La chiesa di san Sebastiano in Francavilla Fontana

di Michele Lenti

 

Chi percorre l’antico borgo di Francavilla Fontana, geloso custode di un ricco patrimonio storico – artistico, che si pone come fedele testimone del florido periodo raggiunto dalla città sotto la signoria degli Imperiali può, ad un primo impatto, non essere particolarmente incuriosito da un edificio di culto come la chiesa di san Sebastiano.

Sobria, anzi sarebbe meglio dire austera nelle sue linee esterne, di certo non suscita quello stupore che invece pervade chi ammira l’imponente facciata della chiesa Matrice, che propone le linee di un barocco, disegnato come un fine merletto, su di una struttura la cui grandezza vuole celebrare la profonda devozione francavillese verso la Madonna. Ma la straordinaria

particolare della facciata (ph M. Lenti)

cupola maiolicata, purtroppo ancora coperta da impalcature, e la grande importanza storica e culturale dell’ex Real Collegio Ferdinandeo[1] lasciano presagire quale significativo luogo fosse. In esso si incrociarono storie di vita religiosa e cittadina, di cultura e di arte, ma anche storie di santità come quelle di san Pompilio Maria Pirrotti e del beato Bartolo Longo.

Purtroppo, ancora oggi, è solo possibile presagire un tale ricco patrimonio perché la chiesa è chiusa da oltre vent’anni per restauri iniziati ma mai completati. Per questo, circa dieci anni fa, è nato un Comitato pro chiesa di san Sebastiano[2] che trae ispirazione dagli incoraggiamenti di migliaia di cittadini che visitarono dal 21 dicembre 1998 al 20 gennaio 1999 la mostra fotografica Ottobre 1997 – Ottobre 1998, quattro avvenimenti sacri[3]. Difatti l’istituzione persegue l’obiettivo del restauro e della rinascita della nostra chiesa, partendo dalla consapevolezza che le segnalazioni d’allarme per la tenuta statica dell’edificio ed i vincoli posti dalla Soprintendenza non hanno finora suscitato quegl’interventi necessari a scongiurare il degrado di questa monumentale testimonianza.

Anche per questo chi scrive vuole, attraverso la sempre più crescente eco di consensi che sta suscitando Spicilegia Sallentina nel mondo scientifico e culturale, ridestare l’attenzione sul possibile recupero dell’edificio, patrimonio della città di Francavilla Fontana e di tutto il Salento.

tela D. O. Bianchi (ph M. Lenti)

Nella seconda metà del XVI secolo la città di Francavilla Fontana e le terre circonvicine, dopo la signoria della famiglia Borromeo e dopo brevi passaggi ad altri casati, fu acquistata dagli Imperiale di Genova, detti poi Imperiali[4], che la possedettero per otto generazioni fino al 1782[5]. Al momento di acquisire il feudo, stando ad una relazione scritta in Napoli negli ultimi anni del secolo XVI per il granduca Ferdinando I, si apprende che gli Imperiali, una volta presone possesso, avevano settantamila ducati di entrata ma ben “settecentomila” di debiti. Nonostante ciò la loro signoria rappresentò una svolta per Francavilla, che osservò una consistente rivoluzione urbana ed un florido periodo economico, sociale e culturale. Così il pistoiese Pacichelli descrive la città durante il suo itinerario per i borghi del Regno di Napoli: Ella è Principato, che col Marchesato d’Oria, un de’ quattro più cospicui del Regno, e Casalnuovo, già Mandria… forma, hoggi lo Stato di un milion di valore, il quale con l’aumento di Marsafra, e della Vetrana, frutta a’ Signori Imperiali trentacinque mila ducati l’anno…Abondante, sempre per più anni, e per più Paesi, di Grano, Vino, Olio, Mandole e altro di delizia… I suoi borghi si posso dire immensi, maestosi, ed à meraviglia ordinati, con le Case commode, e biancheggiate, le botteghe poste in ordine, con gli arnesi, e stoviglie polite, in modo, che sembrano Sagrestie. Non diverso è l’interno, dove comparisce la Via larga, e lunga a tiro d’occhio, nominata Imperiale: si veggono pozzi per riserve del Formento, ha magazeni colmi di Cacio. Il Palazzo, ò Castello in quadro, con fosso di Animali di piuma e Cerviotti, isolato per dimora del Principe e della sua corte è commodo…[6].

In questo contesto sono già inseriti a pieno titolo i padri Scolopi, i quali giunsero a Francavilla, ospiti di casa Imperiali, il 20 gennaio 1682. Essi traggono il loro carisma dall’apostolato di san Giuseppe Calasanzio (Peralta de la Sal, 1558 – Roma, 1648) il quale, una volta giunto a Roma, interpretò in termini più concreti alcune delle istanze pedagogiche promosse dal Concilio di Trento (1545 – 1563), in un secolo socialmente arretrato e maldisposto, in una società in cui nobili e ricchi erano fortemente attaccati ai privilegi di casta e di censo, mentre la stragrande maggioranza della popolazione versava in miserevoli condizioni. In tale contesto il Calasanzio mosse alla conquista della fanciullezza povera col proporle una scuola che avesse finalità di religiosa e sociale elevazione, interessanti non solo lo spirito e la mente, ma la stessa realtà quotidiana della vita e del lavoro; in tal modo, al conseguimento di una retta educazione cristiana veniva aggiunto il beneficio di una educazione civica e di una istruzione umanistica e professionale. Anche per questo immediata fu l’intesa tra i padri Scolopi e la cittadinanza francavillese, se il 19 maggio 1682, a pochi mesi dalla venuta dei frati, fu posta la prima pietra della nuova Casa, costruita a spese dell’università, dei cittadini, dei padri ed in minima parte della famiglia feudataria.

Scrive ancora il Pacichelli che a Francavilla si bandisce l’Ozio con la Negoziazione, e con le scienze, dando opera in una buona casa i Padri delle scuole Pie: tanto che al presente si esercitan nelle Leggi Trenta Dottori, alcuni de’ quali patrocinano in Roma, dodeci nella medicina, e diversi regolari, negli studi Teologici spiccano e ne’ pulpiti[7].

Al collegio dei padri Scolopi, costruito con ordine e buone pietre bianche connesse[8], era stata affiancata la costruzione, voluta e finanziata sia dai padri che dai cittadini[9], della nuova chiesa, di tipo romano, anche se la facciata presenta ascendenze stilistiche più antiche, riferibili all’area abruzzese, in particolare aquilana, ove le facciate delle chiese medievali non hanno timpani, ma sono ornate da partipiani e si concludono, come questa, con cornicioni orizzontali[10].

La cupola, non prevista nel primo progetto, risale al 1728, e si ispira al modello presente nelle chiese romane per quello che riguarda la struttura, specialmente dell’interno, ampiamente sventrato. Essa, primo esempio in Puglia di tal genere, offre, tra l’altro, una decorazione con tasselli di ceramiche policrome, originale, per quei tempi, nel Salento, ma già allora ampiamente in uso nelle coperture delle cupole napoletane e campane. Fu questo, di certo, un significativo apporto dato all’arricchimento del patrimonio ecclesiale della regione da parte dei padri delle Scuole Pie attraverso l’opera dell’architetto manduriano padre Benedetto Margarita, che molto contribuì alla fase operativa riguardante la traduzione materiale del progetto di costruzione della chiesa.

La nuova fabbrica, pertanto, sorta su un precedente luogo di culto, misura trentuno metri di lunghezza e nove di larghezza e, pur essendo a navata unica, si sviluppa a pianta basilicale con ampia aula, completata da tre cappelle su ambo i lati longitudinali, con un ingresso, con l’area presbiteriale e con la sacrestia. Il primo tratto di questo complesso, che misura ventuno metri circa, è coperto con volta a botte lunettata, con quattro lunette per lato, ed ha un’altezza, all’imposta di 11 metri, in chiave di 15,50.

Nella navata si accede tramite un atrio rettangolare, delimitato a sinistra dal vano battistero, a destra da quello di ingresso secondario e, di fronte, da due colonne a bulbo realizzate successivamente. La differenza di volume tra l’atrio e l’aula assembleare, l’abbondanza di luce che filtra dalle ampie finestre, presenti all’interno delle lunette della volta, la considerevole altezza della volta di copertura nonché della cupola, la ritmicità e la snellezza dei pilastri accentuata dalle paraste, caratterizzate da ampie scalanature, conferiscono, a coloro i quali visitano questa chiesa, una intensa sensazione di coinvolgimento spaziale.

La volta, finemente decorata con cornici mistilinee, poggia su una trabeazione aggettante che circoscrive l’intera aula ed è sostenuta da quattro pilastri – contrafforti per lato, di cui gli ultimi due, uno per lato, sono i piedritti dell’arco trionfale. I primi tre pilastri, per lato, hanno dimensioni di metri 1,80 per 0,90 ed altezza di metri 10, coincidente con la chiave dell’arco di accesso delle cappelle. Queste ultime sono incastonate tra pilastri – contrafforti con capitelli compositi che reggono una trabeazione aggettante e proseguono, per breve tratto, a mo’ di pulvino, per definire il piano di imposta della volta di copertura.

Il presbiterio ha forma quadrata, con metri 9,50 di lato, e si sviluppa in altezza per metri 35 tramite pennacchi, tamburo, cupola e lanternino. Il tamburo, elemento elegante e ben ripartito da lesene a quattro finestre ed altrettante finte finestre, raggiunge un’altezza di metri 7,50 con un diametro di metri 9,50 ed uno spessore di cm 80.

La cupola scarica le sue forze su quattro pilastri, due come conclusione della navata, cioè i piedritti dell’arco trionfale, mentre gli altri due sono situati negli angoli opposti. Questi ultimi, essendo staticamente asimmetrici, hanno indotto il costruttore a sovradimensionarli per poter equilibrare le forze.

Il barocco presente all’interno della chiesa si dipana nei minuti particolari degli stucchi eleganti del soffitto e dei cornicioni, dolcemente illuminati attraverso i finestroni, e come risulta dalle vivaci volute dei capitelli compositi.

Partendo da destra di chi entra le cappelle laterali sono dedicate a san Francesco da Paola, san Roberto, sant’Elzeario[11], san Gaetano di Thiene, san Giuseppe Calasanzio e san Giuseppe.

Madonna col Bambino tra i SS. Francesco da Paola e Filippo Neri del Carella (ph M. Lenti)

Di questi sei altari i primi quattro furono realizzati nella seconda metà del ‘700 in stucchi policromi, mentre degni di ammirazione, da un punto di vista artistico, sono gli ultimi due: quello dedicato a san Gaetano da Thiene fu costruito da Brigida Grimaldi, vedova di Michele, secondo principe di Francavilla, come indica l’iscrizione posta su un cartiglio al di sopra della cornice del quadro: Tutelari suo Birgitte Grimaldi Imperiali posuit 1700. L’ultimo, dedicato a sant’Elzeario[12], fu voluto dalla principessa Irene di Simeana, moglie di un altro Michele, terzo principe di Francavilla[1], come indica l’iscrizione posta sulla sommità della cappella: Iren Delphinae sim. In honorem dicavit.

Entrambi gli altari, scolpiti in pietra a Lecce, in quel periodo fiorente cantiere di arte barocca, furono montati in spazi più stretti rispetto all’impianto per il quale erano stati eseguiti, affastellando colonne e nascondendo figure e decorazioni che sembrano pensate e scolpite per spazi più ampi.

Le colonne tortili da cui pendono angeli, fiori ed animali, intrecciati in una fantasia di merletti intricati e perfetti nei particolari, rappresentano un unicum a Francavilla Fontana, dal momento che esecuzioni del genere si preferirono in altre chiese cittadine prettamente barocche.

Le tele di questi due altari raffigurano la Vergine ed il Bambino con san Gaetano da Thiene e la Vergine con i santi Elzeario de Sabran e la beata Delphine de Signe, dipinte da Diego Oronzo Bianchi da Manduria (1683 – 1767). In entrambe sono stati rilevati influssi di Luca Giordano e Francesco Solimena, il primo dei quali si dice sia stato maestro del più insigne rappresentante della famiglia Bianchi, vale a dire l’abate Matteo Nicolò[13].

Sempre Diego Oronzo Bianco é autore di un’altra tela raffigurante la Madonna col Bambino tra i santi Francesco da Paola e Filippo Neri, risalente al 1723 ed un tempo collocato sul lato destro del presbiterio della chiesa[14]. Anche qui, come nei precedenti quadri, una delle principali caratteristiche è data dall’affollamento dei personaggi, che qui si accompagna alla vivacità sottolineata dal dinamismo degli angeli che sembrano accompagnarsi alla luce che illumina la scena principale, senza dimenticare la plasticità della figura del Bambino Gesù. Soprattutto ritroviamo, qui, quell’armonia delle forme ravvisabile nel volto della Madonna, capace di coniugare, in sé, dolcezza e tristezza. Tra i pittori che hanno arricchito il patrimonio artistico della chiesa di san Sebastiano, vanno annoverati, infine, il Carella ed un certo Todero di Francavilla, maestri di quella scuola pittorica voluta dai feudatari in san Sebastiano e diretta, per un certo tempo, da Ludovico e Modesto delli Guanti, formatisi presso la Casa degli Scolopi. In particolare il Carella ripropone, quasi a distanza di trent’anni, lo stesso soggetto pittorico rappresentato da Diego Oronzo Bianchi, senza aggiungere nulla di nuovo se non una maggiore simmetria e spazialità di cui sembra godere ciascuna figura, avvolta, tra l’altro, in tonalità cromatiche più calde, con tratti più dolcemente sfumati rispetto all’originale.


[1] Michele Imperiali nel 1696 sposò a diciannove anni, Irene, figlia di Giovanna Maria Grimaldi di Simiana, famiglia facente parte della corte Sabauda di Torino. Portò in dote al principe francavillese terre per un valore di 30.000 ducati ed i titoli ereditari di marchese di Piavezza, Livorno, Castelnuovo, Roatto e Maretto, di signore di Capriglio in Piemonte, del Dego, Piana, Cagna e Gesualla in Monferrato” (P. Palumbo, Storia di Francavilla Fontana, Libro IV, I Principi Imperiali, Noci 1901.


[1]Oggi sede della Scuola media statale “Vitaliano Bilotta”

[2] Cf. A.A.V.V. San Sebastiano. Immagini, Architettura e Storia, a cura del comitato “Pro Chiesa san Sebastiano”, 2000, Francavilla Fontana.

[3] Cf. Ibidem.

[4] Il 15 agosto 1579 il feudo di Francavilla Fontana viene acquistato da Davide Imperiali senza ipoteca o limitazione alcuna, e ciò comportava ampi diritti non solo sulla tassazione di ogni attività e reddito, ma anche sulla giurisdizione civile e penale.

[5] Ultimo degl’Imperiali fu Michele IV, che morì senza eredi, lasciando il feudo, per testamento, al marchese di Latiano, Vincenzo Imperiali, suo parente prossimo.

[6] Cf. Pacichelli G. B., Il Regno di Napoli in prospettiva, II, 1703, rist. anast., Bologna 1975, Forni editore, 181–182.

[7] Cf. Ibidem.

[8] Cf. Ibidem.

[9] Anche per questo, probabilmente, l’epigrafe che ricorda l’evento non da merito specifico ad alcuno: Funditus erecta primo lapide solemniter benedicto die XX oct. MDCXCVI. 

[10] Questa particolarità architettonica lega la nascente casa degli Scolopi al celebre studentato che gli stessi padri ebbero a Chieti

[11] Elzeario da Sabrano (in francese Elzear de Sabran, 1285 – 1323), fu un nobile italiano di origine francese che, nel 1299, sposò Delphine de Signe (1283 – 1360). Entrambi i coniugi fecero voto di castità entrando, successivamente, nel Terz’Ordine Francescano. Nel 1312 Elzeario prese possesso dei suoi feudi in Italia e partecipò alla difesa armata degli Stati della Chiesa contro l’Imperatore Arrigo VII di Lussemburgo; nel 1317 fu scelto dal nuovo re, Roberto d’Angiò (1277 – 1343) come precettore del suo erede, il duca Carlo di Calabria: per conto del sovrano, nel 1323, si recò in Francia per trattare il matrimonio della principessa Maria di Valois con il duca Carlo, ma si ammalò durante la missione e morì presso la corte francese. Fu sepolto con l’abito francescano nella chiesa dei Frati Minori di Apt. Papa Urbano V (di cui Elzeario fu padrino di battesimo), ne decretò l’eroicità delle virtù e ne approvò la canonizzazione, che venne ufficialmente decretata dal suo successore, papa Gregorio XI, il 5 gennaio 1371. Elzeario de Sabran non va confuso con il nipote Eleazario da Sabrano (morto il 25 agosto 1380), vescovo di Chieti dal 1373 fino alla nomina cardinalizia nel 1378.

[12] Elzeario era il nome del fratello della principessa Irene di Simeana, la quale aveva, come secondo nome, Delfina, lo stesso della moglie di Elzeario da Sabran.

[13] Cfr. Del Prete P., Una famiglia di pittori pugliesi nel ‘700, in “Iapigia, rivista di archeologia, storia e arte”, Anno V, fascicoli I – II, Bari 1934.

[14] Oggi il quadro è conservato presso la sede della Diocesi di Oria.

pubblicato su Spicilegia Sallentina n° 6

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