è derivato il neretino iddhu2.

La situazione si complica, poi, se si pensa che la trascrizione ha rappresentato e rappresenta ancora un problema di ricerca per gli scrittori in vernacolo leccesi che hanno sempre optato per una scelta personale senza mai giungere nel tempo ad una convenzione comune.

XVII° secolo

Nel dramma di anonimo Rassa a bute il suono in questione viene rappresentato con l’aggiunta di una barretta orizzontale sull’asticella della d (đđ); ne La Juneide ossia Lecce stafurmatu troviamo dd e così pure nel Dialogo leccese (manoscritto della biblioteca Caracciolo a Lecce).

XVII°-XVIII secolo

Geronimo Marciano (alias Mommu de salice), Viaggio de Lèuche a lengua nòscia de Rusce: dd

XVIII secolo

Ottava del 1743 alla base del dipinto di S. Oronzo collocato sull’altare al santo dedicato nella navata destra della basilica di  Santa Croce in Lecce: dd

FOI S. RONZU CI NI LiBERAU

DE LU GRA TERRAMOTU CI FACIU

A BINTI DE FREBBARU: TREMULAU

LA CETATE NU PIEZZU E NU CADIU.

IDDU, IDDU DE CELU LA UARDAU

E NUDDU DE LA GENTE NDE PATIU.

È RANDE SANTU MA DE LI SANTUNI

FACE RAZZIE E MERACULI A MEGLIUNI.

XIX secolo

Francesc’Antonio D’Amelio, Puesei a lingua leccese: dd 

Francesco Marangi, Lu pettaci: simbolo alfabeto fonetico internazionale.

Francesco Saverio Buccarella, Poesie in dialetto gallipolino: ddr

XIX°-XX° secolo

Giuseppe De Dominicis (alias Capitan Black), Scrasce e gersumini: dh. Successivamente il De Dominicis, su consiglio dell’amico glottologo Francesco D’Elia (che curerà l’edizione delle sue Poesie del 1929) adottò ddh.

Raffaele Pagliarulo, Poesie: ddr

Giovanni Refolo, Poesie in dialetto magliese: dd- corsivo in parola scritta in tondo, e dd- normale in parola scritta in corsivo.

Clemente Valacca, A ssanta Dumìnaca: dd.

Enrico Bozzi, Fogghe mmedhate: dh.

Oberdan Leone, Intermezzu-Fiuri de serra: dh.

Nicola G. De Donno, La guerra de Utràntu: dd.

Erminio Giulio Caputo, La focara: poesie in vernacolo (simbolo alfabeto fonetico internazionale).

Giuseppe Susanna, Scritti in dialetto galatonese (simbolo alfabeto fonetico internazionale).

Niny Rucco,  Rrobbe spase (ddh).

Carmelo Bene, ‘I mal de’ fiori: dd.

Gli autori citati sono tutti presenti, ad eccezione di Carmelo Bene3, in (a cura di) Donato Valli, Storia della poesia dialettale del Salento, Mario Congedo, Galatina, 2003 e in D. Valli, A. G. D’Oria, Novecento dialettale salentino, Manni, Lecce, 20064; ho scelto solo i più significativi ai fini della mia ricerca e chiedo scusa agli altri, viventi o no (a questi ultimi sarei immensamente grato se mi facessero sapere la loro scelta5) e pure ai tanti validi neretini se cito solo:

Francesco Castrignanò, Cose nosce (1909): ddh.

In Poesie vernacole neretine (s.d): Pantaleo Ingusci e Pinuccio Gatto: ddh; Matilde Jole e Elio Marra: ddhr.

Lu munarca di Nardò (1982-1994): ddh.

Luigi Ruggeri, Prechere nosce (1993): ddh.

E il mondo accademico? A parte il già citato D’Elia, il Rohlfs nel suo Vocabolario non prende posizione e si limita a dire (pag. 8): Nella letteratura regionale questo suono si esprime con ddh, ddr, ddhr e in alcuni testi perfino con gd. Più recentemente Livio De Filippi6, riprendendo la scelta grafica di A. Bernardini-Marzolla7, ha riproposto ddhr.

Alla fine di questo breve excursus credo che il problema continuerà ad avere una soluzione non uniforme, tale da essere accettata da tutti. Credo pure che il processo di standardizzazione, ammesso che sia un bene, troverà sempre (per me fortunatamente) un ostacolo insormontabile nella diversità della pronuncia tra provincia e provincia, anzi tra paese e paese. Tuttavia penso pure che la consapevolezza letteraria degli autori in vernacolo (ma questo vale anche per quelli in lingua) esponenzialmente cresciuta (almeno, spero…) con l’acculturazione, finirà inevitabilmente per ridimensionare la sensibilità personale  che induce a registrare nel testo quelle sfumature di toni e di suoni che costituiscono il tessuto musicale di un linguaggio e che, per questo, forse non possono, anzi non potevano in passato, essere ridotte ad un unico canone grafico.

Per completezza e riconoscendone la scarsissima affidabilità scientifica (l’avrei fatto, però, lo stesso se il verdetto fosse stato a mio sfavore), ecco l’esito di una ricerca in rete alla data in cui scrivo (30 luglio 2010) attraverso:

Google iddhu 5910 ricorrenze; iddhru 2670 ricorrenze.

Google libri iddhu 634 ricorrenze; iddhru 9 ricorrenze.

Non mi resta che chiarire la trascrizione da me preferita per il dialetto neretino (ddh);  il modo più efficace sarebbe la registrazione sonora ma, purtroppo, il sito non supporta alcun file sonoro. Sarò lieto a chiunque me lo chiederà di inviargli il file comparativo che avevo approntato; nel frattempo ogni neretino può fare la mia stessa operazione (per chi non avesse troppa dimestichezza col pc: tutti i programmi>accessori>svago>registratore di suoni; naturalmente al pc dev’essere collegato un microfono…) e sentire se nella parola registrata si sente o no ombra di r.

E chiudo a modo mio, cioè con un volo che a qualcuno potrà pure sembrare pindarico.

Io non ho assolutamente nulla in contrario ad essere intercettato telefonicamente (forse perché ho troppe cose da nascondere e la spesa, questa volta, sarebbe veramente eccessiva…) e pure ripreso televisivamente (in quest’ultimo caso non dentro casa mia, non siamo sul Grande fratello!; le riprese esterne, d’altra parte, provocherebbero, data la mia ineffabile avvenenza, conati di vomito alla telecamera che sputerebbe un nastro o un dvd inutilizzabile); credo, però, che, se la legge dovesse passare, difficilmente ascolteremo una sentenza come quella illustrata nella vignetta.

E per chi non condivide la mia scelta sarà festa grande…

______

1 Per il brindisino e il tarantino il problema non si pone, dal momento che il digramma in questione si pronuncia dd; per esempio: da eccu(m) illu(m) nasce cuddu=quello.

2 È questa, secondo me, per quanto si dirà in seguito, l’esatta trascrizione per il neretino; per gli altri dialetti del Leccese mi dichiaro fin da ora incompetente.

3 L’assenza è giustificata dal fatto che ‘I mal de’ fiori uscito, nel 2000, è, nello stile dell’autore, una sorta di performance idiolettica, dal momento che il poema, fra l’altro, è composto da pezzi scritti in dialetti diversi, fra cui il salentino.

4 Io che in questo stesso sito ho stigmatizzato l’arretratezza dell’Italia relativamente alla digitalizzazione ed immissione in rete del patrimonio librario non più soggetto al diritto d’autore e, entro certi limiti, lo stesso diritto d’autore, constato con piacere che mi son potuto avvalere di questi testo grazie alla generosità di curatori ed editori dal momento che chiunque può consultare integralmente il prmo all’indirizzo http://siba-ese.unile.it/index.php/pubfilling/issue/view/956 e parzialmente il secondo all’indirizzo http://books.google.it/books?id=SdrVys0J4SoC&pg=PA352&lpg=PA352&dq=scritti+in+dialetto+galatonese&source=bl&ots=rcs9eX348&sig=gcesSYiyX7c8lvc2vUwbsDxXtE&hl=it&ei=Te5STI6vOKaisQazZjKAQ&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=4&ved=0CCUQ6AEwAw#v=onepage&q=scritti%20in%20dialetto%20galatonese&f=false

5 Non posso, però, omettere le scelte di coloro che sono anche Spigolautori: Giulietta Livraghi Verdesca Zain, Paolo Vincenti e Rocco Boccadamo (ddhr); Alfredo Romano, Maurizio Nocera, Antonio Bruno, Marcello Gaballo, Francesco Danieli, Raimondo Rodia, Emilio Rubino, Annunziata Piccinno, Fabrizio Suppressa (ddh); Emilio Panarese (dd); mentre l’amico Massimo Vaglio usa ddhr nei libri che ha pubblicato e indifferentemente ddh e ddhr nei suoi contributi al sito.

6 Fonetica e ortografia della “D” cacuminale nel dialetto salentino e nel vernacolo leccese, Lezzi, Monteroni, 1985

7 Saggio di un vocabolario domestico del dialetto leccese con i vocaboli italiani corrispondenti, Tipografia editrice salentina, Lecce 1889.

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5 Commenti a Il solito dubbio di trascrizione per un fonema salentino

  1. Caro Armando, e carissimi lettori tutti che state festeggiando la prima domenica di agosto nelle piu’ belle spiagge del nostro Salento. Oggi mi sono collegato con qualche difficolta’ (sono a Malelane, una delle porte del Kruger Park, per un respiro di natura, prima di un impegnativo Congresso Mondiale di Pediatria, in cui ho l’onore di rappresentare ufficialmente la SIP – Societa’ Italiana di Pediatria – che si svolgera’ a Johannesburg nei prossimi giorni).
    Ho avuto il piacere di leggere la dotta disquisizione di Armando sulla d cacuminale retroflessa.
    Non sono uno “scrittore professionale” di fonemi salentini, ma come “caddipulinu”, leggo molte composizioni dialettali e mi picco di avere, per fortunata eredita’, qualche rarita’ (dalla prima edizione della scoperta dell’america di Pipinu Maezu, ai versi di Ernesto Barba e del Patitari.
    Pur ritenendo utile ed opportuno il suggerimento fonetico immediato che deriva dei due puntini sotto la doppia d di Caddipuli, essendo questi di difficile reperimento e applicazione, anche se mio padre li usava in alcuni suoi lavori sul dialetto gallipolino, personalmente mi associo concettualmente alla scelta del De Filippi del ddhr (di fatto esso torna di piu’ facile lettura suggerendo immediatamente la pronuncia) ma continuo a usare, e credo che continuero’ a farlo, la dd che il gallipolino e il neretino continueranno a pronunciare come hanno imparato a fare fin da piccoli, anche se sono come me emigrati da quasi 50 anni. Altri salentini saranno in grado di far sentire poco piu’ o poco meno quella piccola “r” che di fatto non viene pronunciata allo stesso modo se non in piu’ di 4-5 comuni. E sappiamo benissimo che aree linguistiche e confini comunali non sono mai stati e non saranno mai sovrapponibili.
    Bene, in mancanza del mare del Salento, faccio un salto in piscina; anche se qui, e’ inverno, e la temperatura dell’aria e’ adesso al massimo (24 gr C) e spero che l’acqua sia sopportabile.
    Ancora un grazie ad Armando e agli esperti dialettologi da un dilettante, ma figlio d’arte, come me.
    Buona serata domenicale a tutti.

  2. Bellissimo articolo, reso ancora più piacevole dalla presenza di quella vignetta :) Come francavillese il problema mi scivola addosso nel momento in cui dovessi trascrivere qualcosa del mio dialetto, e parlare con i miei concittadini. Siccome però mi piacerebbe veder la nascita di una lingua salentina, non nel senso di insieme di dialetti vernacoli dalle caratteristiche simili, ma nel senso di una varietà standard che possa essere usata a livello didattico e ufficiale (come il sardo in Sardegna, il catalano ad Alghero ed il ladino nel T.A.A.), mi sono posto anch’io il problema della trascrizione di tale fonema e della presenza o meno di quella fantomatica r. Per il momento continuerò a usare la soluzione che ritengo più elegante (d con il puntino) ma accetterei di buon cuore una ipotetica norma ortografica che stabilisse, come in quella vignetta, che la trascrizione da utilizzare sia ddh.

    Una domanda: ma il processo di standardizzazione citato nell’articolo esiste? è un problema sentito da una parte, anche piccola, della società salentina?

    Ne approfitto, spero che non dispiaccia, per mettere il link di un racconto che ho scritto in salentino (con alcune sperimentazioni ortografiche):

    http://lalenguanoscia.blogspot.com/2010/08/lu-sarvataggju.html

    La invito, se trova la voglia e il tempo per farlo, a leggerlo e commentare la sua opinione ;) L’invito è esteso a tutti i lettori del blog!

  3. Il processo di standardizzazione, a mio avviso, in passato era solo apparente, nel senso che era legato (con riferimento particolare al suono in questione) alla libera scelta dell’autore che, piuttosto superficialmente, non si poneva eccessivi scrupoli circa la discrepanza tra grafia e pronuncia. Oggi, purtroppo, è in atto un processo di imitazione e di adesione passiva alle mode che, come spesso succede, finisce per far prevalere le forme meno corrette e meno aderenti alla realtà. Apprezzo il contenuto del suo racconto, ne condivido le sperimentazioni ortografiche ma suggerisco di scrivere mascia con l’accento sulla i, per consentire ai non salentini di evitare l’incidente capitato all’editore Luciano Simonelli in una sua esilarante lettura del testo (ma spicca su tutti bùscia per buscìa) della canzone Luna caprese portata tanti anni fa al successo da Peppino di Capri. Chi vuole divertirsi può vederlo e ascoltarlo all’indirizzo

  4. Molto suggestivo il racconto di Damiano, peraltro un esperimento molto interessante. Appropriata mi sembra anche la decisione di puntare sulla parlata di Cavallino come archetipo data la disponibilità di un modello letterario importante di cui proprio qualche giorno fa si è parlato su questo sito, il De Dominicis e l’insieme delle sue opere in versi.

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